Barbara Contini: l'Italia in Darfur
Barbara Contini, milanese, 43 anni, dopo l`incarico di governatore a Nassiriya, nel sud dell`Iraq, è rappresentante del governo italiano in Darfur, la zona nord occidentale del Sudan.
Laureata in Lingue orientali a Napoli, parla inglese, francese, serbo-croato e giapponese.
La Contini ha lavorato per l`Onu in Giappone ed è stata vent`anni in posti di frontiera: Balcani, Africa e America Latina.
Msa. Che cosa l`ha portata in giro per il mondo?
Contini. La vita è così breve`¦ Se non si conosce il mondo, cosa si deve fare? Come si fa a conoscere se stessi?
Che contributo pensa di aver dato in Iraq e come vede ora la situazione?
L`Iraq non è un Paese in via di sviluppo ma è un Paese sviluppato che necessita di modernità , ed è un ponte verso l`Occidente.
Penso di essere riuscita a dare un po` di fiducia in se stessa alla gente che ho conosciuto. Vedo grandi potenzialità in questo popolo: è educato, colto e preparato, ma è anche stanco e soffre per errori altrui.
Sono certa che gli iracheni riusciranno a raggiungere una stabilità politica ed economica che servirà d`esempio ai Paesi limitrofi, nonostante l`attivismo di una esigua minoranza di terroristi, alleati con gente arrabbiata per aver perso potere, che cercano in tutti i modi di fermare o ritardare la trasformazione dell`Iraq in un Paese moderno.
Oggi lei è l`unico inviato di un governo europeo in Darfur. Sempre missioni impossibili per lei?
La mia scommessa è far diventare possibile l`impossibile. Da vent`anni c`è sempre qualcuno che mi ritiene capace di farlo e la cosa mi riempie di orgoglio. Di solito riesco proprio nelle iniziative date per fallite o impossibili. Negli anni ho imparato che nulla è impossibile, se lo si vuole fermamente.
Che cosa deve succedere perché ci sia pace in Darfur?
La pace in Darfur è possibile solo se governo sudanese e responsabili delle fazioni in lotta trovano il tempo, e soprattutto la spinta e la voglia, di sedersi qui attorno a un tavolo con la forza del consenso popolare e della vera conoscenza dell`Africa per esporre senza sotterfugi le proprie ragioni.
Spinti e sostenuti chiaramente da una comunità internazionale che ha impiegato dieci anni ad accorgersi del problema. E chissà se l`ha davvero capito! Non serve girino il mondo in cerca di una sede idonea per inutili trattative.
Come vive la sua missione laggiù?
Girando l`intera Regione per vedere di persona e capire, passando dalla distribuzione degli aiuti umanitari all`incontro con i locali vertici governativi e delle fazioni in lotta, e con gli stessi arabi nomadi.
Soprattutto vivendo tra loro. Avrei infatti potuto scegliere un ufficio a Khartum, ma ho preferito avere una sede nel Darfur, attraversare da Sud a Nord il deserto, dove per fare 100 chilometri si impiega una giornata, solo così si può parlare di problemi e tentare di risolverli insieme a loro. Solo così la gente ti stima e ti capisce. Ti rispetta e ascolta`¦
Ha mai paura?
Ci sono stati momenti di tensione, sia in Iraq sia in Darfur, così come in altri Paesi a rischio dove ho vissuto. Credo che l`importante sia controllare gli stati d`animo e sapere che dietro o davanti a te c`è sempre e solo un essere umano. Nulla di più.
Nei momenti di tensione, quando davvero ti tremano le gambe, devi pensare alle tue responsabilità , alla gente che ti è vicina e ha creduto in te e cercare di evitare il peggio, agendo anziché lasciarti immobilizzare dal panico.
Le donne rispetto agli uomini sono più portate alla costruzione della pace?
Ci sono uomini e donne che costruiscono la pace, altri che ne parlano solo...
Come resistono le donne e i bambini del Darfur?
Le donne con un coraggio ineguagliabile; malgrado i sacrifici, le sofferenze, la fame, esse hanno la forza di lottare per i loro figli, di sorridere alle avversità , di credere sempre.
