Allarme rosso per l'editoria italiana all'estero
Adeguati strumenti e professionalità per garantire tradizione, innovazione e autorevolezza. Ma anche una fase nuova nei rapporti con la politica. Non si cancella la storia a colpi di decreti.
11 Maggio 2010
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Roma
La Fusie, Federazione unitaria della stampa italiana all’estero, nella sua recente riunione plenaria, ha eletto nuovo presidente, quasi all’unanimità, Giangi Cretti. Lo abbiamo intervistato.
Montanari. La Fusie è stata accusata, negli ultimi anni, di un certo immobilismo di fronte ai sempre più drammatici problemi che hanno investito l’editoria. D’ora in avanti come intende muoversi la nuova presidenza?
Cretti. Con la consapevolezza che i tempi sono ancora più duri, e che è ancora più difficile avere udienza da quegli interlocutori, soprattutto istituzionali, che sono comunque determinati nella definizione della politica e degli interventi a sostegno dell’editoria italiana all’estero. A tal fine cercherò di attivare tutte le vie e tutti i contatti possibili per il massimo coinvolgimento di tutti quei soggetti che, a diverso titolo, possono contribuire a migliorare il dialogo e il confronto. Un ruolo importante ce l’avranno gli operatori stessi e le associazioni di categoria, ma spero che non si sottraggano a un coinvolgimento diretto anche i politici: quelli eletti all’estero ma non solo loro. E anche il Cgie, il Consiglio generale degli italiani all’estero.
Gli interlocutori politici che dovevano essere il sostegno delle comunità italiane all’estero, sembrano non avere assolto del tutto al loro ruolo. È così?
Nella sostanza direi di no, anche se forse la percezione è quella. Per quanto riguarda, in modo specifico, il problema dei tagli all’editoria, credo che siano stati colti in contropiede dal fatto che l’articolo che prevede questo taglio è stato inserito in un Decreto con il nome sintomatico di «Mille proroghe». In altre parole, non se ne sono neppure accorti fino a che non è stato approvato. Va sottolineato, comunque, che anche da parte dei parlamentari della maggioranza vi sono state reazioni ed emendamenti con cui questi tagli specifici non solo vengono condannati, ma si chiede che vengano pure azzerati.
Quali prospettive ha l’informazione italiana nel mondo?
In parte dipenderà dagli eventuali risultati che si riusciranno ad ottenere sul versante dei contributi pubblici che chiediamo vengano almeno ripristinati prima di una seria riflessione sulla necessaria riforma della legge che ne definisce l’erogazione. Molto di più, invece, dipenderà dalla capacità che gli editori e gli operatori sapranno mettere in campo di fronte ai mutati modi di veicolare e di utilizzare le informazioni. Se da un lato non vi è dubbio che la stampa italiana all’estero svolga ancora un ruolo insostituibile in termini di aggregazione comunitaria e di integrazione, è pur vero che la sua fruizione, così come l’abbiamo sempre concepita, sia in diminuzione. D’altro canto è in aumento l’utilizzo delle nuove tecnologie che sono uno strumento fenomenale che, però, non ha ancora l’autorevolezza e la credibilità che le testate tradizionali si sono costruite nel corso di decenni durante i quali hanno svolto anche un ruolo di servizio, talvolta sostituendosi ai compiti che avrebbe dovuto svolgere lo Stato.
La legge attuale non prende in considerazione né le nuove tecnologie né il settore radiotelevisivo. Possiamo aspettarci un cambiamento nella normativa?
Lo possiamo auspicare. E per quello che ci compete lo chiederemo, cosa che d’altronde abbiamo fatto per anni, fermo restando una chiara trasparenza nella definizione dei criteri e dei requisiti che dovrebbero consentire l’accesso a eventuali contributi. Data la volatilità propria di uno strumento come quello informatico, questi criteri e requisiti andranno rigorosamente formulati.
Ha ancora una funzione l’informazione italiana all’estero?
