Avanti con entusiasmo e ottimismo!

«Restate vicini a Cristo con la preghiera, e passate dalla preghiera all'azione. La fede deve sempre muovere dalla testa al cuore e alle mani. Il che vuol dire conoscere, amare e servire Dio e il prossimo».
23 Giugno 2008 | di

Toronto
È trascorso poco più di un anno da quando monsignor Thomas Collins è stato nominato arcivescovo di Toronto, in Canada, e già in tutte le parrocchie e nelle associazioni di carattere religioso si sentono commenti molto positivi circa il suo carisma, la sua erudizione teologica e la sua totale disponibilità verso i bisogni delle varie parrocchie che egli visita frequentemente. Nato a Guelph, in Ontario, il 16 gennaio 1947 da genitori di discendenza irlandese, fin dalla sua fanciullezza aveva avuto il desiderio di farsi sacerdote. Un desiderio cresciuto negli anni degli studi superiori in scuole cattoliche, soprattutto grazie all’esempio che riceveva da un suo bravissimo professore sacerdote. Dopo essersi laureato in Letteratura inglese, parlò con il parroco e con il vescovo ed entrò nel seminario di London in Ontario. Fu ordinato sacerdote il 5 maggio 1973 nella Cattedrale di Cristo Re, a Hamilton. Trascorse i primi tre anni come assistente nella parrocchia del Santo Rosario di Burlington e della Cattedrale di Hamilton con l’incarico di cappellano e professore in una scuola superiore di Hamilton, ottenendo allo stesso tempo la laurea MA in Letteratura Inglese all’Università di Guelph. Nel 1975 si recò a studiare a Roma dove, oltre ad imparare l’italiano, si laureò in Sacra Scrittura all’Istituto Biblico Pontificio. Ritornato in Canada nel 1978, insegnò per sei anni Sacra Scrittura al Seminario di London, in Ontario, e Inglese alla Weston University della stessa città. Nel 1984 tornò a Roma per altri due anni e ottenne il dottorato in Sacra Scrittura all’Università Gregoriana, con il famoso gesuita professor Ugo Vani.
Nella ricorrenza dei cento anni della prima chiesa italiana di Toronto, lo abbiamo intervistato.
Colantonio. Quali ricordi conserva della sua permanenza a Roma e in Italia?
Collins.
In Italia ci sono tante cose meravigliose, ma ho amato soprattutto la bellezza dell’architettura. Inoltre, imparando l’italiano, ho amato di più Dante, il padre di questa bella lingua. Durante gli studi superiori, ho letto una buona traduzione della Divina Commedia, e negli anni ho collezionato vari libri con i commenti di numerosi autori. Conoscere l’italiano e poter leggere questa opera sublime nella versione originale era molto piacevole, tanto che ho intrapreso il progetto di leggerla al completo un canto alla volta con molta attenzione. Anche adesso, quando viaggio, non solo nei lunghi percorsi, ma anche nella metropolitana, porto sempre con me una copia della Divina Commedia che mi fa buona compagnia.
Dopo aver terminato gli studi a Roma, dove ha svolto il suo apostolato, quando è stato nominato vescovo?
Dopo aver ottenuto la Licenza e il Dottorato a Roma, ho insegnato Sacra Scrittura e sono diventato prima Decano, poi vice-rettore alla Facoltà di Teologia. In seguito fui nominato Rettore del Seminario, ma nel 1997 fui chiamato dal Nunzio Apostolico, e mi fu comunicata la nomina a vescovo di St. Paul, nell’Alberta, dove rimasi due anni. Nel 1999 fui nominato arcivescovo di Edmonton, sempre nell’Alberta, e finalmente, il 16 dicembre 2006, fui nominato arcivescovo di Toronto.
Quali esperienze di apostolato ha avuto con gli ultimi Papi?
La prima volta che mi trovai alla presenza di un Papa, risale al tempo dei miei primi studi a Roma: si trattava di Papa Paolo VI. In seguito ebbi vari incontri, di varia durata, individualmente o in gruppo, con Papa Giovanni Paolo II, specialmente dopo essere stato fatto membro del Comitato di preparazione della Giornata Mondiale della Gioventù, e come vescovo di St. Paul e arcivescovo di Edmonton. Con Benedetto XVI ho avuto parecchi incontri sia nel 2005 che negli anni seguenti.
Quali sono le sue priorità e responsabilità nella grande diocesi di Toronto?
