Amore flessibile o amore per sempre?

Portare la speranza nei vari ambiti della vita (affetti, lavoro, sofferenza, educazione, cittadinanza) è uno degli obiettivi del Convegno ecclesiale nazionale di Verona. In questo numero: gli affetti.
22 Giugno 2006 | di


Dieci anni fa, nel 1996, in televisione andò in onda una fiction dal titolo Papà cerca moglie. Il tema della separazione di una coppia con figli veniva affrontato in tono lieve, giocoso, quasi che separarsi – anche quando la drammatica decisione viene presa con senso di responsabilità, evitando il più possibile i traumi – sia un’allegra avventura. L’allora critico tv di «Avvenire», don Claudio Sorgi, fece notare l’incongruenza. Il protagonista della fiction, Marco Columbro, rispose con una lettera piccata che il giornale pubblicò.
«Io ho detto – sono le parole di Columbro – che il matrimonio è una buffonata semplicemente perché non tiene conto del più elementare dei diritti umani, la libertà (...). Non è umanamente onesto, a mio modo di vedere, dire a una donna: “Ti amerò tutta la vita finché morte non ci separi”. Può accadere, e purtroppo accade ogni giorno, che l’amore finisca, per una infinità di motivi». Chi si sposa sarebbe, dunque, un «disonesto buffone».
Siamo partiti da lontano, ma solo per far notare che non nasce oggi la cultura dell’amore fragile, friabile, flessibile, privo non tanto di certezze (per quanto ci si possa impegnare, tutti siamo a rischio), quanto di responsabilità. È la stessa mentalità che genera i Pacs, i «Patti civili di solidarietà», come li hanno chiamati in Francia, quella sorta di matrimonio light, leggero, senza obbligo di fedeltà, che si può sciogliere unilateralmente con una raccomandata, contrapposto al matrimonio heavy, tosto, fedele e per sempre.
Ma se l’amore non è – per programma e per intenzione – per sempre, quale futuro può costruire una coppia? Quale speranza può coltivare nel cuore? E quale speranza può donare ai figli? Se l’amore di Dio per gli uomini non ha scadenza né condizioni, né si può sciogliere ma è per sempre, perché l’uomo dovrebbe essere chiamato ad amare diversamente? Ma, soprattutto, nel cuore dell’uomo è scritta una verità in merito? Quale amore è umano e quale disumano? L’amore temporaneo e flessibile, o l’amore per sempre?
A tali quesiti dovremo imparare a dare risposte non di maniera, ma convincenti, nelle quali crediamo sul serio, perché la nostra società è attraversata da correnti di pensiero e modelli di comportamento forse non maggioritari, ma che i mass media rilanciano con forza suggerendoci che questa è la tendenza, questo è il progresso, e opporvisi è vano. Lo scorso 20 aprile «L’espresso» presentava il filosofo francese Michel Onfray con toni entusiasti. Il suo programma è nel saggio Il corpo amoroso: «Vero e proprio “trattato del libertino moderno”, questo atto d’accusa contro la monogamia, la fedeltà, la famiglia, recupera la lezione dei classici (...). Per Onfray è necessario “decostruire l’ideale ascetico” e “scristianizzare la morale”, lasciandosi alle spalle le tradizionali associazioni tra amore, procreazione, sessualità, monogamia e fedeltà…».
Non distante è il pensiero di Jacques Attali, che lo scorso 13 settembre il «Corriere della Sera» ospitava in prima pagina, senza contraddittorio: «La monogamia, che è in realtà solo un’utile convenzione sociale, non durerà in eterno (...). Così come molte società accettano ora la possibilità di relazioni d’amore successive, presto riterremo accettabili e legali relazioni simultanee. Sarà possibile per uomini e donne avere legami con diverse persone che a loro volta avranno altri partner. Alla lunga riconosceremo che è umano amare più persone allo stesso tempo».
Proprio così. La posta in gioco è tra ciò che è davvero umano e ciò che non lo è. Tra chi pensa al futuro e chi soltanto a un presente «simultaneo». Tra chi spera e costruisce un futuro e chi vive una vita come capita, e perciò si crede libero.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017