Indubbiamente sì. Almeno finché è in grado di aver un pubblico che la richiede. Dal punto di vista teorico possiamo dire che essa contribuisce a consolidare il senso di appartenenza, a creare un’opinione, per certi versi a mantenere viva la diffusione della lingua italiana al di fuori dei confini nazionali. Da un punto di vista pratico, molto dipende da come l’informazione viene fatta; pertanto dalle strategie editoriali di ciascuna testata, fatto salvo il fatto che se fondamentali sono le risorse intellettuali, irrinunciabili sono quelle materiali.
Il documento della Prima Commissione Informazione e Comunicazione
Richiesto il ripristino dei fondi per la stampa italiana all’estero e una riforma partecipata della legislazione di settore
I tagli del 50% ai fondi destinati alle pubblicazioni italiane nel mondo, relativi alla legge 416/81 per i periodici, e alla legge 250/92 per i quotidiani, costituiscono un intervento brutale che mette a repentaglio la possibilità di sopravvivenza di molti di questi giornali.
Il provvedimento compreso nel cosiddetto «Decreto Mille proroghe», peraltro retroattivo, e quindi di dubbia costituzionalità, taglia fondi per un ammontare di circa 5 milioni di euro: una cifra che potrebbe essere recuperata, sul piano contabile, applicando in maniera più equa le leggi attuali sull’editoria.
Questa politica si inserisce in una serie di misure discriminatorie che, ultimamente, hanno colpito le strutture portanti delle nostre comunità all’estero: dall’ICI alla de-strutturazione della rete consolare, alla lingua, alla cultura e all’assistenza.
I giornali e i periodici italiani nel mondo costituiscono, insieme a realtà di altra natura, l’ossatura fondamentale che permette di mantenere unito il Sistema-Paese all’estero. Sono la voce delle nostre comunità che acquistano visibilità proprio ed esclusivamente grazie all’informazione che le riguarda. Le comunità italiane all’estero non sono normalmente rappresentate né sulla stampa locale, né tanto meno sulla stampa nazionale. Senza un’informazione specifica esse rimarrebbero invisibili storicamente e socialmente.
Le nuove tecnologie mediatiche, di cui tutti ci auguriamo lo sviluppo, non sostituiscono però la funzione e l’autorevolezza della parola scritta su carta; per non parlare del fatto che gran parte della nostra emigrazione non ha ancora accesso ai nuovi mezzi. Occorre, certo, riformare – e il Cgie ha già elaborato proposte specifiche – la normativa sulle misure di sostegno per la qualificazione e la trasparenza dell’intervento pubblico, nella consapevolezza che l’ingresso dei new media vada considerato in un contesto di offerta d’informazione professionale e integrata. I giornali delle comunità italiane all’estero rappresentano indici di riconoscimento immediato su cui una buona politica riformatrice può favorire integrazione e sviluppo.
In attesa di una legge quadro sull’editoria che consenta anche la costituzione di una normativa per il riconoscimento e per la selezione di nuove tecnologie informatiche, così come della funzione di radio e televisione, la Commissione chiede con forza il ripristino immediato dei fondi tagliati alla Stampa italiana all’estero, sanando così la discriminazione operata unicamente ai danni di questo settore che oggi è stato messo in ginocchio e che, in alcune realtà storiche, sta rischiando il collasso.
La Commissione fa propria la «Risoluzione di Montreal» – che assume come parte integrante della propria iniziativa – e ribadisce l’istanza di costituire un tavolo di confronto tra il Cgie, le Associazioni e i Sindacati di settore, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero degli Esteri, il Ministero dell’Economia, il Ministero della Cultura. Nella transizione verso la riforma, infatti, deve essere assicurata la continuità editoriale delle testate, fatte salve le verifiche di legge sui diritti maturati, e una collaborazione tra tutti i Ministeri interessati può sciogliere efficacemente il nodo delle risorse per far fronte agli impegni già assunti dallo Stato per il 2009, e per assicurare la copertura relativa all’anno in corso.
L’Assemblea Generale del Cgie condividendo le preoccupazioni e le istanze della Commissione, e richiamando i precedenti documenti programmatici sulla riforma dell’editoria, chiede, infine, che il Consiglio generale degli italiani all’estero partecipi a pieno titolo al processo di consultazione per «l’elaborazione di una riforma condivisa» più volte annunciato come imminente dal sottosegretario all’editoria, Paolo Bonaiuti. A questo scopo chiede che il Ministero degli Esteri si adoperi per assicurare i necessari interventi politici e amministrativi presso la Presidenza del Consiglio.
