Basilica e dintorni Una donna di fede
Sotto un cielo che non promette nulla di buono, con nubi gonfie d'acqua a tingere il grigio con ampie, lineari, dense pennellate d'acquerello nero, parto col mio bagaglio di certezze, atte a demolire lo scetticismo di tutti. «Sarà una splendida giornata!» dicono fiduciosi i miei occhi.
Difatti, l'arrivo a Padova è benedetto dal sole. Parcheggiamo, seguendo la macchina dell'arcivescovo, nel piccolo chiostro dietro la basilica. «Anticamente era un cimitero» mi spiega Sua Eccellenza; entrando avevo notato, infatti, numerose lapidi fissate al muro. Subito si avvicinano numerosi i frati e il rettore della basilica, per il benvenuto dell'arcivescovo che mi presenta con tante lodi da farmi arrossire: mi reputo, invece, una povera cosa che si nutre dell'amore del marito e dei figli, ai quali ha rubato la libertà , e dei tanti che ci aiutano.
Entrare in basilica ed essere avvolta da una profonda serenità , dalla gioia di ritorno alla casa del Padre, è stato tutt'uno. Provo quella sensazione, magnifica sensazione ormai dimenticata, di un bimbo cullato dalla tenerezza della mamma. Ed è proprio davanti all'altare della Madonna, nella parte più antica del complesso, che mi piazzano con barella e macchinari per assistere alla messa che scioglie molti miei voti. Le parole dell'arcivescovo, sempre troppo buono con me, fanno brillare la mia miseria fisica e intellettuale e mi sento una stellina, tra quelle del soffitto a volta, che ammiccano nel blu della sofferenza.
La partecipazione alla mensa eucaristica mi accomuna agli altri pellegrini nella ricerca della pace interiore. Ogni anima che, contrita e umile, si eleva a Dio è gioia per tutti; e la mia gioia si tramuta in felicità quando monsignore sfiora per me la tomba del Santo e preghiamo addossati a quella pietra scura levigata, consunta ormai dal tocco di tanta gente.
Convinta di servire, in queste disastrate condizioni fisiche, ai disegni di Dio, mi unisco al canto di Laudi antiche che improvvise m'invadono la mente, ma si addolciscono, si chetano per permettermi: «...comprendi, assolvi i miei peccati, intercedi... proteggi i miei cari, solleva la sofferenza, della quale mi reputo portatrice, di tanti malati nel corpo e nell'anima... aiutami...». E subito non m'infastidiscono più gli sguardi impietositi, le carezze, i baci dei pellegrini, né mi turbano scaramantici segni di croce al mio passaggio, sorrido all'uomo che mi sussurra: «La tua fede è tanto grande da far paura» e sembrano sorridere anche le roselline di Nevina, che scorgo sull'altare.
Visito la basilica con l'esperta guida di monsignore che illustra, spiega, racconta la sua esperienza e s'infervora al ricordo. Adoro antichi affreschi, statue lignee, bassorilievi, le cancellate in bronzo, ma mi affascinano anche i moderni dipinti di Annigoni: non posso dimenticare la serenità del volto del suo Cristo morente! Vengo posta davanti all'altare maggiore dove si trovava il sarcofago di sant'Antonio sopraelevato da colonne marmoree per permettere alle lettighe degli infermi di passarvi sotto e sostare.
Mi percorre un brivido e immagino secoli di lunghe teorie di malati imploranti la grazia della guarigione. Io dovrei tappezzare di ex-voto ogni spazio libero solo per esser giunta fin qui. Non posso abbracciare con gli occhi che scampoli di affreschi, angoli di strutture, ma, così distesa, posso apprezzare le decorazioni delle volte.
Gli ultimi minuti sono dedicati alla cappella del Santissimo dove campeggia maestoso un mosaico stile decò. Il passar dei secoli segna l'aggiungersi di nuove strutture in stili diversi che non mi paiono nuocere all'insieme, anzi si integrano, a indicare la fede in un Santo sempre attuale.
La piazza ci accoglie con un volo di colombi che frulla sul candido loggiato della facciata. Leggermente barcollo, tentenno, saltello sulle lastre sconnesse del selciato finché mio figlio, mio marito, don Maurizio impensieriti sollevano la lettiga: beccheggio e cammino!
