Afghanistan: la difficile normalità

Messe a tacere le armi, si tratta di ricomporre, con l’aiuto delle Nazioni Unite, un governo stabile di unità nazionale, dove le diverse forze politiche rappresentino anche le diverse appartenenze etniche. Una sfida non da poco.
05 Gennaio 2002 | di

 L`€™Afghanistan è stato il Paese del «grande gioco» di cui parla Kipling, il cantore dell`€™impero britannico dell`€™India. Prima come «stato cuscinetto» appunto tra l`€™impero zarista a nord e quello britannico a sud nel XIX secolo, poi nello scontro tra i due blocchi, Unione Sovietica e Occidente, nel secolo appena passato. Per lui è stato coniato il termine di «heartland», di cuore o chiave di volta strategica nel più grande continente, l`€™Asia.

La vittoriosa resistenza dei mujahidin afghani ha contribuito alla crisi dell`€™impero sovietico, ma una volta caduto il comunismo, il Paese si è trovato di nuovo coinvolto in una vicenda dai risvolti mondiali con la conquista del potere, a partire dal 1994, da parte dei taliban, che instauravano il regime di fondamentalismo islamico più assoluto sin qui conosciuto. Facilitati dalle contrapposizioni e dalla guerra civile che aveva intanto dilapidato i mujahidin. Gli afghani infatti mentre si uniscono e diventano temibili combattenti contro gli invasori stranieri, siano essi britannici o sovietici, rimangono divisi fra popoli diversi, a loro volta divisi in clan.

L`€™Afghanistan, grande due volte l`€™Italia, Paese dalle alte vette e dai paesaggi meravigliosi, ha una strana forma a foglia di quercia che ha contribuito a tracciare un baronetto inglese, sir Mortimer Durand, quando nel 1893 concluse i falliti tentativi di conquista militare britannici delineando però uno stato indipendente che tagliava di netto intere etnie. Al centro corre la catena dell`€™Hindukush (che significa letteralmente «morte degli indiani», perché da qui transitavano gli invasori) con a nord popoli di origine turca, come uzbeki e turkmeni, a est e a sud popoli di origine indoeuropea come i tagiki e i pashtun. Popoli, come si è detto, tagliati in due.

Un coacervo di popoli. I pashtun, 6-5 milioni, sono la maggioranza relativa o assoluta, secondo i calcoli (dal 45 al 50 per cento), ma i più abitano (17 milioni) il confinante Pakistan, dove tuttavia costituiscono una minoranza discriminata. I tagiki, loro storici rivali, sono 4 milioni (20-25 per cento) superiori per numero ai loro «fratelli» del confinante e indipendente Tagikistan. Uzbeki (un milione e mezzo, 8-10 per cento) e turkmeni (2,5 per cento) confinano ugualmente con omonime repubbliche indipendenti. A complicare il mosaico, una etnia di origine mongola e di influenza iraniana al centro del Paese, gli hazara (un milione e mezzo, 10 per cento) e vari «popoli minori» fra cui i nuristani che sarebbero i discendenti di disertori dell`€™esercito di Alessandro Magno, come indicano i loro occhi azzurri e le tombe sormontate da sculture di cavalli e cavalieri.

Ultima diversità , quella religiosa: tutti musulmani, ma con una maggioranza sunnita e una minoranza sciita, gli hazara, trattati a lungo come paria. Ora si tratta di ricomporre, con l`€™aiuto delle Nazioni Unite, un governo stabile di unità  nazionale, dove le diverse forze politiche rappresentino anche le diverse appartenenze etniche.

Paradiso dei «figli dei fiori». C`€™è stato un periodo felice, negli anni `€™60, quando l`€™Afghanistan era meta del turismo hippy, dei «figli dei fiori», che vi ricercavano il contatto con una natura intatta, costumi semplici e sinceri, e anche la droga. A parte la droga, quell`€™epoca ci indica che una pacifica convivenza è possibile, anzi è già  esistita. Purché l`€™interferenza delle grandi potenze si trasformi in concorso di solidarietà  per la ricostruzione materiale ma anche politica e morale. Il «grande gioco» si è prolungato anche dopo la fine dell`€™occupazione sovietica e il confronto fra i due blocchi, se l`€™avventura talibana è stata sì favorita dai servizi segreti pakistani per ottenere una sorta di «protettorato» per interposta etnia (i talibani erano pashtun) ma anche favorita dalla diplomazia e dai servizi Usa.

Il Mar Caspio si è rivelato come uno dei più ricchi giacimenti di petrolio e gas al mondo. Oggi vi si affacciano la Russia, tre repubbliche asiatiche ex sovietiche e l`€™Iran. Ebbene, fra i progetti geopilitici di alcuni ambienti Usa, c`€™era (e forse c`€™è ancora) il disegno di escludere praticamente la Russia costruendo una pipeline che convogli il greggio al porto pakistano di Ormara, attraversando l`€™Afghanistan. Una versione aggiornata del «grande gioco», che si spera superata con lo «scampato pericolo» dal regime talibano e l`€™alleanza di fatto contro il fondamentalismo fra Bush e Putin. Ma, come si vede, le tentazioni non mancano. Ora gli afghani, di qualsiasi etnia o idea politica, hanno soprattutto bisogno di pace e della fine di rivalità  (interne o introdotte dall`€™esterno).

