Allora, sposarsi o convivere?

14 Gennaio 2001 | di
 
   

   

Una lettrice contesta la posizione della Chiesa espressa in una riposta apparsa sul Messaggero di qualche tempo fa. E lo fa con un certo tono rivelatore, che  vale la pena di analizzare.

di Giuseppe Celso Mattellini

 
UNA LETTERA, UN PROBLEMA      

«V orrei esporre il mio pensiero alla signora  Giulia, la cui lettera è apparsa a pagina 74 del 'Messaggero di sant' Antonio' n. 10/2000. Titolo dell' articolo 'Matrimonio di prova'; argomento: la convivenza prematrimoniale.
«Vorrei chiedere alla scrivente: lei, mamma, sarebbe forse più soddisfatta e serena se sua figlia, tradita e umiliata da un compagno che ovviamente non ricambiava i suoi sentimenti in modo serio, fosse stata con lui sposata? Che ne sarebbe ora di lei? Forse che le avventure extra-coniugali e i tradimenti di un marito sono meno gravi e più accettabili di quelli di un fidanzato con cui si convive?
«Agli estensori della risposta, invece, vorrei rivolgere un invito. Pur comprendendo la loro posizione di cattolici, mi sembra che avrebbero potuto essere più obiettivi. Moltissime coppie, dopo un periodo di felice e responsabile convivenza si sfasciano proprio nel momento in cui decidono di 'regolarizzare' la loro situazione con un matrimonio, civile o religioso che sia.
«Non tutti i giovani che scelgono di convivere prima delle nozze nascondono secondi fini o lo fanno per comodo, ma spesso decidono responsabilmente di conoscersi meglio prima di decidere per un passo tanto importante, quale il matrimonio.
«Infine, mi sembra doveroso sottolineare che non è certo un contratto quale il matrimonio, in chiesa o in comune, a garantire la buona riuscita dell' unione, ma i sentimenti d' amore e rispetto reciproco dei due che scelgono di condividere le gioie e le avversità  della vita quotidiana
«È semplicemente assurdo, oltre che sbagliato e ridicolo, sostenere com' è stato scritto nella risposta che 'solo il matrimonio (religioso, è sottinteso!) realizzato fa riposare i coniugi nel tranquillo e sereno porto della sicurezza di appartenersi per sempre, con relativa compenetrazione d' animo'. Sono mamma di quattro figli e mai mi sognerei di ostacolare una loro scelta meditata di convivenza, o peggio ancora di instaurare in loro sensi di colpa assurdi e dannosi.
«Alla signora Giulia consiglio ancora di rallegrarsi per lo scampato pericolo di sua figlia, che forse a 45 anni non è ancora tanto vecchia per poter sperare in un incontro appagante e felice, dentro o fuori il matrimonio».
Sandra  M.

Non potendo instaurare un dialogo con la signora Sandra, dal quale emergerebbero altre sfumature, capaci di modificare le mie opinioni, preferisco porre in maggior rilievo la lettera che non l' argomento trattato (nel nostro caso, le coppie extra matrimoniali).
In tale ambito mi soffermo, dunque, su tre particolari: l' opposizione, la teoria del male minore, il bisogno di obiettività .

L' opposizione
La nostra lettrice non condivide il pensiero di Giulia e degli estensori della risposta. Si esprime in maniera accalorata: basti notare quel «è assurdo, oltre che sbagliato e ridicolo, sostenere... ». Evidentemente dentro la lettrice qualche tasto delicato è stato toccato, oppure qualche sua convinzione ha bisogno di essere rafforzata. Infatti le nostre reazioni vivaci «contro» un qualsiasi argomento, non raramente fanno trasparire una inconfessata insicurezza che riguarda lo stesso argomento.
Ho conosciuto una persona che, per molti anni, durante i colloqui psicologici, quando il discorso si avvicinava ad argomenti che avrebbero richiesto una revisione di idee e di atteggiamenti, cambiava argomento, oppure entrava in una specie di nebbia intellettiva, o si irritava e aggrediva lo psicologo. L' irritazione (anche quella espressa solamente con lo scritto) è indice che si stanno accatastando le barricate psichiche contro l' invasione. Molte volte anche la verità  viene scambiata per invasione nemica.

