AMMAZZA, CHE FUSTO!

L’Italia di ieri e di oggi rappresentata al cinema e in televisione dall’attore romano Alberto Sordi, che attraverso una galleria di personaggi originali, ha raccontato un secolo di storia del nostro Paese.
05 Aprile 1997 | di

Con quei suoi ghigni micidiali, con invenzioni fonetiche disarmanti, con quel suo gusto ineguagliabile per gesti, voci e atteggiamenti dal sapore beffardo ma anche ambiguamente tragico, Alberto Sordi, attore e regista (ma anche cantante e doppiatore), ha rappresentato, per oltre cinquant'anni, i vizi e le virtù degli italiani. Emblematiche, in proposito, le quattro serie di trasmissioni televisive che ha realizzato in passato per la Rai, la Radiotelevisione italiana, costruite attorno a una serie interminabile di personaggi cinematografici inventati nell'arco di una carriera lunga e fruttuosa, e riproposti appunto in una memorabile Storia di un italiano.

'Il personaggio Sordi, (non l'uomo Sordi) - ha scritto il critico cinematografico Claudio G. Fava - è un proletario-piccolo borghese romano, fanciullo e adolescente durante il fascismo, giovanotto alla vigilia degli anni Quaranta, uomo fatto nell'immediato dopoguerra'. Anziano - aggiungiamo noi - in un'Italia in cui oggi, spesso, non si riconosce più...

Da Trastevere a Cinecittà 

Nato nel 1920 a Trastevere, un quartiere popolare di Roma, il giovane Alberto - figlio di Pietro, professore d'orchestra, e di Maria Righetti, insegnante - ha appena sedici anni quando si avventura nel rutilante mondo dello spettacolo: dapprima come cantante e fantasista; poi, come doppiatore di Oliver Hardy nelle allora popolarissime comiche di Stanlio e Ollio. Nonostante le difficoltà , Sordi mostra una tenacia invidiabile. Per l'attore romano, gli anni Quaranta sono il periodo della Rivista: lavora con Fanfulla, con la Compagnia Zabum, con Garinei e Giovannini. La vera consacrazione giunge nel 1952 con Gran Baraonda, a fianco di Wanda Osiris.

Intanto nel 1947 aveva debuttato alla radio, in Rosso e nero e Oplà ; seguiti, poi, nel 1948 dalla trasmissione Vi parla Alberto Sordi in cui aveva inventato personaggi come Mario Pio e Il compagnuccio della parrocchietta. Ma il cinema lo coinvolge progressivamente. Dopo tante apparizioni in film minori, negli anni Cinquanta lavora con Federico Fellini (Lo sceicco bianco, I vitelloni), con Steno (Un americano a Roma), con Mario Monicelli (La grande guerra), con Luigi Comencini (Tutti a casa), con Guy Hamilton (I due nemici, accanto a un inappuntabile David Niven), ma soprattutto con Vittorio De Sica (Mamma mia, che impressione!; Il giudizio universale).

Attore e regista

Sordi inanella affermazione dopo affermazione, e piovono premi e riconoscimenti dall Italia e dall estero. Si consolida anche la collaborazione con il suo sceneggiatore prediletto, Rodolfo Sonego. Nel 1965 Sordi esordisce nella regia cinematografica con il film Fumo di Londra che gli vale un premio David di Donatello. Nel 1966 partecipa in televisione al programma Studio Uno insieme a Mina e alle sorelle Kessler. La sua carriera è un crescendo di successi. Si affina anche lo stile dell'attore che si ritaglia il ruolo di censore del malcostume italico.

Dopo il miracolo economico degli anni Cinquanta, l'Italia, a partire dalla fine del decennio successivo, comincia a vivere una profonda crisi d'identità , e si scopre perfino 'rivoluzionaria' nei costumi e nella morale. Così Sordi prende di mira una certa ipocrisia borghese in Scusi, lei è favorevole o contrario?, (diretto dallo stesso Sordi), sul tema del divorzio; Il medico della mutua di Luigi Zampa; e Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?, di Ettore Scola.

Un osservatore attento come Sordi non può trascurare l'epopea degli italiani all'estero, come nell'esilarante film di Zampa, Bello, onesto, emigrato Australia, sposerebbe compaesana illibata, con Claudia Cardinale; o tra I magliari un po' spregiudicati di Francesco Rosi. Negli anni Settanta escono Polvere di stelle, Lo scopone scientifico, Finché c'è guerra c'è speranza, Un borghese piccolo piccolo, Il malato immaginario (tratto da Molière). Negli ultimi tre lustri Sordi ha alternato film improntati a una sottile critica di costume - Io e Caterina, In viaggio con papà , (a fianco di Carlo Verdone, considerato suo erede artistico), Tutti dentro (che nel 1984 anticipò le vicende di Tangentopoli), Un tassinaro a New York - , a film di taglio storico o di ispirazione letteraria: Il marchese del grillo, I promessi sposi (originalissima la sua interpretazione televisiva di don Abbondio), L'avaro (tratto, ancora una volta, da Molière).

Più struggente e drammatica l'ultima stagione cinematografica che ha visto Sordi nel film Nestore (1994): la storia di un vecchio vetturino romano; o ne Il romanzo di un giovane povero, di Scola, presentato nel 1995 al Festival del cinema di Venezia, circostanza nella quale gli venne conferito il Leone d'oro alla carriera. Una carriera costellata da quasi 190 film in cui la primitiva romanità  di Sordi, esclusiva e petulante, è andata via via fiorendo in uno specchio grottesco e fatidico di fronte al quale gli italiani hanno imparato a gettare la maschera, e a guardarsi senza falsi pudori.

