Attualità

23 Febbraio 2010 | di

Senza spigoli

Internet tra mito e realtà

Uno strumento tecnologico può essere candidato al Nobel per la Pace?


Notizia: internet è stato candidato al Nobel per la Pace. Stupiti? In fondo la Rete è un mito dei nostri tempi, e i miti possono indurre a molte esagerazioni. Personalmente trovo la candidatura di un mezzo tecnologico al Nobel un’iniziativa furba o forzata. In fondo l’hanno avanzata un giornale di tecnologie e di tendenze – «Wired» –, alcuni dei «padri» di internet e un guru informatico come Nicholas Negroponte: creando un monumento a internet, in fondo magnificano ciò di cui vivono.
Di internet si sono visti molti vantaggi, ma è pur sempre un mezzo. Candidarlo a un Nobel per la pace non significa forse considerare irrilevante quella volontà di bene che appartiene solo agli umani e che rappresenta ciò che andrebbe premiato? Anche se non vanno trascurati segnali importanti. Come il recente braccio di ferro tra Google e la Cina. L’azienda che dà il nome al motore di ricerca più famoso del mondo era sbarcata in Cina quattro anni fa accettando la censura del regime, come tutte le altre multinazionali. Ma dopo un attacco di hacker cinesi al suo sistema a fine 2009, mirato a violare gli indirizzi di attivisti per i diritti umani, il gigante della Rete ha annunciato che non avrebbe più accettato le censure di Pechino. Google aveva proclamato quattro anni fa che la sua presenza in Cina avrebbe convinto il regime a una graduale apertura. È successo il contrario: 280 mila tecnici della polizia informatica cinese filtrano ogni giorno i contenuti di internet, alla ricerca di siti non autorizzati. È vero che internet, solo per il fatto di esistere, ha diffuso la possibilità di esprimersi per chi cerca la libertà: i dissidenti cinesi, appunto, ma anche i giovani iraniani contrari all’oppressione degli ayatollah e tutti gli oppressi da quei regimi che infatti, uno dopo l’altro, si affrettano a creare imponenti apparati repressivi della Rete, avendo la disponibilità economica per farlo. L’utopia che le tecnologie informatiche bastino da sole a salvare il mondo non ha retto alla prova della realtà. Avevano ragione gli entusiasti nel prevedere che sarebbero state un mezzo straordinario, del tutto nuovo nella storia. Non ne avevano, invece, nel considerarle la soluzione di tutti i mali. Per sconfiggere guerre e dittature serve molto altro, a partire dallo spirito critico e dalla capacità di leggere il mondo nella sua complessità.

Rosanna Biffi



Non fa notizia

Myanmar


Tre militanti della Lega nazionale per la democrazia – il movimento politico di Aung San Suu Kyi e principale partito d’opposizione in Myanmar – sono stati condannati a tre anni di lavori forzati. La corte del Tribunale di Rangoon ha deciso di punire i tre uomini per aver violato la legge sull’associazionismo e aver accettato denaro da un militante del partito Liberated Areas, messo fuorilegge dalle autorità dell’ex Birmania. Secondo gli avvocati difensori dei tre uomini, le accuse erano fasulle e non c’erano prove. La condanna non è un segnale positivo per il movimento politico che fa capo al premio Nobel per la Pace.

PeaceReporter



Osservatorio Onu

L’Onu cambia casa

New York: in restauro il Palazzo di Vetro. Tra gli obiettivi da raggiungere c’è il risparmio energetico.


Dopo oltre mezzo secolo, il Palazzo di Vetro – sede delle Nazioni Unite e simbolo dell’architettura modernista firmato da Le Corbusier, Oscar Niemeyer e Wallace Harrison – è entrato in un lungo processo di restauro che durerà almeno un biennio. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, lasciato l’ufficio al trentottesimo piano del famoso grattacielo, si è sistemato, insieme con la sua squadra, in un edificio provvisorio nei giardini dell’Onu (in costruzione, nella foto), dove verranno ospitate riunioni internazionali di alto livello. Tagliando il cerimoniale nastro blu – colore simbolo delle Nazioni Unite – Ban ha detto ai delegati dei 192 Paesi: «Questa sarà la vostra casa per i prossimi due o tre anni». Definito «funzionale» ed «economico», il nuovo edificio dalle pareti metalliche ricorda un capannone industriale con gli interni spogli, poche finestre e tappeti, e senza le opere d’arte che rendevano il Palazzo di Vetro un vero e proprio «museo globale».
«Ci saranno inconvenienti», ha ammesso il segretario generale, sottolineando però che l’obiettivo finale, da raggiungere entro il 2013, sarà un «Palazzo Verde» dai consumi energetici ridotti: il progetto prevede tagli pari al 40 per cento, con ampi risparmi sulla bolletta di 13 milioni di dollari che l’Onu paga ogni anno alla ConEd, l’Enel di New York.

