Biagi, una vita in prima pagina

Lavoro e impegno civile si sono intrecciati, lungo più di mezzo secolo, con la sua attività editoriale. Articoli, libri e reportage di un testimone del Novecento.
02 Aprile 2002 | di

Una vita, una storia. Tante storie. Perché Enzo Biagi, uno dei più grandi giornalisti del nostro secolo, di storie ne ha raccontate davvero tante. A 81 anni, sebbene provato dalla recente, dolorosa perdita della moglie Lucia Ghetti, parla ancora con la passione di un giovane e con la saggezza della sua età  e della lunga esperienza umana e professionale. Un";esperienza che l";ha temprato sin da giovanissimo: appena diciottenne cronista del quotidiano Il Resto del Carlino, poi giornalista che annunciò la fine della guerra, fino a diventare un volto noto del piccolo schermo.

A chi gli chiede il perché di tanto successo, Biagi risponde: «La gente mi legge innanzitutto perché scrivo chiaro: se fossi complicato potrei scrivere le cose più belle e sagge del mondo, ma nessuno mi filerebbe». Parola d";ordine: farsi capire da tutti, anche da chi non ha terminato le elementari. Cita poi Giulio De Benedetti, famoso direttore de La Stampa, quando spiegava che il più grave peccato di un giornalista non è raccontare bugie ma annoiare il lettore. E conclude nel suo stile lapidario, che l";ha reso celebre: «Giosuè Carducci diceva che chi usa 15 parole quando ne basterebbero 10 è capace di qualsiasi misfatto».

Nei suoi libri, Biagi propone racconti di viaggi, memorie, riflessioni sull";Italia contemporanea, ma anche sull";Italia che fu; e naturalmente incontri, abituato com";è a porre domande ai potenti senza reticenze e senza timori reverenziali.

Msa. Cosa le dà  più fastidio del presente? E cosa, invece, apprezza maggiormente?

Biagi. La cosa che mi dà  più fastidio è l";indifferenza, il non pensare anche agli altri. Apprezzavo i giovani americani che dicevano, al tempo dei figli dei fiori, «I care», che significa «mi preoccupa», è anche un fatto mio, partecipo alla tua solitudine o alla tua disperazione. Il buon samaritano scendeva dalla giumenta per dare una mano a quello che era ferito. Ogni giorno la cronaca parla di gente che travolge con l";automobile qualcuno, e tira dritto.

Oggi si lamenta la mancanza di maestri, di modelli di riferimento. Un tempo c";erano? Lei ne ha trovati sulla sua strada?

Io ho incontrato tanta gente che è stata generosissima con me. Sono uno di quelli che devono molto a tanti, perché ero un ragazzo figlio di un operaio. Ho fatto il mestiere che sognavo di fare da ragazzino, fin dai temi scolastici, e devo dire che ho motivi di gratitudine per molte persone.

Quali dei valori di un tempo sono sopravvissuti, e quali di quelli scomparsi sarebbero da riproporre con forza, e da vivere con coerenza?

Credo che basterebbe applicare gli insegnamenti che davano le madri quando dicevano: «non prendere mai la marmellata senza chiedere il permesso. E ricordati di lasciare sempre anche la parte di tuo fratello».

Chi loda il passato fa solo un";operazione di nostalgia o c";era davvero qualcosa un tempo: mi riferisco a ideali e valori che aiutavano a vivere e a sopportare momenti forse più difficili del nostro?

Sta scritto nell";Ecclesiaste: una generazione va e un";altra viene. Ognuno vive la sua stagione, il suo tempo, con bisogni diversi. Ma la distinzione tra il bene e il male resta sempre la stessa. Cambiano le forme, magari del peccato, ma in realtà  la mancanza di carità  mi sembra sia sempre la colpa più grande.

Secondo lei, sono più felici e più liberi gli uomini di oggi o quelli di un tempo?

Non loderei tanto il tempo che fu. Non so i Celti, di cui si occupa tanto il leader della Lega Umberto Bossi. Credo che l";uomo delle caverne, per il quale si faceva buio presto, che era circondato dai miasmi delle paludi, che doveva cercare di sopravvivere, avesse delle giornate difficili da affrontare. Anche all";inizio del secolo i nostri «vicini» antenati vivevano quaranta, quarantacinque anni. Abbiamo allungato la vita, ma non si tratta solo di aggiungergli del tempo, quanto di aggiungere veramente la possibilità  di partecipare, di esserci. Il rispetto per i vecchi vuol dire considerarli un piccolo patrimonio per l";umanità . L";esperienza è una moneta che solo uno che ce l";ha riesce a spendere. Chi ha vissuto qualcosa di positivo dovrebbe comunque ricordare e magari cercare di trasmetterlo agli altri.

Quali errori non avrebbe voluto fare nella sua vita?

Mia madre diceva: «fai l";esame di coscienza ogni sera e chiedi perdono, perché con ogni atto di dolore in ogni caso finiresti in purgatorio». Ogni giorno c";è qualcosa che non avrei voluto fare. Non so, forse dovrei stare sempre più attento, all";uso delle parole. Perché si può ferire molto la gente con il nostro mestiere. Magari togliere la reputazione a una persona, e privarla di qualcosa di importante.

