Andrea Mantegna celebrato in tre città
Andrea Mantegna è un artista che resta nella memoria di chi si reca a Mantova a visitare il palazzo Ducale: i bambini magari ricordano i nanetti, quelli su cui ha favoleggiato Gianni Rodari; nella memoria degli adulti restano invece impresse le sue opere, solidamente incorniciate da elementi architettonici, da richiami all’antichità classica e pervase da un’indefinibile ironia.
Ci sono tre tappe significative nella vita di Mantegna, di cui ricorre quest’anno il quinto centenario della morte: la sua formazione a Padova, il segno lasciato a Verona e il consistente impegno profuso a Mantova, dove regnavano i Gonzaga, e dove l’artista ebbe a che fare con la non tenera marchesa Isabella d’Este. E sono queste, Padova, Verona e Mantova, le tre città interessate, quest’autunno, da mostre, iniziative e celebrazioni dedicate, appunto, al pittore quattrocentesco, orchestrate da un apposito Comitato pilotato dal vulcanico Vittorio Sgarbi.
Andrea Mantegna nacque nel 1431 in un paesino della provincia di Padova, Isola di Carturo, che oggi si chiama in suo onore Isola Mantegna. Il padre faceva il falegname, il fratello, Tommaso, il sarto. Entrambi i fratelli presto si trasferirono a Padova, che, con la sua Università, era all’epoca il secondo centro culturale dell’Italia del Nord, dopo Venezia. Vi erano diverse botte-ghe di artisti nella città del Santo: quella di Donatello, che stava realizzando nel cantiere della Basilica alcune tra le sue opere maggiori (il Crocifisso, l’Altare, il monumento al Gattamelata); quella di Francesco Squarcione, che aveva moltissimi allievi e la passione per le sculture antiche. Proprio in essa approdò Andrea, appena undicenne. Gli anni padovani furono fondamentali per la formazione del Mantegna, che subì anche il fascino di Venezia con i Bellini (sposò la sorella di Giovanni) e Antonello da Messina.
Padova: restauro della Cappella Ovetari
Il suo primo lavoro importante fu la decorazione della Cappella Ovetari, nella chiesa degli Eremitani. Committente degli affreschi fu il notaio Antonio Ovetari che, nel suo testamento, aveva fissato anche i temi che voleva fossero illustrati negli affreschi: le scene dalla vita di San Giacomo e san Cristoforo, l’Assunzione della Vergine, i quattro evangelisti, e, al centro, Dio Padre. Ma la cappella, cui posero mano diversi artisti oltre al Mantegna, venne completamente distrutta da un bombardamento l’11 marzo del 1944, e gli affreschi polverizzati in oltre 80 mila piccoli pezzi. Oggi, fatto di assoluta novità e importanza, è possibile rivedere parte di quegli affreschi, grazie alla ricomposizione dei frammenti che, per oltre cinquant’anni, erano rimasti chiusi in settanta casse. Con l’ausilio delle fotografie precedenti il bombardamento e grazie all’aiuto tecnologico del computer, la mano esperta dei massimi restauratori italiani ha potuto compiere questo «miracolo»: restituire al pubblico un’opera perduta.
Negli affreschi della Cappella Ovetari qualche spunto ironico mostra la fantasia giocosa di Mantegna: certi volti beffardi o il piccolo scudiero che occhieggia, con in testa un elmo troppo grande e con in mano uno scudo che forse raffigura, nella parte centrale, il Mantegna stesso. Altra immagine forte presa a simbolo della mostra è quella del tiranno, colpito a un occhio, da una delle frecce destinate a san Cristoforo.
A testimoniare quanto importanti fossero questi affreschi c’è anche Goethe, che nel suo Viaggio in Italia (1786) scriveva: «Nella chiesa degli Eremitani ho visto gli affreschi d’un più antico maestro, il Mantegna, e ne sono rimasto sbalordito. Che incisiva, sicura concretezza in quei dipinti! Da questo realismo tutto autentico, non incline alle illusioni e agli effetti menzogneri, né rivolto alla sola capacità di immaginazione, ma al contrario aspro, netto, luminoso, minuto, consapevole, delicato, definito, e che ha insieme qualcosa di severo, di scrupoloso, di faticato, hanno preso l’avvio, come potei constatare nei dipinti di Tiziano, i pittori successivi».
