Aria di gioventù in Lussemburgo

Nel piccolo Paese europeo, la professionalità e la progettualità tutte italiane, sono spesso amalgamate nella società locale attraverso il radicamento familiare.
16 Aprile 2009 | di

Lussemburgo
2.586 chilometri di superficie, 213 banche, 5.000 funzionari nelle istituzioni. Una nazione più piccola di qualsiasi regione italiana, indipendente da 150 anni, nella quale i primi italiani arrivarono nel 1892 a seguito dello sviluppo vertiginoso dell’industria siderurgica. È un legame secolare quello che unisce il piccolo Lussemburgo al lavoro italiano. Se sul finire dell’Ottocento si contavano appena 439 emigranti, nel 1900 il loro numero toccava già le 7.000 unità, per poi salire a 10.000 soltanto dieci anni dopo. Piemontesi, lombardi, veneti, umbri, marchigiani e abruzzesi rappresentano lo zoccolo duro di una presenza italiana che oggi vanta numerose radici, e che interagisce in modo costruttivo con le istituzioni del Paese.
«La mia famiglia arrivò qui nel 1966, proveniente dall’Umbria, e su consiglio di una zia che già vi abitava. Mio padre era reduce dal lavoro in Svizzera e in Germania, ma qui ha trovato la possibilità di fermarsi in modo duraturo. Io sono nato a Esch-sur-Alzette e ho frequentato tutte le scuole, portando sulle spalle le grandi difficoltà dei primi anni scolastici, con genitori a digiuno della lingua, e in un contesto sociale lontano da quello umbro». Sono i ricordi di Paolo Dolci, 39 anni, oggi vice-presidente dell’Associazione umbri nel mondo del Lussemburgo: un sodalizio fondato negli anni Settanta, e molto presente nella socializzazione tra corregionali. Da 37 anni organizzano, tra le altre cose, un concorso canoro chiamato «Microfono d’oro». Sposato con Nada Lucchetti – figlia di marchigiani, e infermiera –, è papà di Samuele e Valentina. Paolo gestisce oggi un ufficio contabile insieme al fratello, e si trova perfettamente a suo agio nel piccolo Paese europeo.
«Quando hai voglia di lavorare, penso che non trovi nessun ostacolo insormontabile. Ho lavorato per anni per conto terzi, e da poco tempo lavoro in proprio. Nonostante debba molto a questa nazione, io mi sento italianissimo, e in Italia torno almeno una o due volte l’anno. In casa si parla tanto l’italiano, ma naturalmente anche lussemburghese, francese e tedesco visto che comunque lo devono imparare a scuola. In casa manteniamo molto le tradizioni italiane, soprattutto nel mangiare, nel guardare la Tv italiana e tutto quello che riguarda l’Italia.
In un Paese privo di grandi sconvolgimenti sociali, gli italiani si integrarono in un primo momento senza troppe difficoltà, ma negli annali restano ancora segnate a lutto le giornate di rivolta di Differdange che, nel 1912, provocarono due morti italiani. Erano anni di grande militanza politica, durante i quali fiorirono gruppi di socialisti, di anarchici e di repubblicani in un Paese privo di partiti politici. E nei quali gli italiani cercarono di evitare gli scontri frontali, trincerandosi in piccole «isole nazionali», dando vita ai «quartieri italiani»: il quartiere «Brill» ad Esch-sur-Alzette, «Italia» a Dudelange, e quello italiano a Differdange, nei quali nacquero numerose associazioni a carattere assistenziale, culturale e sportivo come il Mutuo Soccorso, le bande musicali, le filodrammatiche, le squadre ciclistiche e di calcio. A partire da questi quartieri, gli italiani diffondevano la loro cultura (lingua, musica, cucina) tra gli amici lussemburghesi, tedeschi, belgi e francesi. Cultura che oggi viene raccolta dalle nuove generazioni e riproposta in varie forme.
«Io sono arrivata nel 2002 seguendo il mio futuro marito e una migliore posizione lavorativa – racconta Paola Cairo, laureata in Scienze della Comunicazione, che lavora nelle istituzioni europee come agent contractuel. Il primo impatto è stato bellissimo. Mi sembrava il Paese dei balocchi, con un’alta protezione sociale per famiglie, lavoratori e fasce deboli della società. Con il tempo ho conosciuto anche l’altro lato della medaglia. Nessuna vera e propria università, difficoltà di comunicazione, nessun amico e nessun punto di riferimento: sono stati anni difficili, i primi che ho trascorso in Lussemburgo».
Appassionata di giornalismo, Paola ha fondato insieme a Maria Grazia Galati, l’Associazione ASBL che organizza eventi per la promozione della cultura e della lingua italiana, la rivista Passaparola, vero e proprio punto di riferimento per chi cerca informazioni sulla comunità tricolore in Lussemburgo, e la trasmissione radiofonica VoicesbyPassaParola su radio ARA.
