Alessandra Borghese. Incontrare la fede cambia la vita
Si tratta di un libro nato da un incontro e quindi da una sintonia profonda tra Alessandra Borghese e uno dei cardinali italiani che spicca per la nitidezza del suo magistero, per quel servizio alla verità nella carità che Benedetto XVI indica come strada maestra di ogni pastore nella e della Chiesa.
Msa. Nella sua prefazione al testo colpiscono un paio di frasi nelle quali afferma, riferendosi al Cardinal Caffarra: «O lui oppure nessun altro», e più avanti: «Spero che il nostro sodalizio non si esaurisca in questa esperienza». Perché proprio lui? Ci sono già progetti per il futuro?
Borghese. Ho sempre apprezzato e stimato Carlo Caffarra. Desideravo fare un libro con lui perché pensavo e oggi, ad operazione editoriale conclusa, ne sono ancora più convinta, che la chiarezza sia fondamentale. C’è molta confusione nella società e anche all’interno della nostra Chiesa, troppe interpretazioni, molte opinioni e spesso troppo poco spazio per il vero protagonista del Vangelo.
Il titolo riprende una frase di Tertulliano: «La verità chiede solo di essere conosciuta, prima di essere rifiutata». Molti oggi rifiutano un cristianesimo che di fatto non conoscono e si nutrono di luoghi comuni sulla fede. Com’è possibile aiutarli ad andare oltre?
Il proposito e il tentativo del nostro libro è proprio questo. Sgretolare molti pregiudizi e spiegare che il cristianesimo non toglie nulla, anzi ci rende ancora più liberi. È importante però essere sinceri nella testimonianza e nell’annuncio. La verità chiede di essere conosciuta, ma soprattutto deve essere vissuta con lealtà e coerenza.
Da alcune sue riflessioni si comprende che conosce bene il mondo ecclesiastico. Non pensa, però, di essere un po’ troppo esigente nei confronti dei preti e dei prelati in genere?
Lei crede? Dipende, cosa intende per esigente? Quello che chiedo a un prete è di essere innanzitutto un prete. Quando mi rivolgo a un sacerdote lo faccio perché vedo in lui un servitore di Dio, non uno psicanalista oppure un opinionista. Tutto qui.
Ci sono alcune affermazioni del cardinale che sono di grande densità e forse andrebbero spiegate. Ne cito una per tutte: «Non è che il relativismo renda più difficile l’educazione; la rende impossibile, perché la rende impensabile».
Il Cardinale vuole dire che pareggiando tutte le realtà e neutralizzando le differenze (es. tutte le religioni sono uguali, tutte le verità hanno la stessa valenza, ecc.) l’esercizio della libertà diventa una fatica inutile. Se tutto è uguale, allora a cosa serve scegliere?
Cosa più le è piaciuto di questa singolare avventura umana, spirituale e letteraria?
È stata un’esperienza importante e completa. Ho avuto l’onore di conoscere da vicino un uomo molto speciale, coerente e sincero, un vero innamorato di Dio.
C’è una domanda che avrebbe voluto fare e che non ha fatto, magari per pudore?
Sinceramente il Cardinale non si è sottratto a nessuna domanda, ha sempre risposto con simpatia, fermezza e chiarezza.
Si può dire che questo libro segna una nuova fase nel suo cammino di credente e di testimone della fede in Gesù Cristo?
Non saprei. Quello che posso dire è che ogni giorno è un nuovo giorno. Ogni giorno è una nuova avventura. Chissà?
La scheda. Alessandra Borghese
Nata a Roma il 25 settembre 1963 dal principe don Alessandro Romano Borghese e da Fabrizia dei conti Citterio.Compie studi cattolici presso l’Istituto Trinità dei Monti a Roma. Consegue la laurea in Business Administration all’Università John Cabot College. Tra i suoi libri, Con occhi nuovi (Piemme 2004), Sete di Dio (Piemme 2006) e Lourdes (Mondadori 2008).