PER SAPERNE DI PIà™

Alberto Sordi, di Claudio G. Fava, Gremese Editore, Roma

Alberto Sordi - An American in Rome (in inglese),
di Claudio G. Fava, Gremese International, Roma

Alberto Sordi - Un italiano come noi, di Giancarlo Governi,
Milano Libri Edizioni, Milano

Alberto Sordi, di Maurizio Porro, Edizioni Il Formichiere, Milano

Sordi - Ammazza che fusto! di Massimo Moscati, Rizzoli, Milano

SORDI: 'ADESSO COMINCIO UN'ALTRA CARRIERA'.

Protagonista insuperato della cosiddetta Commedia all'italiana o, come lui stesso ama definirlo, del Neorealismo a sfondo ironico, Alberto Sordi si accinge a completare la sua Storia di un italiano, con gli anni Ottanta e Novanta, abbinando a brani dei suoi film, un solido repertorio documentario. Un programma quello di Sordi che, a partire da Quei temerari delle macchine volanti fino ai più recenti successi, ricostruisce un secolo di storia d'Italia, raccontata dall'attore romano in chiave artistica, ma soprattutto umana, senza scendere mai compromessi.

Le occasioni perdute è il titolo del film che segnerà  il suo ritorno sul set in primavera. Sordi racconterà  le sensazioni e i sentimenti di un settantenne che dopo aver incontrato una giovane donna, scopre di essere ancora in grado di amare.

Msa. C'è qualcosa a cui ha rinunciato nella sua vita?

Sordi. Ho rinunciato a tante cose per il cinematografo. Il matrimonio innanzitutto, non perché io sia contrario anzi, ho detto a molti amici: Sposateve, che è molto bello!... Non mi sono sposato perché questo lavoro non mi ha dato modo di farlo. Per compensazione, sono stato 'sposato' sulla scena tante volte, ma alla fine mi sono sempre detto: Meno male che era solo un film... Ora la mia famiglia è il pubblico. Per tutti sono Albertone; ciò significa che ormai sono di casa dappertutto.

Una delle figure che hanno contato di più nella sua carriera cinematografica, è stata quella di Vittorio De Sica. Che ricordo ne ha?

De Sica fu il primo a capire che io avevo deciso di fare la radio per bruciare i tempi. Col teatro sarebbero dovuti passare almeno trent'anni prima che si accorgessero di me. Feci un programma di successo; De Sica era uno degli ascoltatori. Si accorse subito di me e insieme facemmo il film Mamma mia, che impressione!; poi abbiamo fatto tanti film. Per me era un continuo godimento lavorare con lui. A parte il fatto che la nostra amicizia era basata sulla stima e sull'affetto. Devo dire che mi manca. Però lo sento sempre molto vicino. Qualunque cosa io faccia c'è sempre un riferimento che me lo fa ricordare.

Nel film Nestore, l'ultima corsa, lei appare nelle inconsuete vesti di un vecchio. Da cosa nasce questa attenzione per gli anziani?

Un giorno mi sono svegliato e ho capito di essere vecchio anch'io; non mi sono reso conto del passare degli anni. Così mi sono chiesto: Mo' che faccio, chiudo? Ennò! Così, mentre tutti mi davano premi alla carriera - come pe' dimme: a chiudi o no sta' cariera? - , io, dopo aver interpretato i giovani, i figli, i fidanzati, i padri, ho deciso di rappresentare ciò che mi mancava: gli anziani. Oggi bambini ne nascono pochi, la vita si allunga, e l'ottuagenario è diventato il protagonista della nostra epoca. Ci sono tante categorie di anziani. Io sono partito da uno debole e indifeso. Così è nato il film Nestore, l'ultima corsa: la storia di un vetturino romano che ha fatto la guerra, contribuito alla società  portando a spasso i turisti; si è fatto una famiglia, ha cresciuto dei figli... Alla fine, lui viene destinato all'ospizio, e il suo cavallo, dopo tanti anni di fedele servizio, al mattatoio. Oggi molte famiglie sono accomunate dal fatto di mettere gli anziani all'ospizio. Frequento da tempo questi posti. Incontro gli anziani, parlo con loro; tanti avrebbero bisogno di starsene a casa con i figli e i nipoti; molti sono ancora in forma.

Cosa rimprovera agli italiani?

Oggi la gente non parla, non si confronta, non commenta. Bisognerebbe ragionare di più. Il consumismo ci fa vivere a un ritmo tale che non ci dà  neppure più il tempo di riflettere. Se si ritornasse a vivere più umanamente, certe crudeltà  non si commetterebbero. Si accettano le mode. Dai giovani ai vecchi, tutti sono influenzati da una televisione che stabilisce il nostro modo di vivere. Che società  è la nostra? Dobbiamo tendere la mano a chi ha bisogno, non chiuderci tra le quattro mura della famiglia, senza pensare al prossimo.

La rivedremo presto al cinema?

Sto preparando un altro film su un anziano di un altra categoria. Questa volta è uno un po' ingrillato. Insomma non mi fermo. A Venezia ho detto: non crediate che con questo Leone alla carriera io chiuda. Voi mi state spingendo: è un incitamento, perché io ne comincio un'altra: faccio na' serie de vecchi da fa' impallidì.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017