(Roma, 26 Aprile 2010)
La Fusie, Federazione unitaria della stampa italiana all’estero, nella sua recente riunione plenaria, ha eletto nuovo presidente, quasi all’unanimità, Giangi Cretti. Lo abbiamo intervistato.
Montanari. La Fusie è stata accusata, negli ultimi anni, di un certo immobilismo di fronte ai sempre più drammatici problemi che hanno investito l’editoria. D’ora in avanti come intende muoversi la nuova presidenza?
Cretti. Con la consapevolezza che i tempi sono ancora più duri, e che è ancora più difficile avere udienza da quegli interlocutori, soprattutto istituzionali, che sono comunque determinati nella definizione della politica e degli interventi a sostegno dell’editoria italiana all’estero. A tal fine cercherò di attivare tutte le vie e tutti i contatti possibili per il massimo coinvolgimento di tutti quei soggetti che, a diverso titolo, possono contribuire a migliorare il dialogo e il confronto. Un ruolo importante ce l’avranno gli operatori stessi e le associazioni di categoria, ma spero che non si sottraggano a un coinvolgimento diretto anche i politici: quelli eletti all’estero ma non solo loro. E anche il Cgie, il Consiglio generale degli italiani all’estero.
Gli interlocutori politici che dovevano essere il sostegno delle comunità italiane all’estero, sembrano non avere assolto del tutto al loro ruolo. È così?
Nella sostanza direi di no, anche se forse la percezione è quella. Per quanto riguarda, in modo specifico, il problema dei tagli all’editoria, credo che siano stati colti in contropiede dal fatto che l’articolo che prevede questo taglio è stato inserito in un Decreto con il nome sintomatico di «Mille proroghe». In altre parole, non se ne sono neppure accorti fino a che non è stato approvato. Va sottolineato, comunque, che anche da parte dei parlamentari della maggioranza vi sono state reazioni ed emendamenti con cui questi tagli specifici non solo vengono condannati, ma si chiede che vengano pure azzerati.
Quali prospettive ha l’informazione italiana nel mondo?
In parte dipenderà dagli eventuali risultati che si riusciranno ad ottenere sul versante dei contributi pubblici che chiediamo vengano almeno ripristinati prima di una seria riflessione sulla necessaria riforma della legge che ne definisce l’erogazione. Molto di più, invece, dipenderà dalla capacità che gli editori e gli operatori sapranno mettere in campo di fronte ai mutati modi di veicolare e di utilizzare le informazioni. Se da un lato non vi è dubbio che la stampa italiana all’estero svolga ancora un ruolo insostituibile in termini di aggregazione comunitaria e di integrazione, è pur vero che la sua fruizione, così come l’abbiamo sempre concepita, sia in diminuzione. D’altro canto è in aumento l’utilizzo delle nuove tecnologie che sono uno strumento fenomenale che, però, non ha ancora l’autorevolezza e la credibilità che le testate tradizionali si sono costruite nel corso di decenni durante i quali hanno svolto anche un ruolo di servizio, talvolta sostituendosi ai compiti che avrebbe dovuto svolgere lo Stato.
La legge attuale non prende in considerazione né le nuove tecnologie né il settore radiotelevisivo. Possiamo aspettarci un cambiamento nella normativa?
Lo possiamo auspicare. E per quello che ci compete lo chiederemo, cosa che d’altronde abbiamo fatto per anni, fermo restando una chiara trasparenza nella definizione dei criteri e dei requisiti che dovrebbero consentire l’accesso a eventuali contributi. Data la volatilità propria di uno strumento come quello informatico, questi criteri e requisiti andranno rigorosamente formulati.
Ha ancora una funzione l’informazione italiana all’estero?
Indubbiamente sì. Almeno finché è in grado di aver un pubblico che la richiede. Dal punto di vista teorico possiamo dire che essa contribuisce a consolidare il senso di appartenenza, a creare un’opinione, per certi versi a mantenere viva la diffusione della lingua italiana al di fuori dei confini nazionali. Da un punto di vista pratico, molto dipende da come l’informazione viene fatta; pertanto dalle strategie editoriali di ciascuna testata, fatto salvo il fatto che se fondamentali sono le risorse intellettuali, irrinunciabili sono quelle materiali.
