Belgio. L’emigrazione ha il suo museo
21 Febbraio 2014
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Si parte dallo scheletro, ritrovato in Austria, di una giovane donna giunta dalla Boemia con le prime carovane di mercanti fino ad arrivare alle storie di migrazione dei nostri giorni. È questo il percorso per chi visita il nuovo Red Star Line Museum di Anversa, situato nell’edificio che ospitava gli emigranti europei prima di salire a bordo del piroscafo che li avrebbe portati in America. Due milioni di migranti, tedeschi, belgi o russi, hanno utilizzato questa linea.
La prima nave fu la Cybèle, partita per New York nel marzo 1874, mentre delle ultime tre, appartenenti alla compagnia gemella della Red Star, la White Star, due furono molto sfortunate, cioè il Titanic, naufragato nel 1912, e il Britanic, silurato dai tedeschi nel 1916: solo l’Olympic sopravvisse fino al 1935.
Nel Museo, al pianterreno, si raccontano le vite e le esperienze di migranti, del loro tempo e delle condizioni di vita del Paese da cui sono partiti. Tra questi, l’astronomo persiano Jamal-al-Din del 1200; oppure, più recentemente, il greco Georges Siamanides, costretto dai turchi nel 1923 a emigrare in Russia, o l’ebrea polacca Mathilda Weinfeld, salvatasi dai lager nazisti e poi trasferitasi in Israele. Ma si ricordano anche gli haitiani, i congolesi, gli indù e i numerosi emigrati dai Paesi dell’est. Nel settore dei testimoni si racconta la storia di un personaggio famoso come Albert Einstein, emigrato definitivamente negli Stati Uniti nel 1933, dopo aver compiuto numerosi viaggi con la Red Star, il primo dei quali nel 1920 sulla Belgenland. Ma vi sono anche persone comuni, come i membri della famiglia belga di Jozef Hutlet, che con otto figli affrontarono i venticinque giorni di viaggio necessari per arrivare in Canada.
Al primo piano vengono spiegate le difficoltà che i migranti dovevano affrontare al momento di lasciare il porto di Anversa, e poi a bordo della nave. La visita medica, all’inizio molto sommaria, diventa meticolosa a partire dagli anni Venti. Il controllo amministrativo, di biglietti e passaporti, un lungo questionario da riempire, le garanzie da fornire... Un particolare che colpisce molto i visitatori riguarda l’odore che caratterizzava gli emigranti e che li faceva riconoscere da lontano in qualsiasi ambiente: un misto di aceto e di benzene usato per la disinfestazione antipidocchi.
Infine a bordo, ammassati in terza classe, in condizioni di promiscuità, con cibo non certo abbondante e servizi igienici scarsi.
L’arrivo a Ellis Island, l’isola di fronte alla Statua della Libertà, dove fino al 1924 i candidati all’ingresso negli Stati Uniti venivano esaminati ed eventualmente respinti. Si potevano verificare episodi strazianti, magari di un figlio ammalato (di tbc o di tracoma) respinto e costretto a separarsi dai genitori. Dal 1925 queste ispezioni si svolsero nei porti di partenza, non più all’arrivo.
Da questa esperienza del passato si può imparare a guardare senza pregiudizi la realtà di oggi.
La prima nave fu la Cybèle, partita per New York nel marzo 1874, mentre delle ultime tre, appartenenti alla compagnia gemella della Red Star, la White Star, due furono molto sfortunate, cioè il Titanic, naufragato nel 1912, e il Britanic, silurato dai tedeschi nel 1916: solo l’Olympic sopravvisse fino al 1935.
Nel Museo, al pianterreno, si raccontano le vite e le esperienze di migranti, del loro tempo e delle condizioni di vita del Paese da cui sono partiti. Tra questi, l’astronomo persiano Jamal-al-Din del 1200; oppure, più recentemente, il greco Georges Siamanides, costretto dai turchi nel 1923 a emigrare in Russia, o l’ebrea polacca Mathilda Weinfeld, salvatasi dai lager nazisti e poi trasferitasi in Israele. Ma si ricordano anche gli haitiani, i congolesi, gli indù e i numerosi emigrati dai Paesi dell’est. Nel settore dei testimoni si racconta la storia di un personaggio famoso come Albert Einstein, emigrato definitivamente negli Stati Uniti nel 1933, dopo aver compiuto numerosi viaggi con la Red Star, il primo dei quali nel 1920 sulla Belgenland. Ma vi sono anche persone comuni, come i membri della famiglia belga di Jozef Hutlet, che con otto figli affrontarono i venticinque giorni di viaggio necessari per arrivare in Canada.
Al primo piano vengono spiegate le difficoltà che i migranti dovevano affrontare al momento di lasciare il porto di Anversa, e poi a bordo della nave. La visita medica, all’inizio molto sommaria, diventa meticolosa a partire dagli anni Venti. Il controllo amministrativo, di biglietti e passaporti, un lungo questionario da riempire, le garanzie da fornire... Un particolare che colpisce molto i visitatori riguarda l’odore che caratterizzava gli emigranti e che li faceva riconoscere da lontano in qualsiasi ambiente: un misto di aceto e di benzene usato per la disinfestazione antipidocchi.
Infine a bordo, ammassati in terza classe, in condizioni di promiscuità, con cibo non certo abbondante e servizi igienici scarsi.
L’arrivo a Ellis Island, l’isola di fronte alla Statua della Libertà, dove fino al 1924 i candidati all’ingresso negli Stati Uniti venivano esaminati ed eventualmente respinti. Si potevano verificare episodi strazianti, magari di un figlio ammalato (di tbc o di tracoma) respinto e costretto a separarsi dai genitori. Dal 1925 queste ispezioni si svolsero nei porti di partenza, non più all’arrivo.
Da questa esperienza del passato si può imparare a guardare senza pregiudizi la realtà di oggi.
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017