Il male minore
Nella lettera c' è un ricorso al male minore: la separazione di una coppia non sposata è meno dolorosa della separazione di una coppia sposata. Sembra quindi che la lettrice presupponga che l' unione di fatto sia meno profonda e più labile (leggi: senza che i due si siano mai incontrati nel centro delle loro persone) rispetto all' unione matrimoniale: altrimenti lo strappo causerebbe lo stesso dolore. Se fosse vero questo, non si spiegherebbero il suicidio o l' omicidio, che, non rare volte, seguono la rottura di un fidanzamento.
Mi tornano in mente le parole che mi ha detto un mio amico, dopo aver letto il mio articolo pubblicato sul Messaggero di sant' Antonio dello scorso dicembre, dove si parlava di una madre che vuol distogliere il figlio dal farsi prete: «La signora non s' accorge che, per farsi prete, basta pensarci una volta sola; per sposarsi è necessario pensarci due volte, perché il destino si gioca tra due persone; per convivere, basta pensarci due mezze volte, perché non sempre le due persone mettono in gioco tutta la loro vita».
La lettrice, per rafforzarsi nel proprio convincimento, presenta il caso di molte coppie, che «dopo un periodo di felice e responsabile convivenza, si sfasciano proprio nel momento in cui decidono di regolarizzare la loro situazione con un matrimonio, civile o religioso che sia». Ha bisogno di definire «felice e responsabile» la convivenza: si nota una specie di nostalgia per un periodo d' oro, che davanti alla pura realtà  di un legame almeno altrettanto responsabile come il matrimonio, svanisce per sempre, come svaniscono i sogni luminosi e beatificanti della fanciullezza, o le immaginifiche pretese di un' adolescenza protratta.
Detto in altre parole: un legame debole e facilmente scioglibile è adatto a personalità  deboli e immature, che svengono al prospettarsi di un impegno sodo. E di personalità  deboli e immature, la nostra società  oggi ne sforna abbondantemente. Le persone immature fino a quale quota sono capaci di vivere un «periodo responsabile»?

 

Obiettività 
Nella lettera è espressa l' urgenza dell' obiettività . La lettrice trova che coloro che hanno risposto alla lettera non siano molto obiettivi. Il motivo è la «loro posizione di cattolici», per la quale tuttavia lei nutre comprensione. Mi pare che dalla lettrice l' obiettività  venga necessariamente collocata fuori dalla Chiesa cattolica.
Non richiamo qui tutte le recenti ricerche scientifiche, che ormai dimostrano la «soggettività » di ogni pretesa di obiettività . Infatti, ogni persona concepisce l' obiettività  secondo i propri criteri personali. Il laico - molto soggettivamente - è convinto di essere solo lui obiettivo. Il musulmano è certo di essere solo lui il detentore della verità .
In mezzo alla marea delle molte e differenti «obiettività » che circolano sulla faccia della terra, il cristiano che umilmente riconosce la propria soggettività  si ingegna a uscire dal ginepraio - o almeno a muoversi dentro di esso senza pungersi troppo - cercando lungo tutta la vita di scoprire nel mondo la «Parola di Dio», che è l' unico in grado di essere obiettivo, perché è l' unico che conosce tutte le sfaccettature della realtà . Anche il «Messaggero di sant' Antonio» risulta una delle interminabili strade della ricerca continua della verità  obiettiva che viene da Dio.
La lettera si chiude con il «consiglio di rallegrarsi» rivolto alla signora Giulia. E qui la larghezza di vedute espressa in quel «mai mi sognerei di ostacolare una loro scelta», viene a mancare, proprio perché si «consiglia» (consiglio non richiesto) una strada diversa da quella scelta liberamente dalla stessa signora Giulia.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017