Ascesa e ascesi di Tiziano

La parabola biografica e pittorica del grande cadorino, straordinario ritrattista e interprete del sacro.
12 Giugno 2013 | di
La mostra monografica su Tiziano, appena conclusasi a Roma, alle Scuderie del Quirinale, ha reso veramente l’idea della grandezza di questo genio del colore, tanto grande che, dopo di lui, ci vollero tre secoli perché si ritornasse a raggiungere esiti cromatici così intensi. L’esposizione ha ripercorso tutta la vita di questo gigante della pittura: cominciando con l’Autoritratto (1565-1566) del Prado di Madrid, in cui l’artista appare vecchio, saggio e stanco, ormai provato dalla vita, ma con un brillìo vivo e penetrante negli occhi. Sono state esposte poi moltissime opere di argomento sacro: dal Martirio di san Lorenzo, dove il fuoco dei bracieri si irradia e si lega idealmente a uno squarcio luminoso nel cielo, all’Annunciazione (1535) eseguita per la Scuola grande di San Rocco a Venezia. Dalla Pala Gozzi, con la Madonna, san Francesco e san Biagio fino alla Deposizione di Cristo nel sepolcro commissionata da Filippo II re di Spagna e collocata, nel 1574, sul luogo della sepoltura del padre, l’imperatore Carlo V, uno dei più grandi estimatori e sostenitori di Tiziano. Tra l’altro il Vecellio aveva eseguito per lo stesso imperatore un ritratto della defunta moglie Isabella, così perfetto da «risuscitarla col fiato dei colori». Per quanto riguarda la ritrattistica, Tiziano si impone per l’aderenza al vero, per la fine intuizione psicologica: si vedano i ritratti di papa Paolo III, di Carlo V con il cane, di Francesco Maria della Rovere...

Tiziano Vecellio nasce in una famiglia benestante di notai e giureconsulti a Pieve di Cadore (nell’attuale provincia di Belluno), tra il 1480 e il 1490. Sulla sua data di nascita gli storici disquisiscono da secoli e Tiziano non li aiuta perché lui stesso, già anziano, depista i biografi, aumentandosi l’età. A 9 anni, comunque, lo troviamo già a Venezia presso uno zio: la città lagunare è una scuola per gli artisti e può vantare uno straordinario fervore di attività commerciali e culturali. Vi si trovano Gentile e Giovanni Bellini e Giorgione da Castelfranco da cui Tiziano va a scuola. L’artista cadorino è un giovane ambizioso e promettente (già invidiato) all’epoca e riceve ben presto incarichi importanti come quello di eseguire gli affreschi per il Fondaco dei Tedeschi dalla parte che dà sulla zona delle Mercerie: al lato del Canal Grande ci aveva pensato Giorgione. Nel 1511 il pittore ha un altro incarico importante: esegue gli affreschi sui miracoli di sant’Antonio alla Scoletta del Santo a Padova. In sole ventisette giornate di lavoro dipinge il Miracolo del neonato che parla, il Miracolo del marito geloso, il Miracolo del piede riattaccato. «Segnano la scoperta di un paesaggio nuovo – afferma il professor Giovanni Carlo Federico Villa, curatore della mostra di Roma –, che sa di scabro ed essenziale, animato da personaggi che acquistano sangue e vita, si muovono e agiscono con impeto. Gli splendidi attori di un dramma terreno, su di un fondo realistico e vitale che perfettamente sostiene la nuova concezione del colore. In Tiziano – aggiunge il professor Villa – percepiamo una particolare dimensione delle immagini sacre: non c’è in lui né il dramma angosciato dell’anima di fronte a Dio, né la gloria esaltata dello spirito controriformista. Non c’è la tensione mistica, e non c’è l’abbandono fiducioso: in Tiziano il sacro è sempre in dialogo con l’umano e il concreto, è luogo della bellezza, espressione di un sentimento che si fa abito psicologico. Così il mondo terreno e quello celeste appaiono legati armoniosamente, sollecitati ed esaltati in uno spazio che è anzitutto umanamente concepibile».

