Angela Finocchiaro. Un’attrice al posto giusto

Attrice ironica e intelligente, Angela Finocchiaro nasconde una sottile vena di malinconia. Perfezionista, pretende sempre il massimo da sé e si sente spesso «sbilanciata». Tranne quando scende in campo in nome di una buona causa.
27 Novembre 2013 | di

«Il comico esige, per produrre tutto il suo effetto, qualcosa come un’anestesia momentanea del cuore» diceva il filosofo francese Henri Bergson (Il riso. Saggio sul significato del comico, ndr). Una lezione che Angela Finocchiaro sembra condividere in pieno, specie quando – intervistata a ridosso dell’uscita del suo ultimo film Indovina chi viene a Natale?, diretto da Fausto Brizzi – risponde alle domande alternando i registri e giocando la carta dell’autoironia. «Nella vita vera, non so se sono capace di essere comica e drammatica allo stesso tempo, come sul palcoscenico. Più che altro, mi sembra di essere una palla al piede» esordisce l’attrice nata a Milano 58 anni fa. Straordinaria campionessa di umorismo, Angela «anestetizza momentaneamente il cuore», per poi arrivare a parlare di emozioni. «La verità – confessa – è che, ogni volta, penso che potrei fare meglio». Mentre svela le sue fragilità e la sua indole perfezionista, l’attrice sembra quasi non considerare il plauso della critica che per ben due volte (prima nel 2006, con La bestia nel cuore di Cristina Comencini – anche Nastro d’argento, Ciak d’oro, Premio Wella Cinema Donna alla 62° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e Premio Queen of Comedy Award – e, poi, nel 2007, con Mio fratello è figlio unico di Daniele Luchetti) le ha assegnato il David di Donatello come miglior attrice non protagonista.

Mentre si racconta, Angela Finocchiaro non nasconde il suo carattere sfaccettato e una certa vena malinconica che tiene a bada grazie al lavoro: «La recitazione mi fa tanto bene – continua l’attrice –. Nella professione che faccio c’è tutto: il drammatico e il comico, anche se, per come sono fatta io, è più terapeutico il secondo aspetto. Le commedie, quando il teatro è fatto con onestà e con criterio, assumono un grande valore educativo e non sono soltanto delle occasioni di divertimento ed evasione. Non credo all’intrattenimento fine a se stesso». Ne è prova, tra gli altri, lo spettacolo teatrale La scena con cui Angela ha debuttato lo scorso ottobre. La commedia, scritta e diretta da Cristina Comencini, racconta l’immersione di un ragazzo nella vita e nei sentimenti femminili, e rappresenta una sorta di educazione sentimentale tra età e sessi diversi. Un progetto capace di suscitare emozioni forti, quasi quanto quelle evocate otto anni fa dal film drammatico La bestia nel cuore: «Il dolore ha la capacità di lavarti, di abbattere barriere e difese, di offrirti una seconda possibilità» commenta Angela Finocchiaro. La pellicola, targata 2005, comunque non è l’unico esperimento drammatico in cui si è lanciata l’attrice: se ne Il muro di gomma (1991) di Marco Risi interpretava la vedova di una vittima della strage di Ustica, nella pellicola di Paolo Bianchini Il sole dentro (2012) era invece l’allenatrice di una piccola squadra di calcio africana.

Ironia della sorte, proprio dall’Africa – nella primavera del 2012 – è arrivata per Angela Finocchiaro la nomina di ambasciatrice dell’Unicef. Il sostegno dell’attrice era ed è tuttora rivolto, in particolar modo, alla campagna «Vogliamo zero» contro la mortalità infantile. Partita alla volta della Tanzania in missione umanitaria nel marzo 2012, la Finocchiaro ha potuto toccare con mano i progetti dell’Unicef. Ha visitato scuole dove l’educazione sanitaria e poche semplici pratiche igieniche hanno salvato la vita a tanti bambini; ha incontrato ragazzini sieropositivi membri di un’associazione impegnata nella prevenzione dei contagi; si è intrattenuta con mamme giovanissime e con i loro neonati; ha visto coi propri occhi come sia possibile combattere la mortalità infantile attraverso pratiche a basso costo. Un’esperienza – quella di testimonial Unicef – che ha permesso ad Angela Finocchiaro di sentirsi «al posto giusto» e di sensibilizzare il proprio pubblico sui temi dei diritti dell’infanzia.

Msa. Che cosa rappresenta per lei il ruolo di ambasciatrice dell’Unicef e cosa ricorda del viaggio che, nel marzo del 2012, ha compiuto in Tanzania?
Finocchiaro. È stato un viaggio estremamente importante, che ho condiviso con mia figlia Nina, allora sedicenne. In Tanzania ho visto uomini e donne in trincea dalla mattina alla sera operare con una determinazione e con una serietà inimmaginabili. È stata un’esperienza bella e forte insieme. La cosa incredibile è che quando sei lì, anche quel poco che viene sistemato (che può sembrare soltanto una goccia rispetto all’immensità di tutti i problemi da risolvere) diventa una speranza così forte, che è capace di dare alla realtà una luce incredibile, di rivelarla in una maniera diversa. I ragazzi che vanno a scuola in Tanzania, ad esempio, non hanno banchi: possono stare in cento in una stessa classe, eppure hanno un desiderio fortissimo di imparare.