Carlo Caffarra
Nato il primo giugno 1938 a Samboseto di Busseto (PR), è ordinato sacerdote il 2 luglio 1961. Prosegue gli studi a Roma dove consegue il dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. Consacrato vescovo nel Duomo di Fidenza il 21 ottobre 1995, inizia l’attività pastorale nell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio. Il 16 dicembre 2003 è chiamato a reggere l’Arcidiocesi di Bologna. Nominato cardinale da papa Benedetto XVI nel 2006, è una figura di riferimento accademica e pastorale della Chiesa di oggi.
Educare: la sfida
Un filo rosso che percorre il libro scritto a quattro mani da Alessandra Borghese e dal Cardinale Carlo Caffarra è quello dell’educazione. Ecco alcune riflessioni sul tema.
Borghese. Oggi non esistono il bene e il male ma ciò che si prova, si sente oppure no. Purtroppo, questa atmosfera nichilista caratterizza la condizione giovanile. Ai giovani d’oggi il futuro appare, spesso, come una minaccia più che come una promessa. Per loro è difficile guardare a esso perché la sua indecifrabilità fa paura. Ma il futuro non è il tempo che viene e che si attende con fatalismo, ma il tempo che si costruisce.
Caffarra. Come già ho detto, la più grande urgenza è l’educazione dei giovani. Mi limito solo a due osservazioni. La prima è che mi «sento» obbligato a una scelta non, semplicemente, per l’attrazione che un valore esercita su di me, ma perché giudico che esso sia vero. È la verità, che vedo e riconosco, che mi obbliga. E l’uomo può essere obbligato solo dalla verità. «Per questo siamo liberi – scrisse Agostino – perché siamo sottomessi alla verità». La seconda è una conseguenza. Se nego che esista una verità circa il bene della persona, inevitabilmente degrado la libertà a mera spontaneità. E l’educazione si riduce a insegnare come non farsi del male nella propria spontaneità. Anche gli animali sono spontanei, ma non sono liberi.
Come si può arrivare a dare una ragione per scegliere? Senza la stima della libertà come si può educare?
L’opera educativa è la narrazione che la generazione dei padri fa alla generazione dei figli. È la narrazione della vita. Quando la narrazione si interrompe, l’educazione è finita. La situazione in cui ci troviamo oggi ha avuto inizio nel 1968, ed è uno degli aspetti più devastanti dell’ideologia sessantottina.
Cosa vuol dire che la narrazione si interrompe? Provi a fare un esempio pratico.
Una famiglia molto credente, a me vicina, qualche anno fa ebbe un grave lutto. In pochi mesi, la loro bambina di due anni venne colpita da un tumore e morì. Qualche giorno dopo il funerale, il primogenito di quattro anni, rivolgendosi alla madre chiese: «Ma quando torna a casa Maria? (la sorellina morta)». A quel punto la mamma decise di iniziare la grande narrazione della vita spiegando l’accaduto e annunciando la risurrezione di Cristo.
Lei sta dicendo che un bambino di quattro anni è pronto a comprendere. Con la sua domanda, in fondo, il piccolo voleva dire: «Ma dove è finita mia sorella?».
La mamma poteva rispondere in diversi modi: «Ora non ho tempo» oppure: «Queste domande non sono da bambini»; o ancora: «Ma, secondo te, un morto come può tornare?».
La mamma poteva, quindi, rifiutarsi di narrare la vicenda della vita. Questo può succedere alla generazione dei padri o perché non sanno più che cosa narrare, o perché si è già rotta anche in loro la catena della narrazione, o ancora perché ritengono che non valga più la pena farlo, perché i figli da grandi capiranno da soli. Come se educare volesse dire spegnere la libertà, e non piuttosto generarla.
In questo racconto mi colpisce il fatto che una madre possa parlare di un tale dramma a un bambino di soli quattro anni. Nella nostra società si va da un eccesso all’altro. Da una parte, i bambini sono i primi a essere colpiti dalle più atroci violenze e dall’altra si cerca, invece, di proteggere la loro infanzia al punto da impedirne la crescita. Conosco molte madri che non approverebbero questo modo di agire.
Vede, la situazione dell’afasia dei padri ha generato un’afasia nei figli. Nelle giovani generazioni ciò è diventato ancora più grave anche nel linguaggio. Una ricerca ha attestato che i giovani non conoscono più di cento parole del vocabolario, con la conseguente incapacità di articolare il proprio pensiero.