840 MILIONI DI AFFAMATI

Dopo il vertice della Fao, occorre che tutti gli stati diano seguito agli impegni assunti a Roma per combattere il dramma della fame attraverso la cooperazione.
02 Gennaio 1997 | di

Potrebbe essere non solo un auspicio quel «Nutrire il mondo», voluto dalla Fao, l";Organizzazione dell";Onu per l";alimentazione e l";agricoltura, come titolo del vertice mondiale tenutosi recentemente a Roma. Infatti, stati e organizzazioni non governative (Ong) si sono impegnati a rendere immediatamente operative le decisioni assunte in occasione del vertice. Nei diversi interventi, i capi di stato e di governo che hanno partecipato al summit hanno presentato programmi concreti, dopo aver raggiunto, per acclamazione, l";accordo sui documenti principali, la «Dichiarazione di Roma» e il «Piano d";Azione». Quest";ultimo costituisce la piattaforma su cui i leader mondiali si sono impegnati a ridurre almeno della metà , nei prossimi vent";anni, la fame di cui soffrono 840 milioni di persone nel mondo. Un mondo in cui, ogni 8 secondi, un bambino muore di bambino.

A quanti hanno accusato la Fao di aver accettato implicitamente che per metà  degli affamati del mondo non vi sia cibo nei prossimi vent";anni, il direttore generale Jacques Diouf ha ricordato che quello del vertice è un obiettivo minimo, e che il piano è espressione di quanto si è impegnato a fare ciascun paese. Le Ong hanno però parlato di un";occasione perduta perché è mancato il coraggio di prendere impegni precisi anche in materia di commercio degli alimenti. A questo si erano opposti in particolare gli Stati Uniti che hanno anche presentato una riserva sulla parte della «Dichiarazione di Roma» che definisce l";alimentazione adeguata un diritto per tutti, sostenendo che si tratta di un «obiettivo o un";aspirazione», ma non di un obbligo per i governi.

Purtroppo ha suscitato perplessità  l";assenza dal vertice dei leader dei paesi più ricchi del mondo, anche se le delegazioni di questi hanno assunto impegni formali. Tuttavia, occorrerà  non ripetere gli errori del passato quando, troppe volte, alle solenni dichiarazioni, non sono seguiti impegni concreti. Una perplessità  tanto maggiore perché la povertà  è in aumento anche all";interno dei paesi ricchi. Negli stessi Usa, nell";ultimo decennio, il numero di affamati è passato da 20 a 30 milioni. In Canada, due milioni e mezzo di persone, quasi un decimo della popolazione, sopravvive solo grazie all";assistenza di associazioni caritatevoli. Situazioni altrettanto gravi si registrano in Australia e in Europa, dove aumenta progressivamente la forbice tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Lo scandalo della fame, comunque, è diffuso in modo più evidente nei paesi in via di sviluppo: in Africa, in Asia, e in America latina.

Era stato papa Giovanni Paolo II ad avviare i lavori del vertice, con un severo discorso articolato in otto punti. Il pontefice ha condannato gli «embarghi imposti senza sufficiente discernimento», di cui sono vittima le popolazioni civili, e ha chiesto «una riduzione importante», se non una totale eliminazione «del debito internazionale che pesa sul destino di numerose nazioni». Il papa ha anche criticato quanti pensano che il problema della fame si possa risolvere con politiche demografiche restrittive: «Bisogna rinunciare al sofisma che essere numerosi significhi condannarsi ad essere poveri», ha detto Giovanni Paolo II, dopo aver definito «insopportabile per l";umanità Â» il fatto che vi siano «persone affamate, e altre che vivono nell";opulenza».

In un mondo che ha assistito al crollo delle ideologie non è più accettabile l";imposizione a interi popoli di immani sofferenze come prezzo di una contrapposizione politica. Significativo a questo proposito il caso di Cuba, il cui presidente Fidel Castro ha visto accogliere con attenzione e simpatia la sua protesta contro l";embargo imposto dagli Usa.

Alle parole accorate del Papa hanno fatto eco quelle del segretario generale dell";Onu, Boutros Boutros-Ghali, che ha parlato di «inammissibile scandalo della fame», chiedendo al mondo «una mobilitazione generale». Nella «Dichiarazione di Roma» si sottolinea, inoltre, come la «democrazia, la promozione e la difesa dei diritti umani e delle libertà  civili, e una piena e paritaria partecipazione di uomini e donne sono essenziali per il raggiungimento della sicurezza alimentare per tutti». Tuttavia, la democrazia non può essere di per se stessa una garanzia di giustizia, in particolare quando la libertà  è avulsa dai principi morali che governano la giustizia e rivelano il bene comune.

Nel «Piano d";azione» vengono focalizzati sette impegni che costituiscono «le basi da cui partire verso un obiettivo comune di sicurezza alimentare a livello individuale, familiare, nazionale, regionale e globale». Nel settimo di tali punti, gli stati si sono impegnati a controllare l";attuazione del piano «a tutti i livelli, in cooperazione con la comunità  internazionale». Si tratta di un impegno significativo: esso, infatti, rivela la consapevolezza che nessuno stato, da solo, è in grado di affrontare tale gigantesca questione, né di «chiamarsi fuori» dal problema, in un";epoca nella quale le relazioni internazionali sono vitali per ogni paese. Questa presa di coscienza costituisce indubbiamente un passo in avanti notevole, ma occorre che l";impegno internazionale in questo campo cresca, che i progetti mantengano continuità  ed efficienza nel tempo, che la scienza e l";economia improntino la propria azione a questo scopo prioritario e irrinunciabile.

A combattere il dramma della fame, prima della scienza, è chiamata la politica. Occorre, infatti, cancellare un annoso paradosso che sconfigge la logica: da un lato si produce cibo persino in abbondanza per una popolazione anche superiore ai cinque miliardi e settecento milioni di persone che popolano la terra; dall";altro, almeno ottocento milioni di bambini, di donne e di uomini non hanno cibo sufficiente per sopravvivere.

Per vincere questa colpevole condizione, accanto al ruolo degli stati è essenziale quello di chiunque: dalle organizzazioni pubbliche al singolo cittadini, per promuovere e difendere la dignità  della persona umana. Secondo Catherine Bertini, direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale dell";Onu (Pam), è necessario superare un paradosso. Da un lato, nessuno dice esplicitamente di no all";aiuto alimentare nelle emergenze, e, dall";altro, nessuno mette in atto un impegno costante e massiccio per rimuovere le cause strutturali della malnutrizione.

Anche per il previsto aumento della popolazione mondiale "; che nel 2030 dovrebbe arrivare a otto miliardi e trecento milioni di persone "; la risposta autentica di civiltà  è un parallelo aumento di impegno nella produzione e soprattutto nella distribuzione di cibo per tutti. Secondo gli studi della Fao, per tenere il passo con la domanda alimentare "; e in particolare con quella crescente dei paesi in via di sviluppo ";, nei prossimi vent";anni l";agricoltura avrà  bisogno di investimenti aggiuntivi pari a 31 miliardi di dollari all";anno.

Una novità  rispetto alle precedenti conferenze organizzate dalla Fao viene anche dal coinvolgimento di interlocutori privati, oltre agli stati. Tutti, insomma, siamo chiamati a concorrere a rendere «normale» una situazione di solidarietà  e di cooperazione. Una speranza in più viene dai giovani e dalle donne. Il Forum dei giovani, svoltosi parallelamente al vertice Fao, ha ricordato ai grandi della terra «di non varcare un punto di non ritorno».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017