Alla fine del pranzo, si brinda a un prossimo compleanno, anch'io partecipo con una goccia di spumante che frizza gioiosa tra le labbra, esprimendo anche la letizia dei miei pensieri. Come a Lourdes mi si ricorda. Eh si, esperienza indimenticabile, sempre nel cuore, quella di Lourdes, anche se Padova si sta rivelando non da meno in quanto a impatto emozionale.
Visitiamo alcuni chiostri. Un passaggio a lato della basilica immette nel grande chiostro dove immensa e maestosa si spande una magnolia centenaria. Non mi oriento, così distesa, tra passaggi interni in penombra e l'accecante sole pomeridiano che invade i chiostri successivi, finché Sua Eccellenza si ferma accanto al nuovissimo bronzo di Lorenzo Quinn. Mi piace per l'equilibrio delle masse, l'innocenza e la dolcezza espressa nei volti e soprattutto per il messaggio di speranza che ci dà : confida e affidati a me. Ed ecco che l'arcivescovo fa da tramite, e non solo simbolicamente, tra la mia mano e quella del Santo che porta le nostre preghiere a Gesù...
Pellegrini per Matteo
Sono venuti al Santo in tanti, a piedi, di notte. Per solidarietà con Matteo e la sua famiglia. Quella sera pioveva a dirotto, nonostante non fosse inverno inoltrato. Ma questo non ha impedito a una ventina di cittadini di Rosà (un paese vicino a Bassano, in provincia di Vicenza) di sfidare le intemperie.
La storia di Matteo è simile a quella di tanti altri bambini fino a quando, all'età di quattro anni, si ammala di leucemia. Segue il ricovero all'ospedale di Padova e cinque lunghi mesi di degenza e di cure massacranti. Poi Matteo ce la fa, al contrario di altri suoi compagni per i quali le cure non sono state in grado di debellare il male. I medici, però, spiegano alla mamma che per essere del tutto tranquilli bisogna che trascorrano cinque anni. E la mamma, una giovane signora, abituata a soffrire in silenzio e a lavorare molto, fa un voto al Santo. Promette che, per la completa guarigione del figlio, andrà , a piedi per cinque anni, a Padova e al santuario della Madonna di Monteberico. Ma, inaspettatamente, non è sola. Perché si stringe intorno a lei il quartiere intero di Borgo Tocchi, rinomato per gli asparagi e distintosi da sempre per sensibilità (un altro recente segno è l'adozione a distanza di due bambini brasiliani). Quel voto personale diventa un pellegrinaggio comunitario. E la signora Giuseppina Squizzato dice: «Non credevo che esistesse ancora tanta gente così. È stata una gioia vedere persone solidali, prima, durante la malattia e adesso che Matteo sta bene».
Ma alla gente si è unito anche il parroco. «Ogni volta che loro fanno un pellegrinaggio si preparano con la preghiera - dice don Mario, parroco di sant'Antonio Abate - . Li ho accompagnati ed è edificante vedere questo gruppo di persone, questa comunità cristiana».
Ha fatto quadrato attorno a loro il presidente del quartiere: «L'anno scorso siamo andati a Monteberico - spiega Raffaello Cuccardo - insieme alla mamma e a tutta la famiglia di Matteo». E quest'anno, con mamma Giuseppina, papà Daniele, Matteo e la sorella Stefania si sono recati a Padova anche i donatori di sangue che, con il loro responsabile Roberto Guidolin, hanno assicurato l'assistenza di un pulmino con dei viveri e la possibilità di riposarsi. Durante i 41 chilometri del percorso, il composito gruppo di «amici di Matteo» ha pregato, chiacchierato, facendo sosta nei posti - tappa predisposti in precedenza.
«È piovuto per tutta la notte e ha smesso solo al mattino - racconta Luigina Gazzola - . Però, per me è stata una bellissima esperienza e quando sono entrata in basilica mi è venuto da piangere. Chi non prova, non può immaginare».
Nella notte, sono accaduti anche episodi curiosi: i ragazzi che uscivano dalle discoteche chiedevano agli intrepidi pellegrini chi fossero, se fossero contro la Lega o contro le prostitute. Era troppo difficile per loro immaginare che si trattava di fede e solidarietà . «Abbiamo incontrato - raccontano ancora - un ragazzo che era andato fuori strada con la macchina e quando ci ha visti, ci ha chiesto aiuto».