«Ho trovato amici italiani e sostegno. Del resto gli italiani li trovi davvero dappertutto, tra quelli che sono emigrati e quelli che sono figli di emigranti. Difficile è stato rapportarsi con le associazioni regionali, ma ora anche grazie al nostro impegno con la rivista, siamo riusciti a trovare un filo comune. Inoltre, negli ultimi anni, sono nate associazioni di donne che organizzano corsi di cucina o di ragazzi che allestiscono concerti (www.panoplie.lu)».
Paola Cairo si considera un’italiana all’estero, e nonostante non abbia ancora figli, alcune volte sente di essere a un bivio. «Mi considero per ora soprattutto una donna europea, ma rientrando in Italia, spesso sento di essere cambiata rispetto a ciò che ho lasciato. Non si possono, però, tagliare le radici né tantomeno ci si può appropriare completamente di una nuova cultura. Io cucino e leggo italiano anche se tendo a leggere anche in francese».
La strada dell’integrazione per Isabella Sardo è passata invece attraverso la sua passione per il vino. Siciliana di Catania, 34 anni, laureata in Lettere, Isabella è infatti anche diplomata come sommelier professionista, e in Lussemburgo ha saputo trasformare questa passione in un’opportunità di lavoro.
«Mio marito aveva cominciato a lavorare all’estero, e avevamo voglia di riavvicinarci dopo anni di lontananza. Nel 2007 mio marito è stato assunto da un giudice della Corte di giustizia Europea, come referendario. È sempre stato il suo sogno, e io l’ho assecondato». Isabella Sardo è tra coloro che hanno vissuto un impatto durissimo al loro ingresso in Lussemburgo, trovando negli italiani un punto di riferimento imprescindibile per la propria vita sociale.
«Mi sento italiana e basta. Casualmente, e non so per quanto tempo ancora, mi trovo attualmente in Lussemburgo. Un Paese nel quale mi sento profondamente straniera. Ma questo non significa rinunciare a costruire qualcosa di valido. Io scrivo per un giornale di economia, e soprattutto dirigo un’enoteca dove si trovano esclusivamente vini e prodotti italiani. Me inclusa. Ora che lavoro con italiani e mi rivolgo a un pubblico costituito da una buona maggioranza di italiani, i miei connazionali emigrati come me in Lussemburgo sono non solo elementi della mia sfera privata, ma interlocutori per la mia professione e per l’impresa che dirigo».
Anche Alessandra Volpe è arrivata in Lussemburgo per riunirsi al proprio marito, e per seguirlo nel suo lavoro. Il 2004 segna la sua data di arrivo tra le nuove generazioni di migranti italiani. Subito dopo si colora di maternità. Nata a Lanciano, in Abruzzo, 33 anni e una grande passione per l’arte, Alessandra ha lasciato Parma (città nella quale si è laureata) e un lavoro presso la Galleria Nazionale della stessa città. «Bisogna sempre fare delle scelte nella vita, e vedere dove la bilancia pesa di più. La mia bilancia pesava di più verso il Lussemburgo – afferma convinta Alessandra –. Non mi sono mai pentita della scelta perchè qui mi sono subito ambientata, nonostante non conoscessi nessuno, né la lingua che, però, ho subito imparato facendo un corso intensivo, in attesa di ricostruirmi un lavoro. Non è facile nel “settore arte”, soprattutto per chi non parla il lussemburghese, ma con pazienza e con un po’ di intraprendenza, si può fare tutto. Ora insegno italiano e storia dell’arte in corsi privati e faccio la mamma». Ottimista e testarda, in dolce attesa della sua seconda maternità, Alessandra si sente italianissima, ma ora anche un po’ lussemburghese d’adozione. E le prime amicizie le ha fatte durante i corsi intensivi.
«Da subito ho cercato di incontrare persone del posto e stranieri, perchè credo sia importante conoscere a fondo la realtà in cui si vive, e non isolarsi in comunità e in gruppi già costituiti. Un po’ alla volta mi sono creata un mio giro, aiutata anche dal lavoro che iniziavo a fare. Non ho avuto un gran sostegno dalle associazioni italiane esistenti al mio arrivo. Le ho trovate molto chiuse e poco disposte ad accogliere idee nuove e intraprendenti. L’unico rapporto sincero l’ho trovato con lo staff di Passaparola e con tutti i genitori italiani che hanno accolto subito con entusiasmo le mie lezioni».
Convinta dell’importanza di conservare la propria identità, le proprie tradizioni e abitudini, aprendosi però al nuovo, e cogliendo gli aspetti positivi di ogni realtà, Alessandra non disdegna di sperimentare la cultura del Paese d’adozione. «Credo sia giusto portare avanti i valori positivi appresi nella famiglia d’origine, e integrarli con valori positivi nuovi che chiunque può trovare in un Paese straniero. Di certo gli italiani qui in Lussemburgo sono amati, secondo la mia esperienza, anche se qualche volta hanno atteggiamenti e idee troppo diversi da quelli di un popolo nordico, e sono forse anche un po’ “invidiati” per la loro semplicità, schiettezza, fantasia, elasticità, che qui in effetti spesso mancano».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017