Anche le stelle pregano
«Brillano le stelle dalle loro vedette e gioiscono; / egli le chiama e rispondono: eccoci! / E brillano di gioia per colui che le ha create» (Bar 3,34-35). Pregano le stelle? Il piccolo profeta Baruc assicura di sì. Quando rispondono: «Eccoci»; quando semplicemente «brillano di gioia». Gioire è già una preghiera: incolta, selvatica, fiore che spunta improvviso, senza che tu sappia come, sul ciglio della tua giornata. Perché la gioia si alza verso Dio, fiore selvatico puntato verso l’alto. Tu, come una stella: quando palpiti di gioia, quando vedi brillare gli occhi di chi ti è caro, tu stai pregando e il tuo essere muove verso il cuore dell’essere.
Non pregano solo le cose attorno a me, ma anche le cose che sorgono in me: pregano i sentimenti, nel loro linguaggio palpitante e bruciante; pregano le emozioni, soffi di luce di un lampo, che se ne vanno prima ancora di salire alle labbra.
Nella mia come nella tua vita, frantumi delle stelle di Baruc brillano ogni giorno: quando provi il nudo piacere di vivere, il semplice gusto di esistere, la gioia immotivata di star bene; quando ti unisci all’«alleluja» del primo ciliegio in fiore, quando ti senti gonfio di vita e vivi questo con umiltà, senza narcisismo, con gratitudine, il tuo essere sta pregando e benedicendo.
Sale da te quasi una preghiera biologica, la prima di tutte, che dice al Signore: «Che bello, oggi! Che bello questo mondo, questo amore, questo volto, questo fiore, questo sole, questo sorriso. Sono felice di vivere, sto bene nella tua casa...».
Ognuno di questi momenti è Dio che ti chiama; ti tocca la spalla e dice: «Eccomi, sono io!». E tu ti giri verso di lui, e rispondi non con parole, ma brillando di gioia come le stelle di Baruc: «Eccomi!». Brevi e piccole cose? Ma tutte le gioie più vere sono povere. Ogni autentico esame di coscienza dovrebbe iniziare con il riconoscere quello che, davanti a Dio, oggi mi ha donato gioia, mi ha fatto stare bene, mi ha appagato: è accaduta una cosa, mi sono avvicinato a una persona, mi sono sentito più sereno, ho superato un momento difficile, ho pregato meglio. È importante che queste cose emergano: sono la mano di Dio che sfiora il mio mondo fragile e talvolta spento, e vi accende d’improvviso un piccolo roveto dove brucia e profuma una radice di Dio.
Imparare a pregare così, inanellando ogni istante di gioia provato, è abitare la vita, fino in fondo. La gioia è l’atteggiamento vitale più conforme alla realtà (K. Rahner).
Inanellare questi attimi brevi e spesso inconsapevoli, conservarli nell’archivio della memoria, sottrarli all’oblio, riporli in uno scrigno, un «portagioie» interiore da riaprire quotidianamente per depositarvi cose nuove, per lasciarsi sfiorare ancora da cose antiche, anche questo è pregare, benedizione della memoria.
Tutti custodiamo in noi archivi traboccanti di cose belle, che non sappiamo più valorizzare. Impariamo da Maria, la creatura orante, che invece conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
Ignazio di Loyola inizia il cammino di conversione con una domanda: «Perché alcune cose mi danno più gioia di altre?». Ciò che converte è sempre una promessa di gioia maggiore, «ognuno segue la strada dove il suo cuore gli dice che troverà la felicità» (sant’Agostino). Dio parla il linguaggio della gioia, per questo seduce. Non temere di essere lieto. È la lingua di Dio, la preghiera vitale, incamminata oltre te. Ognuno ha un solo dono proprio, unico, irriducibile, ed è lo spazio della sua gioia: «Ricevila, donala, donandola la otterrai di nuovo» (Rig Veda). La porta della felicità si apre solo verso l’esterno: chi cerca di forzarla in senso contrario finisce col chiuderla ancora di più (Kierkegaard). La gioia, porta di Dio, è un sintomo: che stai camminando bene, che avanzi leggero verso il cuore della vita.