Ai bimbi non nati

02 Dicembre 1998 | di

Questo è il mese di Gesù, si rinnova la nascita di un bimbo che viene a redimere l'umanità . Per il mondo cristiano è Dio in terra nelle spoglie del Figlio, partorito da una madre il cui grembo è immacolato perché Gesù appare nel mondo in virtù di una grazia inaudita, dovuta allo Spirito. Da quel momento è il Natale di tutti, perché è l'annuncio che l'uomo si salverà : la morte è sconfitta e la vita continuerà  in un mondo senza più tempo né spazio. Nel regno di Dio, appunto.

Da quel 25 dicembre di duemila anni fa si nasce, dunque, per vivere, non per morire: perché sulla Croce finirà  solo il corpo di Gesù, e sarà  la prova estrema che egli è davvero uno di noi, affratellato anche nella fine terrena; così umano che, sul punto di morire, dubita persino del Padre, pur sapendo che risorgerà . Non poteva essere più chiara l'intenzione di Dio di voler essere tutt'uno con l'uomo: fino a compatire, cioè a patire insieme, la nostra umanità . Ma proprio da quella sofferenza di Gesù, cioè dalla Croce, l'anima inizierà  il suo viaggio nell'eterno. Si è, perciò, rivelata a Betlemme, la religione del dover nascere per poter essere testimoni di Dio. Non a caso la vita ha questo straordinario valore: è il solo mezzo attraverso il quale, varcata la soglia della speranza, sarà  possibile entrare nell'esistenza di Dio, cioè assieme al compimento della Promessa.

E allora, penso ai bambini che non sono nati e non nasceranno. A loro, se non fosse una pretesa assurda, vorrei inviare la mia lettera. Ma come indirizzarla? A chi non c'è, dove non esiste nulla? In quel luogo - che immagino come una sola, grande ombra inanimata e silente - non stanno, forse, neppure le orme invisibili di chi non è nato; di coloro, cioè, ai quali è stato sottratto lo «stupore» di vedere la Creazione, che non avranno, davanti a sé, la straordinaria avventura di ciò che si compie nel segno del più totale dei prodigi: la vita.

A volte, da persone stanche e dolenti, mi sono sentito dire che avrebbero voluto non nascere; perché la vita, a loro dire, è una continua sofferenza, e meglio sarebbe stato rimanere nel nulla, senza altra sorte che quella, semplicemente, di non essere, per sempre. Sì, per sempre, perché la tua nascita è una, non può confondersi con altre in un gioco affidato al caso. La tua nascita - si creda o no a un disegno che supera, lo riconosco, ogni immaginazione - viene da lontano, comincia a schiudersi sin da quando ha inizio, nel prodigioso scenario animato da Dio, l'inestinguibile viaggio della nostra personale esistenza.

La tua nascita era in moto da sempre, dall'incontro del primo uomo e della prima donna, fino a quando, lungo una sterminata catena di congiunzioni, sarebbe venuto il tuo concepimento. Com'è possibile, allora, rifiutarsi alla meravigliosa, incessante successione di eventi che preparano una nascita? Come pretendere di interromperne il ciclo immane, respingendo il frutto di quel remoto progetto?

Nell'immaginare la lettera a «quel» bambino che non nascerà  più, dal momento in cui non è stato voluto, sento tutta la debolezza del mio sapere e del mio capire. Avverto, cioè, l'abissale incapacità  di dare dei significati, e figuriamoci le spiegazioni, a una questione così arcana, addirittura impenetrabile. Perciò, mi limiterò a compiangere quella creatura non creata, a darle la mia vacua, inefficace solidarietà : consapevole che la lettera può riceverla, in sua vece, soltanto chi ha cancellato quell'identità , cioè l'uomo e la donna che hanno fatto la scelta di negare, scientemente, la sua unica possibilità  di esistere.

Lo so, vado a toccare problemi che attengono alla libertà  dell'uomo, alle sue responsabili decisioni, non sempre dovute a egoismo e disamore, ma anche a necessità , paura e scrupoli. Sicché questa lettera non può essere la stessa per tutti. Ed è la ragione per la quale, nella mia mente, mi risolvo a indirizzarla a chi, potendolo, non ha collaborato, né intende farlo, con la vita; ma anzi l'ha scartata e la scarta, impedendola. Con il risultato, lasciate che sdrammatizzi un po' , di interrompere una sorta - certo non comprabile, in ogni senso - di catena di sant'Antonio che, dove salta un anello, lascia per strada un intento, lo interrompe, gli impedisce di compiersi.

Ecco, a chi per calcolo utilitaristico, o debolezza, o pigrizia, oppure, nei casi estremi, per il solo gusto della negazione, cioè nichilismo, nega un disegno volto a esprimere il diritto di nascere, vanno queste righe non saprei se più imprudenti o imbarazzate: perché chi le scrive è privo del titolo e dell'autorità  che, soli, potrebbero pienamente giustificarle. E tuttavia, non rinuncio a spedire, per dir così, la mia lettera di Natale, che vorrei far trovare nel modo più discreto - sotto il tovagliolo, come quando, quel giorno, si scriveva al padre e alla madre - al solo scopo di manifestare un sentimento magari discutibile, però sinceramente vissuto.

Credo, infatti, che non dovrebbe trasformarsi in una decisione facile - non oso dire qualunque - quella di consegnare all'inesistenza una realtà  tanto più stupefacente perché prorompe nella presenza di un essere nuovo, che la Creazione affidata alla vita traendola dal grembo di una natura fatta per noi; perché qui, ogni giorno, si compia il nostro Natale, ed esso segni l'arcano avvio della Promessa. Tutto ciò, lo capisco, ha un senso se lo si pensa non in funzione di qualcosa che è soggetto soltanto alla morte, alla consumazione, al ritorno nell'ombra, ma di un essere destinato a rivivere e, stavolta, per sempre.

Altrimenti basterebbe davvero richiamarsi al dolore che l'esistenza riserva, alle vite segnate, e persino recise, dalle fatalità  funeste, dagli istinti perversi, dalle leggi inique, per decidere che rifiutare un figlio, potendolo avere, può essere addirittura un atto di generosità . Ma noi sappiamo che venire al mondo è l'unica possibilità  di partecipare a un'idea di Dio, e che possiamo respingerla solo a patto di assumerci le stesse responsabilità  di Dio. È possibile? l

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017