Sto ancora cercando di imparare in questa enorme diocesi che comprende circa 1.800.000 cattolici, 225 parrocchie, e centinaia di preti, monaci, suore e moltissimi istituti, scuole e collegi. Naturalmente, nelle mie priorità, metto l’incoraggiamento di tutte le parrocchie a progredire e ad usare i modi adatti ad accogliere i parrocchiani. Mi rattristo quando sento che alcuni cattolici hanno abbandonato la Chiesa, e vorrei arrivare ad essi per farli tornare, mostrando loro la bellezza della Chiesa. Papa Benedetto XVI, nella Cattedrale di St. Patrick, a New York, ha usato una splendida immagine della Chiesa. «Come questa Cattedrale – diceva il Papa – dal di fuori sembra tutta oscura, comprese le vetrate delle finestre. Quando si entra, però, ci si accorge che da quelle vetrate entra tanta luce da rischiarare tutto l’interno della chiesa». È questo che cerco di fare dando anche molta importanza a un insegnamento di qualità nelle scuole cattoliche e alle vocazioni religiose.
Quale messaggio cerca di comunicare ai cattolici della sua diocesi?
È principalmente un messaggio di speranza. Noi siamo di fronte a un mondo che in molte maniere proclama una cultura di morte, violenza, povertà, negando anche il diritto alla vita e promuovendo la distruzione della famiglia. Ci sono molti problemi nel mondo, mentre noi dobbiamo credere nella speranza, profondamente radicati nella preghiera, protesi a raggiungere gli altri, nell’auspicio di vivere in un mondo migliore.
Si dice che nella grande Toronto ci siano oltre mezzo milione di cattolici d’origine italiana. Come vede questa comunità etnica rispetto alla pratica della fede e degli insegnamenti della Chiesa?
È difficile pronunciarmi in modo oggettivo su questo argomento per il fatto che sto ancora imparando a conoscere i cattolici delle varie parrocchie e scuole che visito molto spesso. Noi siamo preoccupati a incoraggiare la pratica della fede, ma sappiamo che c’è una grande percentuale di cattolici, compresi gli italiani, che non sono praticanti. Ed è una sfida, per noi, arrivare a queste persone, e incoraggiarle a tornare in chiesa. Ho letto che nel 300, San Giovanni Grisostomo si lamentava con i parrocchiani di allora perché c’erano molti cristiani che non frequentavano la chiesa. I fedeli risposero di non dirlo a loro che erano in chiesa, ma a quelli che erano assenti. Lui, però, rispose che anch’essi avevano la missione di convincerli, soprattutto con il loro esempio, e ricondurli sulla strada giusta. Quindi nella nostra città, dove ci sono tante razze, tante lingue e tante religioni, col passare del tempo si perdono i costumi e le tradizioni dei genitori, insieme alla lingua, la cultura e anche la fede. D’altra parte, però, visitando certe scuole, con piacere ho incontrato tanti giovani che professano e vivono la loro fede molto profondamente. Certamente nella comunità italiana si dà grande importanza alla famiglia, alla cultura e alle tradizioni religiose, e benché io non possa pronunciarmi su quale influenza le nuove generazioni abbiano ricevuto, posso dire di sicuro che le basi ricevute dai loro genitori sono molto solide. Posso anche affermare che la comunità cattolica di Toronto è molto forte, anche se i problemi non mancano.
Quali difficoltà e quali sfide deve affrontare nell’arcidiocesi e nelle parrocchie italiane?
Qualche tempo fa ho incontrato tutti i parroci che si occupano della comunità italiana, e per l’occasione mi hanno regalato un bellissimo quadro della Madonna con il Bambino. Io gliene sono molto grato. È sempre una sfida trovare sacerdoti adatti ad assicurare l’assistenza religiosa in un territorio in cui ogni anno si assiste a un continuo flusso migratorio verso le periferie con altre persone che prendono il loro posto. Oltre alla sfida di cambiamento di residenza, c’è il cambiamento di generazioni in quanto, col passare degli anni, certe persone possono essere identificate sempre meno con una nazione in particolare. Attualmente noi cerchiamo di assicurare il più possibile l’assistenza religiosa nella lingua d’origine, e posso affermare che i sacerdoti italiani svolgono un ministero eccellente nelle loro comunità.
Quale importanza ha per lei l’apostolato laico nelle parrocchie?
L’apostolato laico è estremamente importante, e non parlo solamente dell’aiuto che i laici danno al parroco della loro chiesa, che è anche importante. Io credo, però, che la parte più importante consiste nel rafforzare i laici nella loro fede, affinché possano impegnarsi in qualsiasi lavoro o professione o servizio che svolgono nel mondo. Questi sono chiamati a lasciare risplendere serenamente la luce di Cristo con la propria vita, le loro azioni e il loro esempio nel mondo che ci circonda. Il mio ruolo, e quello dei sacerdoti, è di aiutare le truppe della prima linea assicurando la forza necessaria con i sacramenti e gli insegnamenti della Parola di Dio.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017