Il mondo si è accorto del Darfur, dei suoi quasi 200 mila morti e due milioni di profughi?
Se n`è accorto, ora speriamo che se ne ricordi!
In Italia quando parlai di Darfur in una trasmissione radiofonica i primi di ottobre del 2004, pochi avevano idea di dove si trovasse questa Regione e pochissimi sapevano che da tempo vi era in corso un grave conflitto sfociato poi in una crisi umanitaria di immani dimensioni.
Molti confondono le vicende del Darfur con quelle del Sud Sudan conclusesi con la pace di gennaio.
Come è nato il conflitto tra tribù africane e janjaweed arabi?
Il conflitto è storico e vede in lotta nomadi arabi, ormai quasi stanziali, che prendono fazzoletti di terra del deserto, e contadini africani.
È la povertà di gente alla ricerca di pascoli e terreni da coltivare. Ma dove prima si accendevano piccoli scontri per furti di mandrie o possesso di pascoli, ora l`aggravarsi della siccità con la conseguente diminuzione di pascoli e la morìa di animali, ha fatto salire l`astio tra i contendenti.
Come ogni tragedia, poi, sono subentrati interessi politici ed economici (per lo sfruttamento delle materie prime) a creare quello che ora stiamo affrontando.
Quali sono gli interessi occulti, chi trae profitto da ciò?
Non parlerei di interessi occulti. Quello che succede in Darfur è sotto gli occhi di tutti: gli errori persistenti di certuni hanno fatto sollevare la gente che si è mossa come un fiume in piena, incontrollabile.
Dalla miseria umana nessuno può trarre benefici.
Come si interseca la storia attuale a quella dei Nuba e ai cristiani del Sud?
A parte il fatto, comune a ogni tragedia, che sono gli innocenti e i deboli ad avere la peggio, non ci sono connessioni tra i due eventi. Nel Sud Sudan erano presenti forti interessi economici e controversie religiose (musulmani contro cristiani), assenti invece nel Darfur.
Il vero problema è la grande difficoltà di governare un Paese grande come l`Europa. Ci sono sempre aree e persone abbandonate o poco rappresentate, soprattutto quelle delle Regioni più lontane dal centro del potere statale.
Religione e interessi per il petrolio fanno da copertura o da movente ai conflitti?
Ogni conflitto è innescato da fattori religiosi o da interessi economici. Quando questi ultimi sono prevalenti è maggiore la possibilità di una rapida soluzione.
Ma molto spesso conflitti di natura economica sono volutamente fatti passare per guerre di religione allo scopo di ottenere determinati risultati.
E il governo locale da che parte sta? E lei che compito ha?
Il governo, consapevole della gravità della situazione, interpella la comunità internazionale cercando dei punti comuni. Esso sta dalla parte di chi è Stato sovrano.
Io dal settembre del 2004 rappresento il governo italiano in Darfur, dove pochi esponenti internazionali di rilievo hanno sostato se non per poche ore.
Conoscere il territorio, la storia, le culture complesse di questi popoli così fieri, cercare contatti con tutti gli attori locali della crisi per trovare una possibile mediazione costituiscono il mio lavoro quotidiano.
Il consenso e il rispetto della gente che si aiuta e con la quale si dialoga si acquisiscono solo stando tra loro. Ma in Darfur è molto difficile vivere. I
noltre, seguo l`emergenza e gli aiuti umanitari, la riabilitazione e la realizzazione di progetti in ambito sanitario, idrico, dell`educazione e della formazione finanziati dalla Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Esteri.
Com`è la situazione nei campi profughi del Ciad, dove molti dal Darfur si sono rifugiati?
Sta peggiorando. Molte centinaia di migliaia di sfollati dal Darfur occidentale stanno raggiungendo il Ciad, dove i campi profughi sono meglio organizzati.
La situazione è grave soprattutto quando nella stagione delle piogge non si può raggiungere nessun luogo dove si possa usufruire degli aiuti umanitari.
La fame si vede già ora, la differenza è che nei mesi passati ancora non si vedevano carcasse di asini e cammelli.
Le donne non hanno più voce per salutarti alla loro maniera tribale perché non mangiano da tempo. Sarà un disastro! E la cosa peggiore è che è un disastro annunciato.