In ansia per un lavoro sempre più incerto
Dai clamori della crisi che ha investito il settore automobilistico (la Fiat, in particolare) all`anonima fatica quotidiana di milioni di persone: il lavoro sembra essere diventato una fonte di malessere e di stress, fino ai casi limite del suicidio, più che una positiva espressione della necessità e, quando è possibile, della creatività umana. La fragilità del lavoro innesca pericolosi meccanismi di fragilità psicologica e sociale. Ne parliamo con il professor Lorenzo Caselli, preside della facoltà di economia all`università di Genova.
«Il lavoro ` ci dice ` è e resterà ancora per lungo tempo una dimensione fondamentale della vita degli individui e delle famiglie, un modo sicuro per essere, a pieno titolo, cittadini e uomini liberi. Esso è luogo e mezzo di partecipazione sociale e di costruzione del bene comune. I processi di trasformazione economica, sociale e culturale, finalizzati alla soddisfazione di bisogni vecchi e nuovi, costituiscono pur sempre il fondamento e l`oggetto del lavoro. Un lavoro che si modifica nelle forme, nei contenuti, nelle modalità di esplicazione e che può incorporare conoscenza, creatività , capacità relazionali. Parliamo oggi di una realtà che si sta progressivamente allontanando dall`archetipo del lavoro svolto da adulti maschi, in posizione di dipendenza, per tutta la vita, tendenzialmente nello stesso posto. Esso si configura, piuttosto, come percorso individuale e collettivo, il cui esito è dato dalla qualità della persona (qualità alimentata dalla formazione) e dalla rete di condizioni e di opportunità per la valorizzazione e la promozione della persona stessa».
Msa. Viviamo in un`epoca di crisi. Perché?
Caselli. Perché ormai tra lavoro (che non c`è, che è troppo, che è aleatorio, che si perde) ed esperienze di vita delle singole persone si sta realizzando una preoccupante rottura. Per i giovani, ad esempio, risulta sempre più difficile costruire un proprio progetto di vita: sono lasciati soli nel momento più critico e delicato, cioè quando stanno per concludere il ciclo di studi. Discorso analogo per le donne, che pagano prezzi pesanti per gli squilibri e le contraddizioni proprie dell`organizzazione sociale e produttiva. Le donne spesso vengono impiegate in ruoli marginali e non molto qualificati, con scarse possibilità di carriera e una rete incompleta di garanzie e sicurezze.
Inoltre, aumentano le disuguaglianze e le discriminazioni. Sono colpiti i più deboli, i meno dotati, i meno rappresentati, i meno capaci di iniziativa personale. Tra non lavoro, esclusione e, talvolta, devianza, i confini sono sempre più labili. Il lavoro remunerato non sempre è garanzia contro la povertà e l`indigenza. A maggior ragione ciò vale con riferimento ai trattamenti pensionistici. Infine, dal lavoro non scaturiscono automaticamente solidarietà e socialità , ma, spesso, dinamiche di competizione, divisione, contrapposizione e chiusura corporativa.
Recuperare il senso del lavoro
Che fare dunque?
Prima di tutto, occorre ricostruire il senso del lavoro nella sua dimensione individuale e comunitaria. Il lavoro è diritto, dovere, responsabilità , costruzione politica e sociale. Il senso del lavoro è fornito dalla persona che vive nell`ambito di una comunità solidale. Anche il lavoro chiede oggi umanizzazione e trascendimento. Non può essere visto in termini meramente strumentali, unilaterali o, addirittura, totalitari. In altre parole, il lavoro non è fine a se stesso, ma momento di un cammino dotato di significati più ampi e più ricchi, affidato a una realizzazione antropologica nella quale coesistono azione concreta e dimensione spirituale: perché diventi perno di una convivenza solidale tra persone che operano per accrescere le risorse disponibili, secondo un`ottica di partecipazione, collaborazione e anche di reciprocità e gratuità .
Lavoro e famiglia spesso non vanno d`accordo...
È vero, conciliare famiglia e lavoro è diventato difficile. Per molte famiglie il lavoro è troppo poco e incerto per condurre un`esistenza dignitosa e questo porta a fenomeni di frantumazione e isolamento. I risultati delle indagini sulla povertà delle famiglie italiane sono noti: in molti casi, il lavoro del solo capofamiglia non è sufficiente, se vi sono figli minori che vanno a scuola, il mutuo della casa da pagare e magari una o più persone anziane (i nonni, di solito) da assistere. Non possiamo, però, ignorare le situazioni di segno contrario. Primo, secondo e, talvolta, terzo lavoro si traducono in processi di autosfruttamento in cui la spirale lavoro-consumo fine a se stessa priva la famiglia dei suoi valori e della sua identità .
In una situazione così difficile, la flessibilità è una risposta valida?
Certo che oggi non basta svolgere un lavoro qualunque esso sia, occorre un lavoro decente, capace, da un lato, di valorizzare le risorse e le potenzialità di ciascuno e, dall`altro, di fornire le condizioni minime per costruire un affidabile progetto di vita familiare.