Matteo Bosco Bortolaso



Cristiani nel mondo

Iraq. Un ghetto cristiano?

Almeno 1960 i cristiani uccisi dal 2003.


Nei mesi scorsi la città di Mosul è stata teatro di violenze quotidiane contro i cristiani: commercianti, infermieri, dottori, negozianti uccisi davanti alla porta di casa. E poi studentesse universitarie rapite da gruppi islamici; serie di esplosioni contro chiese e conventi di suore.

Secondo alcuni vescovi, tutte queste violenze rientrano in un progetto di «pulizia etnica» contro i cristiani iracheni, che si vorrebbe cacciare dal Paese dove hanno vissuto per millenni. Esiste pure un progetto pubblicizzato da politici iracheni che vorrebbe trasportare tutti i cristiani nella piana di Ninive, più a sud, costituendo il primo «ghetto cristiano» e separando questi fedeli dal contatto con le altre religioni ed etnie.

Il governo nazionale e il governatorato locale di Mosul assistono impotenti a tutti questi attacchi. Anche le etnie che si combattono per il governo della città – arabi, curdi e turcomanni, con possibili infiltrazioni di cellule estremiste – si accusano a vicenda senza fermare l’orrore.

Secondo fonti locali, dal 2003, l’anno della caduta di Saddam Hussein, almeno 1960 cristiani sono stati uccisi in Iraq. La loro presenza si è ridotta della metà a causa dell’esodo in altre zone più tranquille del Paese (Kurdistan) o all’estero.

p. Bernardo Cervellera



Le parole della nostra vita

La ripresa è servita! Rottamare ed ecoincentivi


Rottamazione

Lo Stato ci incoraggia a rottamare. Parliamo di automobili, naturalmente. È diventato un verbo d’attualità, e deriva da rottame, ma attraverso uno strano percorso. Eccolo: dal verbo rompere (latino rumpere), e dal participio passato rotto, ecco il sostantivo rottame, che significa «frammento di cosa rotta» oppure «relitto» o anche, applicandolo agli esseri umani, «persona distrutta». È qui che lo Stato, per ripulire l’aria e movimentare il mercato, ci fa una proposta: «Considera la tua vecchia auto inquinante come rottame, anche se l’hai tenuta benissimo, lucidandola ogni giorno con cura e con amore: rottàmala». Ecco da dove nasce rottamare. È un verbo denominale, come dicono i grammatici, cioè derivato da un nome; come se non bastasse, genera a sua volta un nuovo nome: rottamazione, che con quello stridore da carcassa metallica frantumata da una pressa, servirà forse a incrementare le vendite, ma non la musicalità della lingua.


Ecoincentivi

A fare una bella coppia con rottamazione, ecco la bomba cacofonica di ecoincentivi. E l’aggettivo cacofonico vuol dire «dal cattivo suono». L’incontro di quella «o» e di quella «i» di eco-incentivi suona come uno scontro frontale o forse meglio come un tamponamento tra la parola eco, dal greco «oikos», ambiente, prefisso molto diffuso grazie ai composti tipo eco-logia, eco-sistema, eco-terrorismo, eco-balle eccetera, e il pomposo burocratese di incentivi. Il quale, attraverso il tardo latino incentivum, deriva nientemeno che dal latino classico incinere, «intonare il canto», quindi, in qualche modo, «incoraggiare». Rottamazione, ecoincentivi: due spigolose parole che sembrano dire, alla loro maniera: «Signori, la ripresa è servita». Speriamo che sia vero.

Paolo Pivetti



Oblò

Bambini soli davanti alla tv

La solitudine dei bambini e dei preadolescenti è spesso ignorata, eppure in molte regioni italiane un ragazzo su cinque non ha amici. Più del 70 per cento torna da scuola da solo. In troppe zone oltre il 20 per cento dei ragazzi tra 10e 15 anni, arrivando a casa, non trova adulti. Inoltre, la crescente valanga di figli unici si trasforma facilmente e fatalmente in una fabbrica di solitudine. Una ricerca francese di alcuni anni or sono dimostrava che a 12 anni un bambino, spesso solo e psicologicamente quasi abbandonato, in media ha già visto, naturalmente alla televisione, alcune migliaia di omicidi. E la situazione italiana non può essere diversa. D’altronde, bambini e preadolescenti soli hanno un solo amico: la televisione, quando non si rifugiano in internet, compagno molto più pericoloso. Una televisione falsa e subdola, che è interessata soprattutto all’audience, si assume il compito delicato di educare. E questo accade anche perché i rapporti tra genitori e figli sono deboli, talvolta freddi, comunque insufficienti. Spesso i genitori, andando a dormire, lasciano i figli davanti al televisore, che diventa scuola e fonte di ogni informazione e ogni ideale. Ma siamo certi che trasmetta qualche ideale? O, soprattutto, dei valori? E in particolare nelle trasmissioni notturne, in cui prevale il contenuto pornografico?

Sabino Acquaviva



Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017