Alle Nazioni Unite la «voce dei senza voce»
Il primo Pontefice a visitare l’Onu fu Paolo VI, il 4 ottobre 1965. Del suo discorso è rimasta impressa nel ricordo soprattutto l’esclamazione, a un tempo di dolore e di appassionata speranza: «Mai più gli uni contro gli altri, mai più!… Non più la guerra, non più la guerra! La pace deve guidare le sorti dei popoli e dell’intera umanità!».
Mentre quel pomeriggio il Papa pronunciava il suo discorso in francese, la guerra del Vietnam era in pieno svolgimento, con violenti combattimenti nel Sud e i bombardamenti statunitensi sul Nord del Paese. Il mondo era allora suddiviso in due grandi schieramenti contrapposti: da un lato quello che faceva capo agli Stati Uniti, guidato dal presidente degli Usa Lyndon B. Johnson, dall’altro quello legato ai sovietici con il duo Kossighin-Breznev.
Paolo VI era stato invitato dal segretario dell’Onu, il birmano U-Thant e presentato dal presidente di turno dell’assemblea, l’italiano Amintore Fanfani. L’ampio emiciclo era gremito ma, come ricordano le cronache, mancavano i rappresentanti dell’Albania che, essendosi proclamata «primo regime ateo al mondo», avevano ostentatamente disertato la seduta.
A Roma il Concilio si avviava verso la conclusione e il Papa era accompagnato, nel suo ingresso nell’emiciclo, da una delegazione di cardinali.
Ma come si era preparato a quell’incontro? Nell’unica intervista diretta concessa a un giornalista (Alberto Cavalieri del «Corriere della Sera») durante il suo pontificato, Paolo VI aveva detto: «Ci mettiamo il mantello del pellegrino che è quello di san Rocco e, credetemi, è come san Rocco che ci rechiamo lì».
Il suo approccio, nel discorso all’Onu, fu di estrema utilità (e qui tocchiamo un’altra costante, oltre al tema della pace, degli interventi papali al consesso mondiale): «Voi avete davanti un uomo come voi, egli è vostro fratello (…). Egli non ha alcuna potenza temporale». Un discorso animato al contempo da un forte senso missionario («Siamo portatori di un messaggio per tutta l’umanità») e dalla volontà di esprimere la voce dei senza voce: «La voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere, al progresso».
Ritornato in Italia, Paolo VI espresse le sue sensazioni in merito alla visita nel corso di un incontro privato, come testimonia oggi don Gino Belleri direttore della «Libreria leoniana» a un passo dal Vaticano: «Il Papa raccontò di aver sentito vibrare sotto quelle volte il “Discorso della Montagna” di Gesù, rivolto a tutti i popoli del mondo».
Il filo conduttore della pace si sposò nel discorso del Pontefice con quello dell’uguaglianza e della giustizia internazionale, a favore dei poveri del mondo, dei Paesi in via di sviluppo. L’intervento di Paolo VI non fu infatti generico, ma riprese l’appello lanciato a Bombay durante il viaggio in India, nel dicembre 1964, perché le nazioni, in particolare quelle più forti, devolvessero una parte delle somme investite in armamenti a un fondo mondiale per i Paesi in via di sviluppo (a Bombay il Papa aveva detto più radicalmente: «Per la soluzione dei problemi che colpiscono i diseredati»). Una richiesta che fu applaudita universalmente e rimase, altrettanto universalmente, irrealizzata. Infine, il Papa inserì nel suo discorso un breve ma significativo inciso a favore del «rispetto alla vita, anche per ciò che riguarda il grande problema della natalità che deve avere qui la sua più alta professione e la sua più ragionevole difesa», puntando sul coraggio e non sull’egoismo.
Giovanni Paolo II: 1979 e 1995
Giovanni Paolo II si recò due volte all’Onu: nel 1979 e nel 1995.
Malgrado fossero trascorsi quattordici anni dalla visita di papa Montini, l’Onu che Wojtyla incontrò il 2 ottobre 1979 non era molto diverso da quello del 1965.
Sulla scena mondiale continuava la «guerra fredda» tra le due superpotenze, anche se si era compiuto qualche passo in avanti (col Salt 2) per limitare la corsa agli armamenti. Alla testa degli Usa c’era Jimmy Carter; a capo dell’Urss ancora gli intoccabili Kossighin-Breznev. Giovanni Paolo II era Papa da un anno, al suo terzo viaggio, e arrivò al Palazzo di Vetro su invito del segretario dell’Onu, il discusso Kurt Waldheim.
