Australia: terra di contraddizioni
Ritorno alla propria terra a pieno diritto per alcuni gruppi aborigeni che avranno in gestione congiunta dieci parchi naturali nella parte orientale del Victoria. Un’iniziativa che sottolinea l’impegno dello Stato – spiega il ministro per l’Ambiente Lily D’Ambrosio – nei confronti delle popolazioni indigene, estromesse dai territori di appartenenza a seguito della colonizzazione, spesso brutale e senza scrupoli.
Ridare autorità agli aborigeni è un piccolo passo verso una riconciliazione che rimane una questione aperta e dolorosa. Il Victoria, inoltre, si sta avvicinando alla stesura di un trattato tra autorità e indigeni – l’Australia è l’unico Paese del Commonwealth privo di accordi formali con i nativi –, ma molto rimane da fare a livello federale per colmare il divario tra aborigeni e il resto della popolazione.
Arretratezza economica e sanitaria, alto tasso di suicidio giovanile e di incarcerazione sono alcune delle problematiche di una minoranza che non viene nemmeno menzionata nella Costituzione e che chiede cambiamenti profondi.
L’Australia, monarchia costituzionale il cui capo di Stato formale è ancora anacronisticamente la regina d’Inghilterra, non riesce a fare i conti con il proprio passato e sembra vivere un momento di incertezza nel presente. Nonostante una crescita economica che continua senza interruzioni da ventisette anni, gli australiani guardano al futuro con meno sicurezza a causa dell’instabilità politica (sei i primi ministri che si sono avvicendati negli ultimi dieci anni a seguito di lotte interne ai partiti) e del costo della vita che cresce a velocità superiore rispetto all’aumento degli stipendi.
Comincia a essere intaccata anche la convinzione di vivere in una terra ricca di opportunità, soprattutto per chi viene dall’estero, viste le politiche immigratorie sempre più rigide che arrivano al limite della violazione dei diritti umani (vedi i campi di detenzione extraterritoriale) e un diffuso sfruttamento dei lavoratori stranieri temporanei.
In una nazione dove un abitante su due ha almeno un genitore nato all’estero e si parlano 300 lingue, fa riflettere che il numero di persone che si sentono discriminate per il colore della pelle, l’etnia o la religione sia triplicato nell’ultimo decennio. Spesso idealizzata sulla stampa internazionale, l’Australia non sembra aver ancora trovato un’identità nazionale che ne abbracci la complessità.