Assisi: città spenta ma non morta

È terribile quel che è successo nella città del Poverello e negli altri centri umbri e marchigiani colpiti da un interminabile terremoto che ha provocato danni non solo materiali.Ecco la testimonianza di uno che quel dramma l’ha vissuto per intero.
06 Novembre 1997 | di

Ora che si fa? Si ha certamente voglia di ricominciare, ma la terra continua a tremare, alla paura è subentrato il panico e da giorni non si sentono più cantare gli uccelli. È tutto così irreale.

Assisi è spenta. Quelle pietre che fino a qualche giorno fa si facevano ammirare per la loro compostezza, colore e armonia improvvisamente sono diventate macigni minacciosi. Questa città  che si è sempre mostrata accogliente, vivace, quasi un lembo di paradiso, oggi allunga le sue ombre e non convoca più nelle piazze a far festa. Oggi Assisi porta le ferite di una città  inospitale, minacciosa, aggressiva.

Assisi è spenta nella sua luce propria: la basilica di San Francesco è come un sepolcro vuoto, la basilica di Santa Chiara porta i segni della violazione; non c'è chiesa aperta per la preghiera; i monasteri, templi sacri della contemplazione, sono evacuati; le comunità  religiose costrette ad abbandonare le loro case, la loro attività  di incontro e di accoglienza.

Ora che si fa se non si sente più nemmeno il canto degli uccelli?

Tutto è avvenuto in quel 26 settembre 1997, dalle ore 2,33 della notte alle 11,42 verso mezzogiorno. Inutile ritornare al racconto di quelle tragiche e spaventose ore. Le immagini straordinarie e drammatiche hanno fatto vivere quegli eventi in diretta.

Nella basilica superiore, chiusa al pubblico per precauzione e per una provvidenza benevola, c'era una commissione tecnica per verificare i danni della scossa della notte... Improvvisamente un terribile scuotimento, un boato spaventoso e la rovinosa caduta di una parte delle vele del tempio.

Una scossa tremenda che non ha solo tolto la vita e ridotto in briciole centinaia di metri quadri di arte immortale, ma ha cambiato radicalmente il volto di una città  tra le più amate e frequentate del mondo: Assisi, città  di Francesco e Chiara.

Assisi di schianto è diventata irreale, impossibile, impensabile. Da oasi privilegiata per vivere momenti di pace, di serenità ; da città  della preghiera, della fraternità  universale, si è trovata ad essere violentemente segnata dalle stimmate della paura, della tragedia, dell'angoscia.

E perfino le chiese di Francesco e Chiara, poste frontalmente a baluardo per difendere e abbracciare la loro città , sono rimaste ferite come un corpo trafitto.

Alla luce di questi eventi terrificanti è possibile trarre un messaggio che non suoni come monito severo e vendicativo di un Dio che per qualche frammento di tempo si dimentica di essere Padre e che comunque rimane insensibile a ogni supplica?

Assisi, vera cittadella dello spirito, si stava preparando al grande appuntamento del giubileo del 2000. Stava mettendo a punto, come altri centri di grande richiamo spirituale, progetti e programmi per celebrare l'evento della redenzione portata da Gesù Cristo. Un evento segnato dalla croce, pagato con il prezzo del sangue innocente, ma che però la nostra cultura sta trasformando forse in un grande appuntamento di trionfo e di gloria. Insomma, una sorta di appuntamento felice e festoso con il Cristo vittorioso della Pasqua, ma senza i segni delle mani e dei piedi trafitti.

Francesco stesso, immagine visibile dell'uomo crocifisso, povero e sofferente, 'ridotto all'ultima perfezione sotto il martello di molteplici e dure tribolazioni', scrive san Bonaventura, l'abbiamo ridotto al fraticello ilare e spensierato, attorniato da uccelli festanti e incorniciato in un'aiuola di fiori profumati e variopinti. E così la santità  di Chiara, segnata da lunghissimi anni di infermità , di privazioni radicali e di clausura eroica, ha finito con l'identificarsi con una perenne bellezza femminile.

Noi attratti e seguaci di una religione consolatoria e rassicurante, ci diamo appuntamento per l'alba radiosa della nostra pasqua, restando ben lontani da quel mezzogiorno di venerdì, l'ora in cui si fece buio sulla terra e si squarciò il velo del tempio.

Ritornare a questi pensieri non vuol dire voler restare sepolti sotto le macerie delle nostre disgrazie o fare comunque della nostra vita una valle di lacrime, ma saper abbassare il capo di fronte a un mistero che non tocca solo noi, ma anche il cuore di Dio.

