ALLA CORTE DI RE CARNEVALE

Dalle origini al cristianesimo. Il contributo della commedia dell’arte. Carnevale aristocratico a Venezia, ironico a Viareggio, patriottico a Ivrea. Un imperativo per tutti: divertirsi!
04 Febbraio 1997 | di

'L'Epifania tutte le feste si porta via', recita un antico adagio. Sì, tutte meno una. Che comincia proprio all'indomani dell'Epifania. Ovvero, lo strabiliante e colorato carnevale. Con i suoi giochi (´A Carnevale ogni scherzo vale'), la sua allegria, le sue maschere. Un periodo in cui ci si scatena prima di fare penitenza in Quaresima.

Dalla Roma pagana ai secoli d'oro

Gli studiosi di tradizioni popolari fanno risalire l'origine del carnevale (la cui etimologia sembra derivare dal latino carnem levare, cioè privarsi della carne, con evidente allusione al precetto religioso che prescrive un periodo di dieta magra di penitenza dopo i bagordi della festa), alla Roma pagana e, nello specifico, ai saturnali: le grandi feste in onore di Saturno, padre degli dei, nel corso delle quali veniva eletto anche un re della festa, che organizzava i giochi cittadini. Le maschere apparvero in un secondo momento, adottate durante i baccanali, e permisero alla già  lasciva società  romana di perdere (se ancora ne aveva) le ultime inibizioni.

Intanto il cristianesimo andava diffondendosi sempre più e, a poco a poco, le spregiudicate feste pagane lasciarono il passo a più morigerate occasioni di incontro, di divertimento e di momentaneo oblio dei propri problemi, che potevano durare dall'Epifania sino a quaranta giorni prima della Pasqua. Morigeratezza di breve durata, se è vero che nel decimo secolo, il carnevale venne chiamato Festa dei pazzi, per la follia cittadina che portava la gente a profanare le chiese e a fare colossali abbuffate sugli altari.

Tra alti e bassi arriviamo al Seicento, secolo d'oro per le manifestazioni carnevalesche. Ogni occasione era buona per fare cortei mascherati o per preparare banchetti e feste. E se anche il popolo, di riflesso, si godeva alcuni momenti di divertimento, per le famiglie ricche, il fatto di organizzare carnevali memorabili costituiva motivo di vanto oltreché di competizione con le altre famiglie. Ma è nel Settecento che si assiste all'esaltazione del Carnevale. L'affermazione anche in Italia della commedia dell'arte permise ad alcune maschere di diventare, nei secoli a venire, le indiscusse protagoniste del carnevale italiano: Arlecchino, Pantalone, Colombina, Pulcinella, Stenterello, Gianduia, Balanzone, per citarne solo alcuni, con le loro caratteristiche - chi di furbizia, chi di avidità , chi di sagacia - divennero ben presto dei modelli a cui riferirsi per le mascherate collettive, ormai di moda in quasi tutte le regioni italiane.

Venezia, la regina

La città  dei dogi, cosmopolita per eccellenza, seppe mescolare, in modo superbo, stili, tradizioni, e culture di ogni paese, regalando al carnevale - modernamente inteso - la sua più luminosa primavera. La manifestazione più seguita era il Corso delle gondole, un vero e proprio corteo acqueo mascherato, che si concludeva in riva degli Schiavoni. Seguita dalle performances degli animali feroci ammaestrati: un'autentica rarità  per l'epoca.

L'aristocratica e colta Venezia non poteva certo dimenticare il teatro: nell'Ottocento si diffuse l'abitudine di fare importanti rappresentazioni a La Fenice. Superfluo ricordare che Goldoni faceva il tutto esaurito. Gli eventi della storia d'Italia, a poco a poco, assopirono il carnevale veneziano, letteralmente risorto nel 1979 - ad opera di un gruppo di veneziani - e oggi considerato uno dei più belli del mondo. Fedele alla sua tradizione, Venezia intende il carnevale non come un momento di spensieratezza gastronomica, ma come un modo di vivere per l'intera settimana grassa, ovvero un'immersione totale in un clima culturale, interamente finalizzato a questo scopo.

