Antonio e la sua diocesi

La diocesi di Padova non sarebbe quella che è se non ci fosse stato il Santo. Ne è convinto il vicario generale monsignor Paolo Doni. Tra diocesi e Santo c’è un arricchimento reciproco che continua ad alimentarsi.
26 Gennaio 2010 | di

Connaturato, imprescindibile, reciproco. Tre semplici aggettivi per indicare il rapporto che esiste tra la Chiesa padovana (e la diocesi in senso più ampio) e la Basilica del Santo. Un legame che si è trasformato e intensificato nel tempo, e che rende ora impossibile pensare queste realtà divise o distinguerne nettamente i confini d’azione. Sicuramente il carisma di Antonio ha forgiato la storia della città di Padova e della Chiesa locale; ha segnato il percorso di vita di molte persone determinandone le scelte. C’è una devozione dei padovani al Santo che è fatta di piccoli gesti, di memorie, di affidamenti spesso nascosti. Ma poi, in occasione dei grandi eventi, come l’ostensione delle spoglie del Taumaturgo o la festa del patrono, questo riferimento spirituale emerge in tutta la sua grandezza.

«La diocesi di Padova non sarebbe quella che è se non ci fosse stato il Santo e viceversa». Ne è convinto il vicario generale, monsignor Paolo Doni, che nutre una forte passione per Antonio: «Mi sono innamorato di sant’Antonio soprattutto osservando come ha gestito il rapporto fra la città di Padova e la giustizia sociale: Antonio è stato un grande difensore dei poveri. Per cogliere il suo spessore sociale bisognerebbe approfondire la lettura dei suoi Sermones». Nel tempo tra diocesi e Santo si è coltivato un arricchimento reciproco che continua ad alimentarsi e vede spazi di nuove interrelazioni. Ma più che guardare al passato, che raccoglie una tradizione di relazioni proficue e positive tra diocesi e Basilica antoniana, tra preti diocesani e frati conventuali, il vicario generale preferisce pensare al futuro: «Mi piace pensare al presente e al futuro, perché, soprattutto da un punto di vista teologico, oggi ci sono grandi possibilità di sviluppo della relazione fra la Basilica del Santo come santuario internazionale, retto da un ordine religioso, e la Chiesa locale; possibilità un tempo inesistenti. Il problema, quindi, non è capire se ci sono rapporti positivi – la storia lo conferma –; semmai è importante cogliere la presenza del santuario nella realtà della nostra Chiesa locale come elemento provvidenziale e non casuale. La presenza del Santo dà una tonalità particolare alla Chiesa locale». Sono soprattutto alcuni tratti specifici della figura del grande Antonio, il suo carisma di ministro della Parola e di appassionato difensore degli oppressi, a qualificare tutta la Chiesa locale e ad arricchirla. «La presenza della Basilica antoniana – commenta Doni – non è un mero “esserci” in questo territorio della Chiesa padovana, ma è una presenza che impreziosisce la Chiesa locale e, viceversa, la Chiesa locale è significativa per la vita del santuario antoniano e dei frati. C’è un rapporto di reciprocità molto forte». Ma è necessario, ribadisce monsignor Doni, «far diventare questo dato teologico sempre più realtà evidente e consapevole», soprattutto riferendosi al «carisma di Antonio che ha influenzato molti personaggi della città e della diocesi», che sono cresciuti, si sono formati e si sono appassionati a quei connotati – potremmo affermare «fisiologici» – di Antonio, allo spessore sociale del suo insegnamento, alla sua impostazione del rapporto tra fede e stato. «Persone – continua il vicario generale – che hanno posto alla base del proprio pensiero e del proprio agire quei due elementi fondanti della vita di Antonio: l’amore per la Parola di Dio e l’amore per i poveri». Gli stessi che contraddistinguono il cammino della Chiesa locale.

Molto è stato fatto, ma altre vie si aprono per rendere sempre più evidente questa «tonalità» dovuta alla presenza di Antonio, in quanto la devozione al frate di origine portoghese non è proprietà esclusiva ma patrimonio condiviso che ha maturato storia e coscienza di un territorio. «Le possibilità sono varie – afferma monsignor Paolo Doni –: va incentivata, per esempio, la presenza dei francescani nelle comunità locali, e anche i momenti che favoriscono incontri, collaborazione, sottolinean­do i tratti che caratterizzano questa relazione profonda; va sempre più maturata la devozione a sant’Antonio come santo patrono di una diocesi». Da questo punto di vista particolarmente significativa è la relazione che si è instaurata sotto il profilo della formazione teologica. In particolare, con la nascita della Facoltà Teologica del Triveneto, che ha la sua sede centrale a Padova, si è intensificata e maggiormente qualificata la relazione tra l’Istituto Sant’Antonio dottore dei frati conventuali e la sede istituzionale della Facoltà, tanto che al percorso di licenza in teologia pastorale, specifico della Facoltà Triveneta, dallo scorso anno si è affiancata anche la licenza in teologia spirituale grazie alla colla­borazione tra la Facoltà e i Frati minori conventuali della Provincia Patavina. Un ulteriore arricchimento della riflessione teologico-pratica della Facoltà Teologica del Triveneto, avendo come oggetto di studio l’esperienza spirituale e come finalità la formazione.



Zoom. Un «santo globale»

Segno chiaro della collaborazione e del legame tra Chiesa locale e Basilica antoniana è la presenza del vescovo della diocesi di Padova in Basilica, a presiedere la solenne celebrazione del mattino in occasione della festa di sant’Antonio. Con il Vescovo Antonio Mattiazzo, poi, si è instaurato un rapporto particolare: in occasione del 13 giugno l’arcivescovo rivolge alla città di Padova un messaggio molto atteso, che trova sempre un collegamento attuale tra l’insegnamento di Antonio e le problematiche sociali della realtà locale: giovani, educazione, giustizia sociale... Nel messaggio dello scorso anno, per esempio, è emersa tutta la centralità del carisma antoniano in relazione al cammino della diocesi, impostato sul bene comune: «Sant’Antonio – ha scritto l’arcivescovo – è un santo “globale”, conosciuto e venerato nel mondo intero, anche da ortodossi e persino da musulmani. Oserei dire che è un “bene comune”. Da sant’Antonio attingo l’ispirazione per intrattenervi sul tema che la diocesi di Padova ha proposto quest’anno alla riflessione: il bene comune (…). Venuto da fuori, come “immigrato”, il “Santo” ha avuto a cuore il bene di ciascuno e di tutti gli abitanti della città. Si è prodigato per promuovere il bene completo della persona: spirituale e materiale, con una particolare sensibilità verso i sofferenti, i poveri, gli oppressi, per favorire relazioni umane meno conflittuali, più rispettose e cordiali, promuovendo un clima di concordia e di pace, frutto della giustizia e della solidarietà».




 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017