La sua perorazione a favore della pace si aprì con il ricordo – che il Papa attinse dalla personale esperienza – dell’invasione nazista della Polonia che aveva provocato la seconda guerra mondiale e del genocidio nel campo di sterminio di Auschwitz che il Papa citò con il nome polacco di Os´wi˛ecim. Da qui il suo invito a rovesciare l’antico detto: «Se vuoi la pace prepara la guerra» che alimenta solo la spirale degli armamenti e favorisce gli «eventuali, sempre nuovi imperialismi» (che il Papa citò al plurale). Giovanni Paolo II andò quindi al concreto e auspicò una soluzione della crisi del Medio Oriente, citando in modo specifico «la considerazione e la giusta soluzione del problema palestinese». Parole che mantengono ancora oggi tutta la loro forza e attualità.
Al centro del discorso papale c’era «l’uomo inteso nella sua integrità» che deve essere compreso e salvaguardato nei suoi diritti. Giovanni Paolo II citò ripetutamente la «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo» proclamata dall’Onu nel 1948, ma ancora disattesa in molti Paesi.
«Sparisca ogni forma di campo di concentramento… di tortura e di oppressione» esclamò il Papa. Affermò ancora il «primato dei valori spirituali» e la rimozione di tutti quegli impedimenti materiali che bloccano il pieno fiorire della dignità della persona umana. Tra questi il Papa evocò «lo sfruttamento del lavoro» auspicando un’associazione dei lavoratori al processo della produzione e una loro partecipazione all’impresa. Come si evince da queste citazioni, il Papa prospettò una visione globale per muovere verso una società composta di uomini interiormente pacificati e non solo esenti da conflitti esterni. Facendo poi riferimento alla proclamazione da parte dell’Onu del 1979 come «Anno del fanciullo», Giovanni Paolo II parlò in favore di una formazione integrale, perché «la sollecitudine per il bambino, ancora prima della sua nascita, dal concepimento e, in seguito, negli anni dell’infanzia e della giovinezza, è la prima e fondamentale verifica della relazione dell’uomo all’uomo».
Quando il Papa fece ritorno all’Onu, il 5 ottobre 1995, nel cinquantesimo anniversario della sua fondazione, su invito del segretario, l’egiziano Boutros Boutros Ghali, lo scenario era totalmente cambiato. I regimi comunisti europei erano crollati, l’Urss si era dissolta. Giovanni Paolo II rese omaggio alle rivoluzioni non violente che avevano affermato il «potere dei senza potere» di fronte al «totalitarismo moderno».
All’epoca, però, non mancavano nuove nubi minacciose. I nazionalismi, troppo a lungo compressi, stavano riemergendo talvolta in forme virulente; la dissoluzione dell’ex Jugoslavia aveva scatenato una guerra nel cuore dell’Europa, dai Balcani alla Bosnia; nel centro Africa era avvenuto il massacro tra tutsi e hutu.
Il Papa propose allora all’Onu di stilare una Dichiarazione dei diritti delle nazioni (in analogia a quella del 1948 sui diritti dell’uomo). Come sappiamo l’assemblea applaudì calorosamente la richiesta e … non ne fece nulla.
A trent’anni dalla prima visita di un Papa, Paolo VI, l’Onu aveva perso autorevolezza: durante la guerra di Bosnia e di fronte al genocidio nel Ruanda c’era stata, di fatto, una colpevole inerzia. Il Pontefice, che due anni prima, davanti al corpo diplomatico in Vaticano aveva evocato il «diritto all’ingerenza umanitaria», invocò in quell’occasione una riforma delle Nazioni Unite in direzione di una più stringente etica della solidarietà. Non solo per la pace, ma anche per la giustizia sociale, sottolineando che non si poteva imporre un «unico modello sociale al mondo intero».
Il Papa che aveva iniziato il suo pontificato con un forte invito a «non aver paura» terminò in quell’occasione il suo intervento rivolto al nuovo millennio riprendendo le parole forti dell’ottimismo cristiano: «Non dobbiamo aver timore del futuro. Non dobbiamo aver paura dell’uomo…». Se agiremo con fiducia ci renderemo conto «che le lacrime di questo secolo hanno preparato il terreno a una nuova primavera dello spirito umano».
Il Papa negli Usa di Matteo Bosco Bortolaso
18 aprile 2008: il giorno di Benedetto XVI
Una visita molto attesa dagli oltre 70 milioni di cattolici che popolano gli Stati Uniti.Il rapporto tra leggi internazionali e moralesarà il fulcro del discorso papale all’Onu.