Tiziano a Venezia, dopo che Giorgione è morto di peste nel 1510 e Sebastiano del Piombo nel 1511 è partito alla volta di Roma, è un maestro incontrastato. Nel 1518 esegue un capolavoro: l’Assunta per la Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari, commissionata nel 1516 da padre Germano da Casale e installata sull’altare maggiore il 19 maggio 1518.
«Con l’Assunta – spiega ancora il professor Villa – Tiziano va oltre il gusto, gli emblemi, il prestigio e la nobiltà dell’aristocrazia. Impone il senso del movimento, realizzato con una densità cromatica che si fa moto, provocando la violenta reazione e il dibattito tra coloro che continuavano a rimanere legati ai modi belliniani e quanti, invece, si entusiasmavano per quel colore che, da solo, sembrava alzare verso il cielo una statuaria Madonna che si libra nella vivida aura luminosa, adorante l’attesa visione del Padre, circondata da una gloria d’angeli. Stupiti, in azione continua e drammatica, gli apostoli, terrenamente meravigliati. Un’opera che, anche per le dimensioni colossali, non poteva lasciare indifferenti». La pala (ventuno assi di legno orizzontali), dunque, all’epoca non fu subito capita, ma oggi mostra tutto il genio di Tiziano.
«La chiesa – aggiunge fra Apollonio Tottoli, francescano esperto di storia dell’arte – sembra costruita in vista di quella pittura. Lo scultore Antonio Canova diceva che è il più bel quadro del mondo. L’Assunta è un mistero e l’opera di Tiziano è un miracolo pittorico che risulta ancora più affascinante se si osserva quanto si può vedere e si intuisce ciò che è nascosto. È tutto un cammino, un’aspirazione al divino, aiuta lo spirito a elevarsi. Questa opera d’arte avvicina i fedeli a Maria».
Tiziano conosce bene i frati. Nella Basilica dei Frari c’è anche la Pala Pesaro (spostata dopo le scosse sismiche del 2012 nella Cappella dei santi francescani e quindi provvisoriamente vicino all’Assunta) e c’è il monumento a Tiziano che proprio qui fu sepolto dopo la morte, avvenuta durante la peste del 1576.

Tiziano negli anni 1530-’40 è famoso in tutta Europa ed è molto ricco; ha per amici i letterati Pietro Bembo e Pietro Aretino. I suoi committenti sono le corti di Alfonso D’Este, di Federico Gonzaga, i Farnese, l’imperatore Carlo V, che lo nomina «conte palatino», il papa Paolo III, i banchieri, i dogi e i patrizi veneziani. Ha il carattere un po’ schivo del montanaro, ma ha piena consapevolezza del suo valore e i suoi modi sono raffinati e gentili; ha una bottega di amici e familiari che lavorano con lui e per lui, primo tra tutti il figlio Orazio. Nell’ultima stagione di Tiziano Vecellio il crollo di una visione classica apre alla scoperta di nuovi orizzonti. La pittura dell’artista si fa nuova, diversa, il colore si scompone e viene steso, oltre che col pennello, anche con le dita.

Mentre cambiano anche gli scenari politici (Venezia ha perso il suo primato di mediatrice tra Europa e Oriente, la cristianità si è spaccata con la riforma protestante e la controriforma), la vita del cadorino è gravata di tanti dolori: la perdita della moglie Cecilia, morta nel mettere al mondo la terza figlia, Lavinia (destinata poi, a sua volta, a morire di parto); la scomparsa della sorella Orsola e del fratello Francesco, il difficile rapporto con il figlio Pomponio, avviato alla carriera ecclesiastica.

«Tiziano – conclude il professor Villa – fu per tutta la vita uno straordinario sperimentatore, fino a quell’ardimentosa e visionaria vecchiaia che contemporanei e posteri immediati non capirono e che invece affascina noi moderni per impasti di colore, per quello stendere di dita, per quella volontà tattile di rendere l’animo, di esplorare la notte e il buio, spegnere i colori, esplorare le estreme possibilità di gradazioni liquide in un’economia assoluta.
La sua ultima stagione apre una nuova epoca, quella dell’uomo moderno, della sua solitudine e del dramma della sua esistenza. Inevitabile la rimeditazione su se stesso nella ricerca di un dialogo diretto con la fede».

Nella Pietà (1570-1576) che, secondo le intenzioni di Tiziano, avrebbe dovuto essere posta ai Frari nel luogo della sua sepoltura e che invece si trova alle Gallerie dell’Accademia, si vede il Cristo esangue tra le braccia di sua madre. Per inciso, anche Michelangelo (grande rivale del Vecellio) lavora a una Pietà fino a pochi giorni prima di morire (1564). Ebbene la Pietà di Tiziano, portata a termine dall’allievo Palma il Giovane, è struggente per l’intensità di Cristo, di Maria, del vecchio implorante inginocchiato che ha le sembianze di Tiziano. E il pittore si ritrae anche nella tavoletta a guisa di ex voto, dove implora pietà insieme al figlio Orazio, che muore di peste nello stesso 1576. Quest’opera è lontanissima dai fasti terreni di certa ritrattistica ed è vicina invece al cielo.
«Così, alla fine – annota la scrittrice Elisabetta Rasy nel suo saggio su Tiziano (Silvana Editoriale) –, la sua irresistibile ascesa mondana si trasformò in un’ascesi mistica: lui stesso confuso con la materia che tanto aveva amato, le sue mani un pennello, il suo corpo niente più che uno strumento della pittura».
Ma se la parabola terrena di Tiziano si è conclusa, non tramonta invece la sua gloria e, dopo Roma, (mentre la Venere di Urbino è eccezionalmente esposta a Palazzo Ducale a Venezia) il suo paese natale gli dedica un omaggio. A Pieve di Cadore si è aperta infatti lo scorso 29 giugno un’altra mostra: Tiziano. Venezia e il Papa Borgia (fino al 6 ottobre 2013). Arriva dal museo di Anversa l’opera Il Vescovo Jacopo Pesaro e papa Alessando VI davanti a san Pietro. Ma questa, è un’altra storia.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017