Acqua viva e pomodori maturi

Un progetto che parte dall’acqua, dalla realizzazione di 80 pozzi, per arrivare alla salute e al lavoro. Così potrà ritornare la vita nella diocesi di Nkayi nella Repubblica del Congo. Tutto ciò grazie alla vostra solidarietà.
24 Maggio 2010 | di


In Congo sono migliaia i bambini che si ammalano e muoiono per questa malattia e per le mille altre causate dall’acqua insana: colera, diarree, infezioni. Eppure è un Paese ricchissimo d’acqua: prende il nome da un fiume, il Congo appunto, che è il secondo al mondo per portata d’acqua. Purtroppo tre quarti di questa preziosa risorsa non sono potabili e lo stesso specchio d’acqua, specie in zona rurale, viene adibito a ogni uso: per cucinare, lavare i panni, abbeverare gli animali o farsi il bagno. Si tratta di un Paese messo in ginocchio da una lunga guerra, con le braci ancora accese del conflitto sotto la cenere di una pace di facciata, messa a rischio dai molti, troppi interessi stranieri sulle materie prime: minerali e petrolio soprattutto. Intorno, aria di morte appena passata e i segni di una povertà senza speranza.

Accanto a quel letto e a quella mamma addolorata c’è padre Danilo Salezze, direttore generale del «Messaggero di sant’Antonio». Con lui padre Paolo Floretta, il suo vice, e don Abel Nienze, un giovane sacerdote, loro guida in questo viaggio, deciso per preparare un grande progetto di sviluppo in quella che è una delle zone più povere del mondo: il progetto 13 giugno, festa di Sant’Antonio, il più importante di Caritas Antoniana. Padre Danilo è turbato, non sa se avvicinarsi a Cecile. Decide di farlo, tocca la fronte calda della bambina, la benedice. Qualche parola in francese alla mamma, che risponde guardandolo come se fosse trasparente. Accanto al letto, per terra, c’è una bottiglia d’acqua. Liquido trasparente scorre attraverso la flebo nel corpo di Cecile, ma quell’acqua in bottiglia accanto al suo letto sarà pulita? Questa cura avrà un senso?

«Il nostro progetto comincerà dall’acqua» esordisce padre Danilo, una volta fuori dalla clinica, con l’aria di chi ha trovato il bandolo della matassa in un groviglio di necessità elencato con lucido realismo da padre Abel. La speranza si annaffierà con l’acqua, acqua viva, acqua pura nelle vene di questo Congo martoriato, acqua buona nelle vene di Cecile.



Dal diario di padre Danilo

Una diocesi in fermento



Don Abel ci accoglie con un largo sorriso all’aeroporto. È l’economo della diocesi di Nkayi, a circa 650 km da qui. Il nostro referente per il progetto ha una trentina d’anni, parla l’italiano perché ha studiato teologia a Roma, conosce sulla propria pelle tutte le contraddizioni di questo nostro mondo diviso tra pochi ricchi e troppi poveri. Ma non giudica, guarda avanti. È orgoglioso di essere congolese e di essere povero, come la sua gente, come la Chiesa alla quale appartiene.

Prendiamo la coincidenza per Dolisie e poi una macchina per Nkayi. Il vescovo ci aspetta. La Diocesi di Nkayi è vastissima, comprende tre regioni: Niari, Bouenza e Lékoumou, paragonabili a tre grandi regioni d’Italia. Solo che qui non ci sono vie di comunicazione, praticamente il 96 per cento delle strade congolesi sono sterrate, sconnesse e polverose nella stagione secca, piene d’insidie durante quella delle piogge.


La speranza di Nkayi

Monsignor Daniel Mizonzo è visibilmente un uomo stanco. I segni dello stress gli solcano l’espressione, ma lui continua il suo servizio alla Chiesa come se nulla fosse. Non ha né uno stipendio né un’assicurazione sanitaria: precario come i suoi preti, come la sua gente.

Ora mi è chiaro perché la Chiesa da queste parti può essere l’unica fonte di sviluppo, fonte viva, fonte pura. È credibile perché è testimone del Dio che ama incondizionatamente, del Cristo in croce che viene per salvare. La gente lo sente, lo sa. E per questo crede. E spera. Per loro la fede è una parola piena e le messe sono un tripudio di gioia e di colore.

Don Abel inizia a parlare della condizione della diocesi, sgrana le necessità come i misteri dolorosi del rosario. «Il 50 per cento delle malattie è dovuto alla mancanza di acqua potabile, servirebbero almeno 80 pozzi, alcuni da bonificare, altri costruiti integralmente, collocati nelle 25 parrocchie della diocesi e in alcuni punti strategici».

Spiega come in passato, durante il lungo periodo comunista congolese, almeno funzionava un sistema sanitario pubblico, organizzato in piccoli dispensari territoriali e unità mobili che raggiungevano i posti più sperduti. «Ora non esiste più nulla e un congolese stenta a raggiungere i 50 anni di età. La guerra ha diffuso l’aids a macchia d’olio e oggi il 13 per cento dei ragazzi tra i 12 e i 20 anni è infetto. Bisognerebbe almeno ripristinare gli 11 dispensari che abbiamo nelle nostre parrocchie e disporre di un’unità mobile per raggiungere i villaggi nella foresta».