La resistenza dei mujahidin. Dobbiamo eterna riconoscenza ai mujahidin che, con la loro resistenza negli anni 1978-1989, hanno contribuito alla fine dell`€™imperialismo sovietico. E, una seconda volta, hanno resistito al regime fondamentalista talibano e l`€™hanno battuto sul campo, con l`€™aiuto dell`€™intervento angloamericano. Comunismo e islamismo (che è cosa differente dalla religione islamica, una sua indebita deriva totalitaria) sono due ideologie opposte ai valori delle democrazie, e i mujahidin hanno validamente combattuto contro entrambi. Ora tocca a noi sciogliere il debito di riconoscenza. L`€™opera di ricostruzione è enorme. Alcuni dati: i rifugiati da reinstallare sono dai 3 ai 6 milioni (a seconda delle stime) il Paese è disseminato da 7 milioni di mine che uccidono ogni giorno 10 persone, i disabili per esplosione raggiungono il mezzo milione. Le infrastrutture non esistono più. Come ci siamo mobilitati per la guerra al terrorismo, che continua in altre forme, ora dobbiamo mobilitarci per una grande gara di solidarietà . Non come alla fine del secolo appena passato, quando dopo la caduta del comunismo tante promesse occidentali sono svanite nel nulla.

Il film dell`€™iraniano Mohsen Makhmalbaf, Kandahar, sulla condizione della donna afghana sotto i talibani, ha avuto in Italia un grande successo di pubblici. La liberazione di Kabul è stata annunciata dalla voce femminile di una speaker che era tornata al proprio lavoro da cui era stata cacciata dai talibani. La liberazione della donna è un valore da perseguire nel nuovo Afghanistan, ma nel rispetto dei costumi religiosi e storici locali. Gli «anni felici» del Paese, lungo tutto il Novecento sino al colpo di stato comunista, erano stati anni di cauto riformismo. Dopo vicende così traumatiche l`€™Afghanistan è uscito dal suo secolare isolamento e certamente le riforme si accelereranno. Ma sono gli afghani stessi a dover decidere: il «grande gioco» e il ritorno a una «normalità » rispettata, con l`€™aiuto certo di tutto il mondo, ma dove l`€™Onu dovrà  sostituire i tentativi vecchi e nuovi di sfere di influenza.

 

Più di mille anni di storia

330 a.C. Arriva Alessandro Magno che fonda numerose città . Fiorisce l`€™arte del Gandhara, indo-ellenistica, di cui i Budda distrutti nella valle del Bamyan erano notevole testimonianza.

VII sec. d.C. L`€™islam viene introdotto dalla dinastia araba degli Omayyadi: la religione si radica, mentre le influenze arabe sono combattute.

XIV sec. Il Paese fa parte dell`€™effimero impero mongolo di Tamerlano.

1747. Ahmad Shah del clan pashtun dei Durrani forma una specie di regno feudale, staccandosi dal dominio persiano.

1929. L`€™emiro Amanullah che si era proclamato re, aveva riconosciuto per primo il regime sovietico, e aveva iniziato la modernizzazione del paese, è costretto all`€™esilio in Italia.

1933. Sale al trono il diciannovenne Muhammad Zahir Shah, di un altro ramo della famiglia reale dei pashtun Durrani. Dopo aver regnato per quarant`€™anni è deposto da un cugino-cognato e si ferma a vivere anche lui in Italia, a Roma.

1973. Si proclama presidente Muhammad Daud, che continua la politica di cauto riformismo all`€™interno e di neutralismo all`€™esterno del cugino deposto.

27 aprile 1978. Colpo di stato comunista che uccide Daud. Riforme radicali e lotte interne fra le varie fazioni comuniste. Inizia, su base spontanea, la resistenza dei mujahidin.

Dicembre 1979. Interviene l`€™armata rossa per metter fine alle lotte di fazione fra i comunisti e puntellare il regime. Si intensifica la resistenza mujahidin contro l`€™invasore esterno e ottiene il sostegno di Pakistan, Usa e Cina.

15 febbraio 1989. Dopo l`€™ordine del leader della perestrojka Gorbaciov, l`€™Armata Rossa completa il suo ritiro.

1992. I mujahidin abbattono anche il «regime comunista nazionale» di Najibullah ed entrano a Kabul. Seguono anni di scontri fratricidi.

1996. I taliban «allevati» nelle madrase (scuole coraniche) del vicino Pakistan, conquistano il potere, occupano la maggior parte del paese, instaurano un regime fondamentalista assoluto.

7 ottobre 2001. Dopo il rifiuto dei taliban di consegnare Osama Bin Laden, iniziano i raid aerei statunitensi.

13 novembre 2001. Kabul è liberata dai mujahidin dell`€™Alleanza del Nord.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017