Al servizio di un grande ideale
Padre Danilo Salezze, classe 1950, trevigiano di San Giacomo di Veglia (Vittorio Veneto), è sempre stato un frate «in prima linea»: impegnato, agli inizi della sua vita sacerdotale, nelle attività assistenziali e promozionali della Caritas Antoniana; promotore, negli anni Ottanta, di un’iniziativa per aiutare le persone a recidere le catene della dipendenza dall’alcol e dalla droga – concretizzatasi nella creazione, assieme ad altri confratelli, della «Comunità san Francesco» di Monselice, Padova –; direttore, infine, per otto anni del «Villaggio sant’Antonio» di Noventa Padovana che accoglie e accompagna nelle strade della vita adolescenti in difficoltà e persone disabili. Da qui è stato chiamato, come abbiamo annunciato nello scorso numero, a succedere a padre Agostino Gardin (eletto vescovo e segretario della Congregazione per gli Isituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica) nella direzione generale del «Messaggero di sant’Antonio». Sorriso aperto, battuta pronta, nella sua vita ha cercato di mettere in pratica la lezione di sant’Antonio: Vangelo e Carità.
«La mia elezione a direttore generale del “Messaggero di sant’Antonio” è stata davvero una sorpresa – racconta padre Danilo –. Mi sento onorato di succedere a padre Gardin. Nella vita religiosa siamo abituati ad ascoltare le necessità, sempre disponibili al servizio, anche quando viene chiesto, come nel mio caso, inaspettatamente».
Msa. Lei ha lavorato per molti anni nel sociale. Che cosa ha rappresentato questo lungo periodo di servizio ai più deboli?
Salezze. Sicuramente una grande occasione di incontro. Ho avuto la fortuna di vivere queste mie esperienze durante il lungo pontificato di Giovani Paolo II, iniziato con il suo appello ormai famoso: «Aprite le porte a Cristo». Io ho colto in esso l’invito ad aprire le porte del cuore alle persone in difficoltà. La lezione francescana di incontrare l’umanità per portarle l’annuncio del Signore e il grande carisma di sant’Antonio mi hanno accompagnato in tutti questi anni.
Lasciare la realtà del Villaggio, intessuta di rapporti umani, di vicinanza a tante persone in difficoltà, per assumere un incarico più «amministrativo», non deve essere stato facile. Che cosa porta con sé delle esperienze precedenti?
Secondo me, è nel Dna del «Messaggero di sant’Antonio» aiutare le persone a sviluppare una coscienza comunitaria e una cultura cristiana della carità, che hanno come parte determinante l’accorgersi del debole, del povero. Credo che adoperarmi, attraverso il «Messaggero», perché la carità diventi cultura del vivere sociale sia una bella avventura.
Con quale spirito affronta oggi il nuovo incarico?
Dal punto di vista aziendale – non va dimenticato che il «Messaggero si sant’Antonio» è anche un’azienda – devo imparare molte cose. Mi accosterò a questo incarico con l’animo di chi desidera imparare. Sento però che gli anni trascorsi sono stati una sorta di apprendimento dello spirito che anima il «Messaggero». Anche se non ci ho mai lavorato direttamente, ci ho sempre, per così dire, girato intorno, e l’ho sempre apprezzato. Ora credo di dover imparare ad amarlo vivendoci dentro.
Il «Messaggero di sant’Antonio» è una grande realtà con molte anime: editoriale, devozionale, associativa e anche caritativa. Come pensa di metterle insieme?
Antonio è un santo universale. Tutti gli strumenti che il «Messaggero» è andato acquisendo negli anni per annunciare il messaggio cristiano, esprimono in vari modi la stessa fede in sant’Antonio e nella sua carità. Questi modi sono, nel concreto, le riviste, i libri, la ricerca teologica, gli interventi nei Paesi più poveri del mondo. Il «Messaggero di sant’Antonio» è sicuramente una realtà complessa, ha una storia che viene da lontano e che sant’Antonio stesso continua ad animare. Sento vicine a me, in questo nuovo compito, le persone che vi lavorano – frati e laici – tutte molto motivate nel farsi tramite del Santo nel mondo. Mi piace essere al servizio di questo.
Parte importante del «Messaggero di sant’Antonio» è la relazione con i devoti, che cercano in Antonio, anche attraverso le nostre riviste, una voce di conforto. Che relazione auspica con queste persone, sparse in ogni parte del mondo?
Mi è capitato spesso di leggere le lettere inviate quotidianamente a sant’Antonio attraverso le pagine del «Messaggero»; sono intense, emozionanti, espressioni di una fede viva e sincera. Spero di avere occasione di incontrare gli associati e i devoti del Santo nei Paesi dove mi capiterà di andare. Ma spero anche che siano loro a cercare me.
Abbiamo parlato di sant’Antonio per gli altri, ma per lei, padre Danilo, cosa rappresenta il Santo di Padova?
La casa dove vivevo da piccolo era vicina a una chiesa dedicata a sant’Antonio. Ho sempre visto il Santo come il discepolo di san Francesco più vicino alle persone semplici che desiderano andare incontro al Signore. C’era un’immagine che lo raffigurava con il Bambino in braccio, segno dell’accoglienza; con la palma in mano, segno della sua scelta radicale di Cristo; con il libro, segno della sua vita incentrata sulla Parola di Dio, e con lo sguardo rivolto a Colui che egli amava profondamente. Oggi lo sento come esempio di umanità completa che si dona a Dio.
Quando, nella sua vita, lo ha sentito più vicino?
Di recente l’ho sentito vicino, in un periodo di sofferenza e di malattia. E poi l’ho sentito vicino anche in questa chiamata. Mi piace pensare che la salute ritrovata sia stata una sua grazia per consentirmi di compiere questa missione accanto a lui.