Viareggio, l'impudica

Un altro carnevale-simbolo dell'Italia è quello di Viareggio, autentico emblema dello sberleffo carnevalesco. Nella forma contemporanea, tra i più antichi d'Italia (battuto da quello di Foiano della Chiana, in provincia di Arezzo, del 1866), il carnevale di Viareggio è sinonimo di satira. Per quattro domeniche, sul lungomare sfilano i corsi mascherati con i famosissimi carri allegorici, frutto del lavoro dei maestri cartapestai che, con gustosa e raffinata allegoria prendono prevalentemente di mira i vip della politica e dello spettacolo, oltre che dei grandi temi sociali. Nell'edizione di quest'anno, spicca il carro La patata bollente con il presidente del consiglio italiano Romano Prodi, strattonato a destra e a sinistra dai suoi oppositori e dai suoi alleati, con davanti a sé - su un braciere - una patata bollente, simbolo dell'Italia con i suoi problemi da risolvere.

Il carnevale, diventato oggi un autentico fenomeno di costume, in ogni città  o paese italiano è degnamente festeggiato sia con carri allegorici, o con sfilate, o con rievocazioni - famose quelle di Ivrea e di Tesino (in provincia di Trento), con la manifestazione dedicata a Biagio delle Castellare, (originata da un fatto realmente accaduto nel 1356, quando fu sconfitto, grazie alle truppe di Francesco da Carrara, Biagio delle Castellare, crudele tiranno e vessatore del Tesino), o con riferimenti religiosi, ma tutti ugualmente tesi a esorcizzare le nostre paure. Siano queste storiche (il tiranno), o religiose (il diavolo), o sociali (la droga, l'Aids, il lavoro), o politiche (situazioni caotiche) non importa. Il carnevale, inteso come momento di spensieratezza intende farci sorridere dei nostri difetti, delle nostre ansie, delle nostre ipocrisie, e ricordarci che la vita va presa con ottimismo e con un pizzico di follia.

BELLI E BRUTTI A SCHIGNANO

Singolare e fortemente legata alla tradizione, la manifestazione carnevalesca che, ogni anno, si svolge a Schignano, in Val d'Intelvi, sopra la sponda occidentale del lago di Como. Per questa valle, che ha conosciuto per secoli il fenomeno dell'emigrazione, il carnevale ha sempre rappresentato un punto di riferimento e un'occasione di ritorno per chi, ormai, vive e lavora all estero.

Preceduta il 5 gennaio dalla grande festa della Vegeta, dei coscritti diciottenni, a mezzanotte del 6 entrano in scena le maschere che segnano l'inizio del carnevale Dei Belli e dei brutti. I personaggi sono gli stessi da sempre: i Mascarun (i belli, ricchi e fortunati che non dovevano lasciare il paese), i Brut (i brutti, obbligati a emigrare), la Ciocia (la moglie trascurata del bello, che ingiuria e si lamenta contro il marito-padrone), i Sapor (zappatori dal francese sapeur), vestiti con pelle di pecora e con il viso nero di fuliggine, i baffoni di stoppa e fil di ferro, che rappresentano simbolicamente gli antichi abitatori della valle che favorirono il passaggio dalla società  primitiva a quella agreste.

Protagoniste del carnevale sono le maschere intagliate nel legno (radica di noce) che coprono l intero volto. Le donne (assolutamente escluse dal corteo carnevalesco) lavorano molti giorni per confezionare gli abiti, i mantelli, i pantaloni e i cappelli adorni di fiori e di piume dei belli. I Brut, invece, non vengono aiutati dalle donne, si travestono in fretta negli scantinati e nelle stalle, indossando le cose più stracciate che riescono a trovare e portano in mano strumenti di lavoro od oggetti d'uso banali. All'incedere flessuoso ed elegante dei belli si contrappone l'andatura faticosa e rozza dei brutti.

Il corteo carnevalesco vero e proprio si svolge il sabato e il martedì precedenti le Ceneri, e gira per tutte le frazioni della valle, fermandosi spesso nelle osterie, dove i figuranti bevono e intrecciano balli con il pubblico in un'atmosfera di grande partecipazione.