Che cosa può rendere la vecchiaia un";età  degna di essere vissuta?

Noi siamo come quel nobile, superstite della Rivoluzione francese. Abbiamo vissuto tre ideologie in questo secolo: il fascismo, il nazismo e il comunismo, e dovremmo dire come quel gentiluomo: «E lei che cosa ha fatto?». «Ho vissuto». Certamente con una minore o maggiore partecipazione, compromettendoci magari con cose sbagliate o anche con cose giuste che ne valevano la pena.

Nei suoi libri lei va spesso indietro nel tempo, e si riferisce al passato. Perché?

Diceva la maà®tresse americana: «il passato ha sempre il sedere più roseo», mentre Stalin diceva: «taglierei la testa a quelli che l";hanno rivolta all";indietro». Il passato è una delle poche certezze che abbiamo.

A proposito di passato, lei ritiene di aver raccolto quanto ha seminato?

Non so che cosa ho seminato. Non mi sono mai considerato come uno da proporre di esempio agli altri. Ho cercato, per i miei errori, di avere almeno l";attenuante della buona fede.

Alla sua invidiabile età , dove trova la forza per lavorare così tanto e sempre con entusiasmo? Ha qualche segreto da suggerire a nostri lettori?

Segreti no. Mi piace il mio mestiere; gran parte della mia vita è coincisa con il mio lavoro. Cerco di continuare così, con curiosità , con passione. Per me è molto importante. Verrà  il momento di scendere dal ring. Spero di farlo con le mie gambe. E di capire il momento nel quale non ho più niente da dire. E magari non sono più capace di ascoltare.

Quali delle tante persone che ha avvicinato in questi anni, ha lasciato un segno nella sua vita? Qualche persona in particolare?

Albert Bruce Sabin, lo scopritore del siero antipolio. Era un uomo che non aveva una fede religiosa precisa, ma credeva nel bene. Ha scoperto quelle gocce da mettere nelle zollette di zucchero e ha dato ai bambini la sicurezza di poter correre nel vento. Non ha preso un dollaro. Una grande persona.

Qual è la virtù che apprezza di più in un politico?

La lealtà .

E il vizio che non sopporta proprio?

L";ipocrisia.

Come si pone di fronte alla sofferenza e alla morte?

Probabilmente con paura. Forse con qualche viltà . Il dolore mi incute soggezione, oltre che rispetto. Anche il dolore degli altri mi colpisce molto.

Se lei dovesse fare un appello ai politici italiani, cosa direbbe in questo momento?

Non promettete quello che non potete ragionevolmente pensare di mantenere. E tenete la vostra contabilità  morale in ordine.

La fede ha avuto un ruolo decisivo nella sua vita? E il dubbio?

Il dubbio l";avevano anche i santi. Così pure le tentazioni. Io non sono un buon cattolico, un praticante. Ma credo che il mio destino sia diverso da quello del lombrico. Magari la società  dei lombrichi è migliore della nostra. Credo che in ogni uomo ci sia una scintilla di eternità .           

STORIA DI UN ITALIANO

Enzo Biagi nasce il 9 agosto 1920 a Lizzano in Belvedere, un paesino dell";Appennino tosco-emiliano in provincia di Bologna. Appena diciottenne inizia la carriera giornalistica. Lavora come cronista a Il Resto del Carlino e diventa professionista a soli ventuno anni.

Allo scoppio della guerra è richiamato alle armi e dopo l";8 settembre 1943, per non aderire alla Repubblica di Salò, varca la linea del fronte aggregandosi ai gruppi partigiani attivi sull";Appennino. Il 21 aprile 1945 entra a Bologna con le truppe alleate e annuncia dai microfoni del Pwb la fine della guerra.

Il dopoguerra a Bologna è per Biagi un periodo di intenso lavoro: fonda il settimanale Cronache e il quotidiano Cronache sera. Viene assunto nuovamente a Il Resto del Carlino (in quegli anni Giornale dell";Emilia), ricoprendo il ruolo di inviato e di critico cinematografico. Sono entrati nella storia del giornalismo i suoi articoli sull";inondazione del Polesine.

Nel 1952 è chiamato da Arnoldo Mondadori al settimanale Epoca di cui diventa in breve tempo direttore. È di quegli anni l";inizio del suo rapporto con la televisione, destinato a rafforzarsi e a durare nel tempo. Entra alla Rai, e nel 1961 diventa direttore del Telegiornale. Nel 1962 fonda il primo rotocalco televisivo RT, e nel 1969 cura Dicono di lei, un programma d";interviste a personaggi famosi, alternando al lavoro in televisione l";attività  di scrittore di libri e la collaborazione con La Stampa, La Repubblica, il Corriere della Sera e Panorama.

Da parecchi anni è ideatore e conduttore di programmi televisivi molto apprezzati dal pubblico.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017