Adam sceglie la carità

08 Aprile 1997 | di

'Fratello del nostro Dio' è il film che Zanussi ha ricavato da un testo molto intenso di Giovanni Paolo II su Chmielowski, patriota e monaco dei poveri. Coproduzione internazionale, ha tutti i numeri per essere un evento.

 

Per avvalorare la tesi a sostegno dell'opera di fratel Alberto, Karol Wojtyla inserisce nel suo dramma, come contrapposizionedialettica, un personaggio chiamato lo 'Straniero'. Un personaggio nel quale non è difficile riconoscere Vladimir Ilyich Ulyanov, ovverosia Lenin.

Il papa potrebbe anche presentare domanda di iscrizione all'Anac, l'associazione degli autori cinematografici. E avrebbe tutti i titoli per esservi ammesso, visto che è già  la seconda volta che un suo 'soggetto' diventa un film. La prima fu con La bottega dell'orefice diretto dal canadese Michael Anderson nel 1989, la seconda si verifica ora con Fratello del nostro Dio.

Chissà  se mentre nel 1966 stava girando Andrei Rublev, il russo Andrei Tarkovskij immaginava che nel 1949 un prete polacco non ancora trentenne aveva avuto la sua stessa intuizione sull'arte che rifiuta di piegarsi ai disegni del potere e sdegna le lusinghe del mondo ma nello stesso tempo avverte la sua impotenza di fronte alla sofferenza umana. Al di là  di questa curiosa circostanza, il fatto importante è, comunque, che nei paesi dell'Est europeo sottomessi al sistema comunista il motivo portante della fede e della carità  rappresentasse l'idea-forza dominante fra i giovani intellettuali.

Come il personaggio di Andrei Rublev ritrova l'ispirazione artistica nella prova della fede, di fronte al ragazzo che, senza conoscerne il segreto ma unicamente sostenuto dalla fede, riesce a fondere il bronzo per la costruzione della campana, così in Fratello del nostro Dio Adam Chmielowski trova la verità  nel Vangelo. E per questo si schiera dalla parte dei poveri. Forse, non si tratta di semplici coincidenze, ma di qualcosa che trascende la volontà  umana. Due pittori fattisi monaci, il russo Andrei Rublev e il polacco Adam Chmielowski, entrambi elevati alla gloria degli altari e scelti dai connazionali Andrei Tarkovskij e Karol Wojtyla come eroi-simbolo della carica rivoluzionaria del cristianesimo e della sua forza dirompente, capace di dare all uomo quelle risposte che l'orgoglio umano aveva fornito soltanto parzialmente. E tutti e due, Rublev e Chmielowski, prima di giungere alle loro conclusioni, che furono vere e proprie scelte di vita illuminate dalla grazia, si interrogarono sullo strumento che la provvidenza aveva messo nelle loro mani, ovverosia sul dono dell'arte che Dio ha dispensato a pochi uomini eletti e sul valore dell arte: quale uso deve farne l'artista?

Gli stessi dubbi nutriti da Andrei Rublev tormentano anche Adam Chmielowski. Il primo li risolse dedicando il resto della sua esistenza a dipingere icone sacre, il secondo facendo una scelta di totale vita religiosa.

Adam Chmielowski era nato nel 1845. Fervente patriota, si era opposto all'occupazione zarista della Polonia e nel 1863 aveva combattuto contro i russi restando gravemente ferito a una gamba. Una menomazione che lo affliggerà  per il resto della vita. Ma ben altri tormenti straziavano l'animo del giovane Adam.

Pittore affermato, conteso da tutti i salotti di Varsavia, amato da Helena Madrzejewska, la più ammirata attrice polacca della seconda metà  del'Ottocento, Adam trovò la sua 'via di Damasco' nei tetri sobborghi della capitale, dove una umanità  sofferente si trascinava a stento in una esistenza senza domani.

Dopo il patriottismo, la mistica dell'eroismo, il sacrificio del sangue versato per la libertà , la disperazione del vinto che non ha disonorato la bandiera, Adam Chmielowski scoprì le vie della fede e della carità . E per meglio abbracciare la causa dei poveri e dei diseredati si fece monaco fondando la congregazione dei Fratelli albertini. Per tutti gli emarginati e per tutti i bisognosi da quel momento sarà  soltanto fratel Alberto.