BATTAGLIA DI ARANCE A IVREA

Nato nel 1858, sull'onda emotiva del Risorgimento, per l'episodio al quale si ispira, il Carnevale di Ivrea, in provincia di Torino, può considerarsi, a buon diritto, il simbolo della libertà  del popolo. Nel 1194, signore di Ivrea era Carlo, marchese del Monferrato, il quale si avvaleva dello ius primae noctis con tutte le sue suddite. Una bella mugnaia, Violetta, gli si rifiutò seccamente, provocandone le ire. Deciso a sequestrarla, mentre i suoi scagnozzi la portavano via, in aiuto di Violetta arrivò un cavaliere sconosciuto che, dopo aver ucciso quattro ribaldi, mise in fuga gli altri. La stessa Violetta, per completare la vendetta, finse allora di sottostare alle voglie del marchese ma, in un momento di distrazione, lo uccise. Non contenta, gli tagliò la testa che gettò nel sottostante fiume Dora, e incendiò il castello.

La popolazione salutò l'azione di Violetta come un segno favorevole del destino e, stanca e angariata da tanti soprusi, si armò come poté e insorse contro le autorità . I combattimenti durarono tre giorni, poi i soldati del marchese, sopraffatti, furono scacciati e Ivrea divenne un libero comune. Questa vicenda è ricordata, ogni anno, durante gli ultimi tre giorni del Carnevale con una incredibile partecipazione popolare.

La domenica ha luogo la battaglia delle arance, una delle più belle rappresentazioni simboliche di un'insurrezione popolare - quella del 1194 - in cui i protagonisti pagano personalmente il costo dei proiettili da getto, contribuendo a dare forma a una suggestiva quanto originale battaglia cittadina.

PUTIGNANO IN FESTA DAL 26 DICEMBRE

Il carnevale di Putignano, in provincia di Bari, inizia il 26 dicembre. Una leggenda locale vuole che 1394 sia avvenuta la traslazione delle spoglie di santo Stefano Protomartire, dal monastero di Santo Stefano di Monopoli, dov'erano custodite, all'abbazia putignanese di Santa Maria la Greca.

In quell'occasione, i contadini putignanesi, intenti a piantare le viti, al passaggio dei fedeli con le spoglie del Santo, si unirono al corteo, improvvisando una festa con canti e balli, e, personaggi estrosi inventarono versi e rime coniate per l'occasione. Nacque così la propaggine (un modo per piantare la vite) e la festa, celebrata ancora oggi il 26 dicembre, permette ai propagginanti, vestiti da contadini, di alternarsi sulla via declamando allusivi e pungenti versi satirici all'indirizzo delle autorità  locali o che si riferiscono a fatti e misfatti della vita cittadina.

Se la propaggine costituisce l'evento che meglio rappresenta l'identità  culturale del carnevale di Putignano, vanno ricordati nel lungo carnevale cittadino che dura fino al martedì grasso, anche i giovedì, dedicati in maniera burlesca a precise categorie: i monsignori, i preti, le monache, i cattivi (i vedovi), le donne accasate, i pazzi (giovani non sposati) e i cornuti (uomini sposati). Da ricordare anche i 'riti' del carnevale putignanese: la festa dell'orso, del 2 febbraio, legata a una credenza popolare che ha per protagonista un orso, sostituito in tempi recenti da un uomo camuffato da orso. L'estrema unzione, nel pomeriggio del penultimo giorno di carnevale, con un corteo di finti chierici, con un finto vescovo che impartiscono l'estrema unzione al carnevale che sta per morire. E Il funerale del carnevale, il martedì grasso, che simula un vero e proprio corteo funebre. Le 'spoglie' del carnevale chiuse in una bara, seguite da una inconsolabile vedova, vengono accompagnate da scoppi di pianto e da teatrali gesti di disperazione. Il grottesco funerale si conclude con la bara data alle fiamme, un gesto purificatorio che lascia un mucchietto di ceneri, simbolo della Quaresima imminente.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017