Una pausa di silenzio raccolto serve anche ad affrontare il chiasso e l'imponenza di una informazione tempestiva, ma spesso anche convulsa ed emotiva e che non sa trarre dal dolore nemmeno l'occasione per un abbraccio solidale senza polemiche. Non si può aggiungere l'ira alle lacrime, semmai dare un valore redentivo a ogni nostra sofferenza personale collettiva.

La basilica ferita dalla violenza del terremoto è stata voluta dalla comunità  ecclesiale del tempo per onorare e celebrare la santità  di Francesco d'Assisi. È la basilica della luce, dello slancio verso l'alto, della gloria. È ferita, non morta! E fa più male delle scosse del terremoto leggere nei settimanali come una sorta di epitaffio la nascita, la vita e la morte di una basilica, ridotta a un cumulo di ceneri.

Rimane sorprendentemente intatta la basilica inferiore, che invita sempre a recarsi in silenzio e in preghiera all'altare del sacrificio. Rimane intatto il sepolcro che raccoglie i resti mortali dell'esperienza evangelica di Francesco. Quasi a significare che la gloria e la gioia della vita hanno bisogno di fondamenti saldi e indistruttibili.

Non suona fuori posto l'invito del crocifisso di San Damiano al giovane Francesco: 'Va' , ripara la mia chiesa!'. Come allora, non si tratta di una chiesa di pietre e di arte: saranno i tecnici e gli artisti a riportarla a un rinnovato splendore; è la chiesa della ripresa e della speranza, del pellegrinaggio affettuoso e devoto, è la chiesa che ridona ad Assisi il ruolo di fecondità  spirituale e umana. È la chiesa da ricostruire partendo dall'impegno e dalla gioia di essere stati redenti e salvati.

Assisi ha perso solo qualche lettera della firma prestigiosa di Cimabue e Giotto, ma conserva ancora intatta la presenza e la memoria di Francesco e Chiara. Se questi due santi hanno dato moltissimo all'uomo di ogni epoca, ora tocca a noi, a nome di tutti, restituire qualcosa a loro, senza dimenticarli o abbandonarli per paura. Quel poco che si riuscirà  a dare, verrà  restituito in misura colma e abbondante.

 

Non solo Assisi

Ci siamo dilungati nel descrivere i danni inferti dal sisma alla basilica di San Francesco d'Assisi per il cui recupero, che non sarà  né facile né rapido, già  tanti si stanno muovendo. Ma abbiamo presente più ancora il dramma che hanno vissuto e stanno vivendo migliaia di persone colpite dall'inesorabile terremoto che sembra non aver mai fine. Ai tanti di loro che sono a noi vicini nella devozione al Santo di Padova e a tutti gli altri, la partecipazione nostra e di tutta la famiglia antoniana, nonché la nostra solidarietà  che si renderà  concreta con gli interventi che la Caritas antoniana riterrà  opportuni.

Confidiamo che sofferenze e disagi, grazie alla solidarietà  di tutti, abbiano presto termine, che il dramma di questi amici non si prolunghi inesorabilmente nel tempo, come è succeso per altri terremotati, le cui ferite sono ancora aperte a distanza di decine di anni. Ci faremo portavoce delle loro ansie, delle loro attese e delle loro delusioni.

 

Vittime del crollo

Nel crollo della vela dell'evangelista Matteo, affrescata dal Cimabue, sono morti due frati, padre Angelo Api e il giovane polacco Zdislaw Borowiec. Padre Angelo, 'uomo dalle solide e profonde convinzioni di fede' (così lo ha definito padre Agostino Gardin, ministro generale, nell'omelia funebre) era impegnato con grande dedizione nel delicato compito di formare i futuri frati. Zdislaw era uno di questi, da poco giunto dalla Polonia. Il terremoto ha spezzato la sua giovane vita. Non è valso a salvargliela il tentativo estremo di proteggerlo compiuto dal suo maestro il quale, resosi conto dell'impossibilità  di trovare riparo dalle pesanti pietre che cadevano dal soffitto della basilica, lo ha stretto in un abbraccio protettivo.

Il dolore per questa perdita è stato grande; tuttavia, ha detto padre Agostino Gardin, 'noi diciamo: sì, Signore, noi accettiamo questi eventi di morte, perché collocati, letti e vissuti nel tuo evento di morte e risurrezione, percepiti - per riprendere le parole di Paolo - fissando lo sguardo sulle 'cose invisibili ed eterne', essi diventano per noi 'eventi di vita''.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017