Il progetto prende forma, l’acqua viva comincia a scorrere nelle vene di questo pezzo di Congo e diventa salute, servizio alla gente, tramite la povera Chiesa locale. Il pensiero mi dà un brivido di gioia, ma ho un dubbio: chi lavorerà al progetto? Chiedo ad Abel: «Dove troverete i medici?». Mi risponde con orgoglio malcelato: «C’è una commissione diocesana per la salute». Il giorno dopo ce la presenta: il dottor Boniface Yaba Ngot, chirurgo laureato alla Sorbona di Parigi, la dottoressa Geor­getta Kouloungou, pediatra, laureata a Mosca, e Jean Makouango, infermiere congolese. Tre professionisti in pensione, tre laici dalla fede profonda, che hanno deciso di donare l’ultima parte della loro vita a servizio della diocesi. Boniface, il vecchio chirurgo, mi esprime la sua speranza. I suoi occhi hanno visto tutte le tragedie del Congo ma anche i fasti degli ospedali europei, per questo chiede con dignità. Ha fiducia che le briciole dei ricchi possano ricadere sul suo Paese e avviare la rinascita. Io, invece, credo in lui, nel suo viso buono, nella sua mitezza, nella sua esperienza. Sento che il nostro aiuto è in buone mani.


Il miracolo di Kimongò


Serge non è soltanto la sua storia, è l’icona della sua generazione. Migliaia di ragazzi furono arruolati anche nell’esercito regolare con la promessa che a fine guerra avrebbero tutti avuto un lavoro. Con la pace nessuno ebbe niente, e non c’era più alcuna possibilità di riguadagnarsi il futuro. In quasi otto anni di conflitto, la scolarità era precipitata dal 100 per cento al 48, il sistema formativo non esisteva più. «Guarda questi ragazzi – continua a dirmi Abel ogni volta che incontriamo un gruppo di giovani per strada –, guarda i loro occhi tristi. Hanno bisogno di futuro, di lavoro, di sapere che possono farcela, nonostante tutto».

Serge e Abel hanno studiato una fonte di speranza anche per loro: «Vorremmo nel tempo costruire con voi, a Dolisie, una scuola professionale, la chiameremo “Scuola Sant’Antonio di Padova” dove tutti i giovani della diocesi possano diventare idraulici, elettricisti, muratori, falegnami, carpentieri senza bisogno di andare a Brazzaville. Già abbiamo individuato il terreno. Sarebbe davvero un grandissimo dono».

Ora l’acqua viva, l’acqua buona di questa Chiesa, di questo Congo, sta diventando formazione e futuro. «I ragazzi stanno già reagendo – afferma Abel –, vieni a vedere che cosa stanno facendo a Kimongò, il mio villaggio». Ritorno con un certo timore nel fuoristrada di Abel, uno dei due in dotazione alla diocesi (l’altro è del vescovo), riprendiamo il serpentone di terra rossa e via con le buche, le pozzanghere e il fango fino a uno strano posto nella foresta, dove aiuole coltivate sembrano sgomitare tra la fitta vegetazione: grovigli di fogliame e piccoli pomodori, piantati senza maestria. «Vedi, padre Danilo, questi ragazzi? – mi indica Abel –. Coltivano da soli, senza mezzi, come riescono. Sono una piccola cooperativa spontanea. Li ho messi già in contatto con un agronomo, perché insegni loro a migliorare le tecniche di coltivazione. Pensa cosa potremmo fare qui con una terra così fertile, se solo avessimo un trattore». Mi avvicino pensoso a una di queste aiuole di foresta, stacco un pomodoro, l’assaggio e chiudo gli occhi. Vedo il sogno di Abel e di Serge, di Boniface e del vescovo Mizonzo: come non condividerlo? Questo progetto ha la freschezza dell’acqua viva e il gusto ricco di un pomodoro maturo.



Il paese. Repubblica del Congo


Capitale: Brazzaville

Popolazione: 3,5 milioni

Sotto 18 anni: 50%

Speranza di vita: 54 anni

Mortalità infantile sotto i 5 anni: 13%

Accesso all’acqua in zona rurale: 35%

Accesso alla sanità: 20%

(Fonte Unicef)


Un progetto sanitario

La commissione sanitaria che aiuta don Abel (a destra nella foto) è composta da tre anziani professionisti: da sinistra, accanto a padre Danilo, l’infermiere Jean Makouango, la pediatra Georgetta Kouloungou, il chirurgo Yaba Ngot. Il cuore del progetto si basa sulla realizzazione di 80 pozzi e sul ripristino di un rudimentale sistema sanitario. Seguirà la costruzione di una scuola professionale e l’avvio di un programma agricolo.


Bambini soldato

Secondo l’Onu i bambini in guerra nel mondo sono almeno 300 mila in 81 Paesi, soprattutto nell’Africa subsahariana. Li utilizzano − spesso sottraendoli con la forza alle famiglie − sia i gruppi di ribelli che gli eserciti regolari. Drammatica la situazione delle bambine: violentate, costrette a gravidanze indesiderate, vittime delle malattie a trasmissione sessuale. Nella Repubblica del Congo non ci sono dati ufficiali sul numero dei bambini soldato, ma pare che durante i conflitti tra il 1993 e 2002 siano stati coinvolti almeno 4600 minori.


Progetto «Acqua viva»

Bonifica e realizzazione di 80 pozzi: euro 145 mila

Coordinamento sanitario di 11 dispensari: euro 35 mila

Realizzazione scuola professionale sant’Antonio: euro 70 mila

Acquisto di 1 trattore: euro 50 mila

Totale euro 300 mila

Per maggiori informazioni potete visitare il sito della Caritas Antoniana

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017