Flessibilità è oggi una parola di moda, carica, però, di ambiguità , specie se essa viene intesa a senso unico ovvero funzionale alle sole esigenze dell`impresa e non anche delle persone che lavorano. In non pochi casi, dietro la flessibilità si nascondono forme di vera e propria precarietà : rapporti di lavoro a termine senza sapere cosa succederà dopo; part-time non scelto, ma subito senza possibilità di arricchimento professionale, e così via. La flessibilità , l`atipicità sono spesso fonte di nuovi disagi, generano stress, ipercompetizione, deregolamentazione. Le giovani coppie rinviano prima la formazione della famiglia e, poi, la nascita dei figli.
L`incertezza e la precarietà spingono a lavorare di più per fronteggiare il rischio di un domani che potrebbe essere senza lavoro. Allo stesso modo, l`ansia per la carriera e una forma morbosa di fedeltà all`azienda rendono progressivamente il genitore (il padre, di solito) estraneo alla famiglia, alla vita dei figli. Nasce una circolarità viziosa: la lontananza del genitore crea tensione, problemi; per non affrontarli si prolunga sempre di più l`assenza dalla famiglia. Gli effetti devastanti sono evidenti.
Una famiglia unita e aperta alla società , un lavoro dignitoso e sicuro: sono i sogni di tutti. Quanto realizzabili?
Nella misura in cui ricominciamo a costruire un reticolo di solidarietà capace di legare famiglie e comunità intermedie, rafforzando l`intero tessuto sociale. Diventa pertanto preminente ` come sottolinea Giovanni Paolo II nell`enciclica sociale Centesimus Annus ` creare le condizioni affinché il principio di solidarietà possa pienamente esplicarsi nel vivere civile, nella produzione, nel consumo, sul mercato stesso fornendo ad esso quelle coordinate morali e culturali di cui la mera razionalità economica si rivela totalmente incapace.
Ma l`Italia è un Paese solidale?
Sì, nel quadro complessivo di difficoltà registrate in Europa. Presenta, però, alcuni aspetti negativi: un fisco ancora troppo «pesante» e una burocrazia ancora troppo «invasiva». In un quadro altamente competitivo, dovuto anche all`introduzione dell`euro, si fa più forte la pressione sul costo del lavoro. In altre parole, le imprese ` invece di licenziare o mettere i lavoratori in cassa integrazione ` dovrebbero investire sulla qualità del lavoro, sulla formazione e sull`innovazione tecnologica. Credo che su questo le parti sociali debbano riflettere con attenzione. C`è una spirale involutiva che dev`essere spezzata al più presto. Il nostro Paese non deve costare di meno ma deve valere di più!
Lo stato fa abbastanza?
Aggredire i nodi sopra richiamati non è certamente facile e soprattutto non esiste una carta vincente, non esistono scorciatoie. L`emergenza dev`essere collegata alla prospettiva con saggezza e intelligenza. Il lavoro non si crea per decreto, ma neppure discende spontaneamente dagli automatismi di mercato, specie in un Paese come il nostro dove per decenni stato e mercato si sono combinati nei loro aspetti peggiori. Mi spiego: il mercato ha chiesto allo stato sussidi, erogazioni, protezioni e lo Stato ha fatto ricorso al mercato come alibi, come copertura per dire dei no nei confronti deipiù deboli.
Impossibile un lavoro sicuro?
Creare lavoro in Italia (ma anche in Europa) è diventato difficile?
Difficile, ma non impossibile. Occorre, in primo luogo, investire nell`intelligenza, e l`intelligenza è una risorsa che si moltiplica con l`uso. Intelligenza sotto forma di formazione, di ricerca, di grandi reti telematiche e informatiche, che possono distribuire lo sviluppo, l`innovazione, farla fruttificare sul territorio. Ma occorre, altresì, investire nella qualità della vita per tutti. Vi sono, infatti, nuovi bisogni, nuove esigenze ` a livello di cultura, di ambiente, di sanità , di beni relazionali ` esigenze che non possono più essere sacrificate e che si presentano, viceversa, come giacimenti per un nuovo sviluppo, per una nuova crescita innestata nella società civile, una società civile da rendere protagonista. Inoltre, è necessario creare in Europa un clima di fiducia, finalizzato allo scambio di certezze reciproche tra i vari protagonisti economici e sociali (lavoratori, imprenditori, governi, istituzioni) in vista di obiettivi condivisi. Il riferimento d`obbligo è la concertazione. Infine, occorre dare un rilievo centrale alla solidarietà : fra uomini e donne (queste ultime entrano con difficoltà sul mercato del lavoro e ne escono con facilità ), fra padri e figli, fra regioni ricche e regioni povere, tra chi ha soldi e non li investe e chi ha capacità di iniziativa economica e sociale e non ha i capitali. La solidarietà non è soltanto una categoria morale, ma è anche uno strumento economico e politico fondamentale che serve per moltiplicare le risorse disponibili.
Ma come moltiplicare queste risorse, come creare lavoro in Europa?
Rilanciando il ruolo dell`Unione europea. Spesso problemi all`apparenza insolubili a livello di singolo Paese possono essere affrontati con successo a livello internazionale. È uno degli aspetti migliori della globalizzazione: soluzioni comuni per problemi comuni.