C’è grande attesa per la prima visita di Benedetto XVI negli Stati Uniti. Tantissimi fedeli – i cattolici in Usa sono circa 70 milioni – aspettano con ansia di poter incontrare il Papa tedesco, che festeggerà i suoi primi tre anni al Soglio pontificio nella famosa cattedrale di San Patrizio. Non solo. Il Pontefice compirà gli anni proprio durante la visita americana.I cinque giorni che Papa Ratzinger trascorrerà negli Stati Uniti saranno «un momento di benedizione per la nostra nazione», ha affermato in un comunicato il presidente della Conferenza dei vescovi americani, l’arcivescovo William Skylstad. «Papa Benedetto non è solo il leader dei cattolici – ha aggiunto – ma anche un uomo che è fonte d’ispirazione per tutti coloro che lavorano per la pace».
Il Papa arriverà il 15 aprile alla base aerea di Andrews, in Maryland. Il giorno dopo – data del suo ottantunesimo compleanno – incontrerà il presidente George W. Bush alla Casa Bianca (sarà questo il secondo incontro tra Bush e Benedetto XVI: il primo è avvenuto in Vaticano lo scorso giugno).
Guida del Pontefice nella capitale degli Stati Uniti sarà Pietro Sambi, nunzio apostolico della Santa Sede negli Usa. Sambi è stato «ambasciatore» del Vaticano in numerosi Paesi del mondo: da Israele e i territori palestinesi all’Algeria, dal Camerun e il Burundi al Nicaragua, passando per Belgio e Indonesia. È stato lo stesso nunzio apostolico ad annunciare ufficialmente la visita del Papa l’anno scorso, durante una riunione a Baltimora della Conferenza dei vescovi americani. Parlando con loro, Sambi ha detto di augurarsi che il viaggio del Pontefice porterà «una nuova primavera, una nuova Pentecoste per la Chiesa d’America».
Il giorno successivo alla visita alla Casa Bianca, il 17 aprile, Benedetto XVI celebrerà una messa nel nuovo stadio di baseball dei Nationals, nella capitale, e in seguito incontrerà alla Catholic University docenti, studenti ed esponenti del mondo dell’educazione cattolica provenienti da tutti gli Stati Uniti.
Il 18 aprile, il Papa si trasferirà a New York per parlare all’Assemblea delle Nazioni Unite. Anche questa è un’occasione molto attesa: diplomatici e giornalisti al Palazzo di Vetro sono abituati a vedere i potenti di tutto il mondo, ma sono comunque ansiosi di ascoltare il messaggio che il Pontefice lancerà, simbolicamente, a ognuno dei 192 Paesi membri dell’Organizzazione internazionale. All’Onu si attende un discorso importante sui rapporti tra leggi internazionali e morale. È previsto inoltre un incontro con il segretario generale delle Nazioni Unite, il sudcoreano Ban Ki-moon, che lo aveva ufficialmente invitato all’Onu durante una visita in Vaticano. Con ogni probabilità il colloquio avverrà nell’ufficio del segretario generale, al trentottesimo piano del Palazzo di Vetro. Il Vaticano ha un seggio come osservatore – non come membro – all’Assemblea Generale: può intervenire ma non votare. L’arcivescovo Celestino Migliore è l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu e accompagnerà il Pontefice nei corridoi delle Nazioni Unite. Come Sambi, anche Migliore ha viaggiato molto: è stato in Angola, Egitto e Polonia e in un’altra importante Organizzazione multilaterale, il Consiglio d’Europa.
Dopo la giornata alle Nazioni Unite, arriverà il 19 aprile, una data molto importante perché segna l’inizio del pontificato di Joseph Ratzinger, che festeggerà i primi tre anni al Soglio pontificio in un luogo simbolo per il cattolicesimo degli Stati Uniti: la cattedrale di San Patrizio, dove presiederà una celebrazione eucaristica. Quindi è in agenda una visita ai seminaristi a Yonkers, un sobborgo a nord del Bronx.
La mattina dell’ultimo giorno, il 20, sarà invece dedicata alla memoria: Benedetto XVI visiterà Ground Zero, dove sorgevano le Torri gemelle colpite dall’attacco dell’11 settembre 2001.
Nel pomeriggio la visita si concluderà con la grandiosa messa del Papa allo Yankee Stadium, il leggendario stadio del baseball newyorchese.