Bagnasco alla guida dei vescovi
Il cambio al vertice della Cei ha avuto un esito imprevisto: l’arcivescovo Angelo Bagnasco, che il 7 marzo il Papa ha messo al posto del cardinale Camillo Ruini, non era stato indicato dalla consultazione dei vescovi e non era nel pronostico di partenza degli osservatori. Ma a cose fatte la sua scelta è interpretabile come un compromesso che può garantire sia l’esigenza di continuità sia quella di un recupero di collegialità e pastoralità.
Tutti i commentatori hanno parlato di una evidente «continuità» tra Ruini a Bagnasco: identica è infatti – ed espressa quasi con le stesse parole – la preoccupazione dei due per la presenza della Chiesa sulla scena pubblica a contrasto della secolarizzazione e a sostegno della dimensione di popolo della nostra comunità cattolica. Per intendere la convergenza su questa linea dei cardinali Ruini e Bertone – che sono stati i «grandi elettori» del nuovo presidente – occorre considerare il fatto che essa è dettata da papa Ratzinger, come in precedenza lo era da papa Wojtyla sostenuto in primis dal cardinale Ratzinger. Fu per l’attuazione di quella linea che nel 1986 venne chiamato a Roma l’allora vescovo ausiliare di Reggio Emilia Camillo Ruini.
Va tenuta in conto, ovviamente, anche la personalità di Bagnasco che da tempo è un collaboratore del cardinale Ruini, il quale a suo tempo lo scelse come «ordinario militare», già allora immaginandolo (in quanto genovese di formazione) come futuro arcivescovo di Genova. Nella Cei Ruini ha più volte proposto Bagnasco come uomo di fiducia per missioni delicate, come quando gli chiese di assumere la supervisione del quotidiano cattolico: è presidente del consiglio di amministrazione di «Avvenire».
Ci sarà dunque continuità, ma anche novità. L’arcivescovo Bagnasco – che sarà cardinale con il prossimo Concistoro – è una personalità meno forte, o meglio meno «indipendente» rispetto a Ruini. Più portato alla concertazione collegiale. E resterà arcivescovo di Genova, sarà dunque meno presente sulla scena vaticana, politica e televisiva.
Verrà naturale – con l’investitura di Angelo Bagnasco – quella ridistribuzione dei ruoli che dicono sia voluta dal Papa teologo: probabilmente la somma dei poteri impersonati dal predecessore verrà ripartita su più soggetti e avremo un presidente meno autonomo, che agirà – per quanto riguarda la presenza della Chiesa nella società – in diretto collegamento con la Segreteria di Stato vaticana e che mirerà ad attuare una conduzione più collegiale della Cei, lasciando maggiore spazio al «segretario generale» (il vescovo Giuseppe Betori) e ai vicepresidenti (Luciano Monari per il Nord, Giuseppe Chiaretti per il Centro, Benigno Papa per il Sud).
Secondo papa Benedetto la Conferenza episcopale deve fornire un «supporto» e un «collegamento» all’azione dei vescovi locali, ma non li deve teleguidare né oscurare. Per vie sue e senza che nessuno l’avesse programmato, il cardinale Ruini in più di vent’anni di conduzione della Cei (cinque anni come segretario e sedici come presidente) è riuscito a realizzare un «governo» forte e accentrato del nostro episcopato, paragonabile a quello ottenuto nello stesso periodo in Germania dal cardinale Karl Lehmann. Il Papa tedesco è grato a questi grandi protagonisti della vita delle conferenze episcopali, ma pare voglia si torni a gestioni più ordinarie.
Sui «Dico» al momento non cambierà nulla, a quanto si è visto dalle prime dichiarazioni del nuovo presidente. Forse però, con il passare dei mesi, l’asprezza del conflitto con il mondo laico e di sinistra andrà attenuandosi: non muterà la linea, ma saranno meno frequenti gli interventi e il linguaggio sarà più rispettoso dell’autonomia della politica.