Abbiamo dissacrato il cielo

04 Settembre 1999 | di

Ricevo una lettera che ha, per così dire, gli occhi rivolti al cielo, alle stelle, alla grande conca azzurra del creato lontano da noi, dove tuttavia siamo presenti con i piccoli astri messi lassù dall'uomo, nel nostro sistema satellitare. «Abbiamo dissacrato il cielo? - si chiede Alba C., di Perugia - o, invece, abitandolo con l'intelligenza dataci da Dio, onoriamo la sua creazione?», aggiunge la giovane studentessa umbra.
Cara Alba - c'è qualcosa di aereo, di chiaro anche nel tuo nome - il pianeta è circondato dai viaggi di minuscoli mondi artificiali, costruiti e messi in orbita grazie al nostro ingegno, il più grande dei doni ricevuti dalla creazione. Un enorme salto della scienza e della tecnologia, ma anche della nostra immaginazione e del nostro spirito: non a caso lei pone domande che riguardano non solo l'astrofisica, ma anche l'interiorità , cioè un universo assai più insondabile e coinvolgente.

D'altronde, non siamo nati per guardare in alto? Lo stupore, il primo dei nostri sentimenti, non nasce ogni mattina, quando l'alba rischiara d'improvviso la Terra, mostrando ciò che Dio ha voluto per noi, per la nostra vita umana, in attesa di farci conoscere l'altro regno, quello celeste? Mi tornano alla mente in propositoalcuni versi di Gaetano Camillo, limpidi come ciò di cui parlano: «Dio / intinse la sua penna / in una lacrima di luce; / dopo aver riempito / il cielo di puntini / disse all'amore: / Questo è il tuo regno». Non lo abbiamo riempito solo d'amore, in verità , ma Dio lo sapeva: la nostra disobbedienza era nel conto della libertà  offertaci di scegliere tra il bene e il male, responsabili di pensieri, sentimenti e atti di cui dovere dar conto nel giorno del definitivo passaggio da questa vita, con la sua finitezza, all'altra, invece, destinata a durare sempre.
Non mi sorprendo, pensando ai suoi pensieri, cara Alba, di pensarli a mia volta! Una risposta è nella seconda parte del problema da lei posto. Escluderei, cioè, l'ipotesi della dissacrazione: ogni conquista dell'umanità  coincide con il dovere, anche nostro, di «far nuove tutte le cose». Partecipiamo al disegno ininterrotto della creazione, infatti, perché si riconosca nell'agire umano il segno della sua origine divina. Va dunque onorato tutto ciò che nasce nel nome di questa altissima dignità . E qui si può ben dire che abbiamo preso in parola l'invito del salmista a rinnovare, di continuo, il mondo: sulle nostre teste facciamo viaggiare, alla stessa velocità  del pianeta, 66 satelliti che consentono una «comunicazione diretta, cioè svincolata dalle strutture terrestri in qualsiasi parte del globo - dagli oceani ai poli e ai deserti e che dispone di 248 terminali, mentre ne sono in preparazione altri, fino al numero di 3000». Prendo i dati da «Controluce», il bel periodico toscano d'informazione e cultura diretto da Giuliana Poppi Vagaggini. Ne ho tratto tante, aggiornatissime notizie: per esempio, che molti di quei terminali sono già  stati sperimentati, durante la guerra appena conclusa, in Albania, Serbia, Macedonia, e che la Croce rossa italiana e i giornalisti presenti nell'ex Yugoslavia li hanno usati, rispettivamente, per la protezione civile e per garantire un'informazione immediata, planetaria e dal vivo. Il numero che ci collega con questo sistema, onde farne lo strumento grazie al quale parlare al mondo, può già  metterlo in rubrica, signorina Alba: 008816!
Una moltitudine di uomini - soprattutto giovane, come lei - è indaffarata a districarsi nella ragnatela sempre più fitta delle connessioni: non per nulla stiamo vivendo il tempo della comunicazione, la civiltà  del dialogo, l'etica dell'altro. Di conseguenza, dovrebbe essere la fine delle separatezze, delle sordità , degli egoismi. Qualcosa di pratico e ideale, al tempo stesso. In ogni caso è il mondo che si riconosce nelle logiche sempre più stringenti della globalizzazione. Stringenti, non mi azzardo a definirle liberanti. Tutto, infatti, è ancora affidato all'uso che sapremo farne, cominciando dall'idea che non è in atto una sorta d'onnipotenza umana; di noi, cioè, con la fantasia e la forza di Dio, fino a immaginarci in grado di «rifare» in laboratorio, nientemeno, l'uomo. L'uomo, in realtà , non lo «rifà » neppure Dio, che creandoci come siamo ha già  compiuto l'inarrivabile, misterioso prodigio di darci, insieme, corpo e anima, ragione e amore. Questa, sì, potrebbe essere una dissacrazione: la presunzione di non dovere più nulla al Creatore perché, con il nostro ingegno, prima o poi sapremo prenderne il posto! Stento, ma stentare è dir poco, a seguire una così dissennata spirale dell'orgoglio; nulla, per ciò che la nostra intelligenza può immaginare, riuscirà  mai a farci credere che, manovrando alambicchi e algoritmi, ingegnerie genetiche e progetti iperumani, si diventa Dio. Se è auspicabile, e addirittura fatale, che il progresso scientifico-tecnico preceda e accompagni tanta parte della nostra vita, non è tuttavia ragionevole pensare - ritorno alla sua domanda - che i puntini da noi collocati nel cielo facciano il paio con quelli messi... in orbita dalla creazione.
Forse, cara Alba, è proprio il caso di mettere quei puntini sulle «i»: dicendoci che origine e fine di ogni nostra conquista dovrà  restare l'uomo. Secondo una logica non affidata alla pretesa di un orgoglioso sapere che via via esclude, paradossalmente, il suo vero artefice, ma da ripensare continuamente in funzione della nostra crescita singola e collettiva, storica e spirituale.

Non basterebbe viaggiare per le strade di Internet il giorno in cui venissero meno i crocevia del nostro impegno quotidiano, fondato sul riconoscimento dell'altro, sulla reciproca solidarietà , sulla condivisione del viaggio, d'ogni giorno, lungo il quale ci giochiamo tutto; per chi crede anche, e soprattutto, il dopo. Sapendo che comunicare non è solo passarsi dei dati, ma convenire sui principi, e quindi affrontare la dura questione del dover scegliere lo dico un po' alla svelta, mi scusi 'tra bene e male. Che significa accettare o rifiutare: il primo dei diritti, ma anche dei doveri. Quando non sapessimo più distinguere, quel puntino messo lassù dalla nostra intelligenza potrebbe sì, illuderci che quella è la luce di una stella, e farci persino credere che il dilà , il nascosto, l'imperscrutabile è solo il regno delle ombre, ma i puntini di Dio resterebbero non i terminali, bensì l'inizio dell'unico viaggio che, per chi ha il dono della fede, non finirà  mai.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017