La mostra di Padova copre gli anni che vanno dal 1445 al 1460 (l’allestimento è firmato dall’architetto Mario Botta) e vede esposte opere provenienti dai più importanti musei del mondo insieme a lavori già noti alla città come I santi Antonio e Bernardino da Siena presentano il monogramma di Cristo che viene dal Museo Antoniano (originariamente l’affresco decorava la lunetta sovrastante l’entrata centrale della Basilica del Santo). L’esposizione padovana è anche l’occasione per nuove attribuzioni, come quella della Madonna della Tenerezza, collocata a Palazzo Zuckermann.
A Verona una pala e una mostra
Il turista sulle tracce di Mantegna trova a Verona la mostra «Mantegna e le Arti a Verona 1450-1500» allestita al Palazzo della Gran Guardia. Qui è esposta la Pala di San Zeno, realizzata dal 1456 al 1459 (anche se una data precedente trovata sulla tela rimetterebbe tutto in discusione). Questa Pala, subito dopo la mostra, sarà sottoposta a un intervento di restauro che durerà due anni. La Pala di San Zeno porta ancora più avanti lo studio dello spazio, già avviato nella cappella Ovetari. Commit-tente fu Giorgio Correr e modello l’altare di Donatello a Padova nella sua concezione originaria. La Pala raffigura al centro Maria, a sinistra i santi Pietro e Paolo, Giovanni evangelista e Zeno; a destra Bene-detto, Gregorio e Giovanni Battista. Nella parte inferiore, la Passione, la Crocifissione e la Risurrezione. Un’altra grande opera dipinta per Verona è la Madonna in gloria tra i santi Giovanni Battista, Gregorio Magno, Benedetto e Gerolamo, nota come Pala Trivulzio (ora al Castello Sforzesco di Milano). Da segnalare anche la Sacra Famiglia del Museo di Castelvecchio.
Mantova. La Camera degli sposi
Mantegna lasciò la città del Santo per Mantova alla fine degli anni Cinquanta. Lo volevano i Gonzaga e fu grazie a loro che il suo nome divenne celebre e la sua presenza ambita da tutte le corti d’Europa.
La mostra di Mantova, che ha come argini gli anni 1460 e 1506, raccoglie molte opere prestate da diversi musei. Si possono ammirare, inoltre, opere di autori attivi al tempo di Mantegna, che contribuiscono a illustrare il contesto storico-artistico.
Ma a Mantova non si può prescindere dal capolavoro di Mantegna, realizzato al Castello di San Giorgio, che il marchese Ludovico voleva trasformare in Palazzo: la cosiddetta Camera Picta o Camera degli Sposi.
Nella città lambita dal Mincio, l’artista entrò probabilmente in contatto con Leon Battista Alberti e proprio dalle suggestioni albertine maturarono ulteriormente le riflessioni di Mantegna sul rapporto tra architettura e pittura. La Camera degli Sposi colloca la famiglia Gonzaga in una campagna popolata di castelli e di città turrite. È un grande affresco, ricchissimo di particolari, che non ci si stanca mai di ammirare. Ed è proprio osservando con attenzione quei particolari che si possono cogliere quegli spunti ironici cui alludevo all’inizio: per esempio l’autoritratto di Mantegna che, nascosto, osserva i personaggi dell’affresco.
Andrea Mantegna fu un fedele servitore dei Gonzaga fino alla fine della sua vita: oltre che pittore, era considerato un uomo di compagnia e, soprattutto, un grande esperto di anti-chità romane. L’unica breve parentesi fuori Mantova fu un soggiorno a Roma, su invito di papa Innocenzo VIII per dipingere una cappella nella villa del Belvedere, di cui però oggi non rimane traccia.
Con l’arrivo di Isabella D’Este, però, i rapporti di Mantegna con la cor-te diventarono più difficili. La marchesa di Mantova cominciò a preferirgli altri artisti. Altri astri cominciavano a brillare.
Da non perdere, al Castello di San Giorgio, la bella mostra sulla scultura al tempo di Mantegna: una esposizione di soggetti sacri di rara forza espressiva. Veri tesori.
Info. Mantegna e le arti
dal 16 settembre 2006 al 14 gennaio 2007
www.andreamantegna2006.it
tel. 199 199 111 02 43353522. E-mail: servizi@civita.it
Padova
Musei Civici agli Eremitani, tel. 049 2010023
Verona
Palazzo della Gran Guardia, tel. 045 8009461
Mantova
Palazzo Te, tel. 0376 323266