Il documento della Prima Commissione Informazione e Comunicazione
Richiesto il ripristino dei fondi per la stampa italiana all’estero e una riforma partecipata della legislazione di settore
I tagli del 50% ai fondi destinati alle pubblicazioni italiane nel mondo, relativi alla legge 416/81 per i periodici, e alla legge 250/92 per i quotidiani, costituiscono un intervento brutale che mette a repentaglio la possibilità di sopravvivenza di molti di questi giornali.
Il provvedimento compreso nel cosiddetto «Decreto Mille proroghe», peraltro retroattivo, e quindi di dubbia costituzionalità, taglia fondi per un ammontare di circa 5 milioni di euro: una cifra che potrebbe essere recuperata, sul piano contabile, applicando in maniera più equa le leggi attuali sull’editoria.
Questa politica si inserisce in una serie di misure discriminatorie che, ultimamente, hanno colpito le strutture portanti delle nostre comunità all’estero: dall’ICI alla de-strutturazione della rete consolare, alla lingua, alla cultura e all’assistenza.
I giornali e i periodici italiani nel mondo costituiscono, insieme a realtà di altra natura, l’ossatura fondamentale che permette di mantenere unito il Sistema-Paese all’estero. Sono la voce delle nostre comunità che acquistano visibilità proprio ed esclusivamente grazie all’informazione che le riguarda. Le comunità italiane all’estero non sono normalmente rappresentate né sulla stampa locale, né tanto meno sulla stampa nazionale. Senza un’informazione specifica esse rimarrebbero invisibili storicamente e socialmente.
Le nuove tecnologie mediatiche, di cui tutti ci auguriamo lo sviluppo, non sostituiscono però la funzione e l’autorevolezza della parola scritta su carta; per non parlare del fatto che gran parte della nostra emigrazione non ha ancora accesso ai nuovi mezzi. Occorre, certo, riformare – e il Cgie ha già elaborato proposte specifiche – la normativa sulle misure di sostegno per la qualificazione e la trasparenza dell’intervento pubblico, nella consapevolezza che l’ingresso dei new media vada considerato in un contesto di offerta d’informazione professionale e integrata. I giornali delle comunità italiane all’estero rappresentano indici di riconoscimento immediato su cui una buona politica riformatrice può favorire integrazione e sviluppo.
In attesa di una legge quadro sull’editoria che consenta anche la costituzione di una normativa per il riconoscimento e per la selezione di nuove tecnologie informatiche, così come della funzione di radio e televisione, la Commissione chiede con forza il ripristino immediato dei fondi tagliati alla Stampa italiana all’estero, sanando così la discriminazione operata unicamente ai danni di questo settore che oggi è stato messo in ginocchio e che, in alcune realtà storiche, sta rischiando il collasso.
La Commissione fa propria la «Risoluzione di Montreal» – che assume come parte integrante della propria iniziativa – e ribadisce l’istanza di costituire un tavolo di confronto tra il Cgie, le Associazioni e i Sindacati di settore, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero degli Esteri, il Ministero dell’Economia, il Ministero della Cultura. Nella transizione verso la riforma, infatti, deve essere assicurata la continuità editoriale delle testate, fatte salve le verifiche di legge sui diritti maturati, e una collaborazione tra tutti i Ministeri interessati può sciogliere efficacemente il nodo delle risorse per far fronte agli impegni già assunti dallo Stato per il 2009, e per assicurare la copertura relativa all’anno in corso.
L’Assemblea Generale del Cgie condividendo le preoccupazioni e le istanze della Commissione, e richiamando i precedenti documenti programmatici sulla riforma dell’editoria, chiede, infine, che il Consiglio generale degli italiani all’estero partecipi a pieno titolo al processo di consultazione per «l’elaborazione di una riforma condivisa» più volte annunciato come imminente dal sottosegretario all’editoria, Paolo Bonaiuti. A questo scopo chiede che il Ministero degli Esteri si adoperi per assicurare i necessari interventi politici e amministrativi presso la Presidenza del Consiglio.
(Roma, 26 Aprile 2010)
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017