Qual è la filosofia di vita di Angela Finocchiaro?
Credo che ciascuno di noi sia artefice del proprio destino e che possa migliorare la propria vita e quella degli altri, innescando una catena di positività. Ma tutto questo dipende solo da noi: non possiamo ogni volta giustificarci pensando che la colpa del nostro cattivo destino sia degli altri. Finché siamo su questa Terra, dobbiamo lottare perché non spariscano i sorrisi e perché le condizioni di vita continuino a migliorare. Bisogna avere la fede di fare tutto ciò anche nel proprio piccolo: è indispensabile non sentirsi soltanto sudditi che non possono fare nulla.

A proposito di sorrisi e sofferenza, lei è stata tra le interpreti dello spettacolo Ferite a morte di Serena Dandini, che ha debuttato a Palermo nel 2012. Che cosa le ha lasciato quell’esperienza?
Un progetto teatrale sul femminicidio è un’operazione dolorosa quanto necessaria. Credo tocchi alla famiglia impartire l’educazione principale per prevenire certi drammi: i bambini imparano soprattutto da quello che vedono, e non soltanto da quello che viene detto loro. È in famiglia che i piccoli interiorizzano qual è il ruolo della mamma e del papà e come queste due figure stanno insieme, in solidarietà oppure no. Dopo la famiglia, la responsabilità sul futuro delle nuove generazioni passa alla scuola.

Quanto conta l’umorismo nel processo di crescita culturale di un popolo?
Il livello di un popolo si rivela e si misura anche in base al suo senso dell’umorismo, un aspetto che, più in generale, fa parte della sua cultura. Penso sia gravissimo che proprio la cultura, sempre più spesso, venga sottovalutata. Credo profondamente nel valore dell’insegnamento teatrale e, in particolare, delle commedie, quando esse hanno delle radici drammatiche e possono farsi espressione di una comicità attenta e non solo «di cassetta».

Che cosa accade nell’animo di un attore, quando – come lei ha dichiarato a proposito del film Il sole dentro – si diventa «uno strumento di aiuto, per dare quello che serve»?
Quando capisci che il tuo lavoro serve a una buona causa (e già questa non è una cosa da poco) hai una motivazione più forte. In alcuni film si toccano fatti spinosi realmente accaduti, si interpretano personaggi che sono esistiti davvero. Ad esempio, in Il sole dentro (e precisamente nella scena dell’inaugurazione del campetto di calcio) è stato molto emozionante avere al mio fianco i genitori veri di Yaguine e Fodè, i due ragazzi guineani protagonisti del film, trovati morti nel carrello di un aereo appena atterrato a Bruxelles, sul quale erano saliti nel tentativo di portare una lettera, scritta a nome di tutti i giovani africani, al Parlamento europeo. In pellicole come questa, avverti una forma di responsabilità, ma anche di pudore, quasi di timidezza. Rispetto a delle storie che hanno tanta verità dentro, hai la sensazione di doverti mettere un po’ da parte, entrando nelle vicende come un ospite.

Dopo aver interpretato la pellicola di Paolo Bianchini, lei ha dichiarato di essersi sentita «al posto giusto». Che cosa intendeva dire?
Non mi capita spesso di sentirmi «al posto giusto». Il più della volte, anzi, mi sento sbilanciata. Nel mio lavoro, faccio sempre cose in cui credo profondamente, ma, ogni volta, le vivo pensando che devo continuamente imparare e che posso dare di più. Ci sono delle occasioni, invece, caratterizzate da una forte motivazione alla base, che trascendono la normalità del lavoro. Quando posso toccare lo spessore umano di un’operazione mi sento più «compatta» con me stessa.
 

Biografia
 

Milanese, classe ’55, in quasi quarant’anni di carriera Angela Finocchiaro ha girato oltre trenta film.
Esordiente sul grande schermo in Allegro non troppo (1976) di Bruno Bozzetto, l’attrice ha raggiunto la fama al fianco di Maurizio Nichetti in Ratataplan (1979) e Ho fatto splash (1980). In televisione ha partecipato alla trasmissione La tv delle ragazze (trasmessa da Raitre sul finire degli anni Ottanta), ai film tv Dio vede e provvede e Due mamme di troppo e al programma satirico Zelig. Di recente, al cinema, Angela Finocchiaro è apparsa in Io, loro e Lara (2010) di Carlo Verdone, Benvenuti al Sud (2010) di Luca Miniero e La Banda dei Babbi Natale (2010) con Aldo Giovanni e Giacomo. Nel 2011, l’attrice ha recitato in Bar Sport di Massimo Martelli e in Lezioni di Cioccolato 2 di Alessio Maria Federici; l’anno successivo era nel cast di Benvenuti al Nord di Luca Miniero. Lo scorso marzo Angela Finocchiaro ha vestito per la prima volta i panni da protagonista nel film di Sophie Chiarello Ci vuole un gran fisico. E il 19 dicembre sarà nelle sale con Indovina chi viene a Natale? di Fausto Brizzi, al fianco di Diego Abatantuono, Claudio Bisio, Raoul Bova, Cristiana Capotondi, Claudia Gerini e Gigi Proietti.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017