Adam Chmielowski morì nel 1916 ma il suo esempio non si affievolì e per la gioventù polacca rappresentò sempre un modello da seguire. Anche per il futuro papa la testimonianza di fratel Alberto costituì un continuo punto di riferimento, tanto che Karol Wojtyla, in pieno regime stalinista, sentì il bisogno di dedicargli il dramma Fratello del nostro Dio.

È ben nota la passione che Giovanni Paolo II ha sempre nutrito per il teatro. Forse meno nota è la concezione estetica del 'teatro rapsodico', che lo stesso giovane Wojtyla aveva elaborato durante l occupazione nazista della Polonia. I tedeschi avevano proibito ogni attività  artistica (al pari delle università  anche i teatri erano stati chiusi di autorità ) per privare il paese di ogni identità  culturale. A questa imposizione e a questa inusitata repressione il 'teatro rapsodico' rispose organizzando spettacoli clandestini che - nelle sacrestie, nelle cantine, nei conventi - sostituivano messe in scena accurate e gran numero di attori con un teatro basato sulla parola e soprattutto sul monologo. Una poetica, dunque, che traeva il suo valore drammaturgico dal dibattito delle idee, dalla contrapposizione dialettica e da 'siparietti' che proponevano momenti di riflessione, meditazioni su temi appena dibattuti.

In una scena del film Lenin arringa gli operai, e il futuro papa gli mette in bocca le parole che nel 1978 risuoneranno in piazza San Pietro: 'Non abbiate paura!'. Le stesse parole proferite dall'angelo davanti al sepolcro di Gesù risorto; le stesse parole che in seguito riecheggeranno nel fortunato libro-intervista con il papa curato da Vittorio Messori. 'Non abbiate paura!', grida dunque Lenin, e aggiunge: 'La vostra ira sarà  la vostra forza. E noi la guideremo!'.

Il contrasto dialettico sta nelle parole che quando fu elevato al soglio pontificio papa Wojtyla farà  seguire a quel 'non abbiate paura'. E cioè: 'Aprite le porte a Cristo!'. E l'apertura a Cristo sarà  infatti la scelta di fratel Alberto: la scelta della strada della carità  contrapposta a quella dell'ira. Mentre l'azione di Lenin faceva forza sull'odio e sulla divisione, quella di fratel Alberto puntava tutto sull'amore, sulla solidarietà  umana, su un radicalismo cristiano al quale gli eventi della storia avrebbero poi dato ragione.

Fratello del nostro Dio è ora un film. Lo ha diretto un vecchia conoscenza di Giovanni Paolo II: il suo connazionale Krzysztof Zanussi, il regista che quindici anni fa portò già  sullo schermo la biografia del papa intitolata Da un paese lontano. Krzysztof Zanussi si è , in questo caso, rigorosamente mantenuto fedele al testo originale di Karol Wojtyla; un testo quanto mai attuale, in quanto spiega con quarant'anni di anticipo i motivi per cui il marxismo sarebbe fallito.l

 

L'anteprima l'otto giugno

Coproduzione internazionale (il produttore italiano è Giacomo Pezzali, lo stesso di Da un paese lontano), Fratello del nostro Dio è interpretato dall'attore americano Scott Wilson (già  protagonista di un altro film di Zanussi, quell'Anno del sole quieto che nel 1984 vinse il Leone d oro a Venezia, e tuttavia mai distribuito in Italia), dall'attrice polacca Grazyna Szapolowska (protagonista del Decalogo 6 e di Non desiderare la donna d'altri di Kieslowski), dall'italiano Riccardo Cucciolla (che interpreta il vecchio confessore di Adam Chmielowski) e da Wojciech Pszoniak (che fu Robespierre nel Danton di Andrzej Wajda). L'anteprima è fissata per l'otto giugno, a Cracovia. E quel giorno, il platea, ci sarà  anche l'autore del soggetto.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017