A Biikira e a Busimbi si muore meno di parto
Morire di gravidanza e parto. Succede a una donna su sedici nell'Africasub-sahariana, contro una donna su 2 mila 800 in uno dei Paesi sviluppati. Un divario fatto di povertà , d'impossibilità di accedere ai servizi sanitari, di tradizioni che emarginano e indeboliscono le donne.
Nel 2000, 529 mila donne nel mondo sono morte per gravidanza, soprattutto in Asia e Africa. E spesso, dopo di loro, i figli, perché un neonato solo ha poca possibilità di sopravvivere in un Paese povero. La morte è il danno estremo, ma non l'unico. Secondo l'Unicef, per ogni mamma morta almeno altre trenta subiscono gravi danni e invalidità : una sorte che tocca a più di un quarto delle donne dei Paesi poveri.
Per questo la Caritas antoniana ha sempre avuto a cuore il funzionamento dei reparti maternità ,soprattutto in Africa, il continente a più alto rischio. Non si tratta di costruire grandi ospedali, ma di aiutare le piccole strutture che già funzionano e offrono servizi alla portata della gente. Ecco due progetti recenti, realizzati in Uganda, l'ottavo Paese al mondo per mortalità materna.
Biikira Village
Il St. Andrew's community health centre si trova a Biikira Village, un villaggio rurale nel distretto di Rakai, a circa 180 chilometri da Kampala, la capitale. Risale agli anni '50, ma il reparto maternità ha appena quindici anni: «Purtroppo è stato costruito male, con un cattivo sistema di drenaggio delle acque. Piove nelle stanze e negli ambulatori, con un rischio gravissimo per le partorienti, i neonati e noi che ci lavoriamo. Siamo in una zona dove la malaria è endemica, e così le diarree. Oggi con l'epidemia dell'aids, il problema si è aggravato, specie per i neonati, i più esposti», spiega suor Anthonia Nakiyaga, una delle quattro suore della congregazione delle Piccole sorelle di san Francesco che gestiscono il reparto dal 1987.
Per quanto fatiscente, questo piccolo edificio è l'unico punto di riferimento per le partorienti e i bambini ammalati, l'unico che può fare qualcosa per mitigare l'altissima mortalità . I pazienti sono contadini con piccoli appezzamenti. Hanno a stento da mangiare e pochi possono pagare le cure. Figuriamoci se possiamo pensare di ristrutturare l'edificio. Nel settembre del 2002, la Caritas antoniana decide di inviare i 9 mila euro richiesti. L'agosto dopo, i bambini di Biikira vengono alla luce in un posto più salubre e più umano, grazie a lontani amici.
Busimbi
A Busimbi, nella diocesi di Kiyinda-Mityana, nel Centro sud dell'Uganda, opera dai primi anni '70, il St. Luke health centre, un piccolo di-spensario costruito con i fondi di una parrocchia tedesca. Il «reparto maternità » constava di due stanze: la sala parto e la sala dopo parto. Tre posti letto in tutto, che fra l'altro venivano impiegati, in caso di necessità , anche per donne con gravi malattie. «Una situazione ingestibile e pericolosa - commentava suor Maria Goretti Nandawula, la direttrice, nella sua lettera di richiesta d'aiuto del 29 gennaio 2003 -. Manca la privacy per le partorienti e il rischio di contrarre malattie è elevatissimo per tutti».
Nonostante l'esiguità della struttura, ormai il 79 per cento delle donne incinte della zona si rivolgeva a loro, perché i costi erano molto più bassi: «Ma siamo costrette a rifiutare dalle tre alle cinque partorienti alla settimana - continuava suor Maria Goretti - perché non abbiamo letteralmente i mezzi».
In verità c'era il reparto maternità , quattro muri tirati su alla meglio. Poi i soldi erano finiti. «Abbiamo bisogno di circa 5 mila euro per il soffitto, l'intonaco, le porte, l'impianto elettrico e l'idraulico. Per le altre spese, useremo risorse locali», spiega suor Maria Goretti.
A settembre 2003, la Caritas antoniana inviava il contributo, il 12 marzo 2004 suor Maria Goretti già presentava il resoconto: «Grazie a voi, siamo in grado di accogliere otto partorienti contemporaneamente. Non rifiutiamo più nessuna donna. Le mamme danno alla luce i loro bambini in tranquillità e privacy e hanno la possibilità di accedere a toilette con acqua calda. Prima erano gli infermieri a riscaldarla a casa loro e a portarla fin qui. Riusciamo a limitare il passaggio delle infezioni ai neonati e ad aiutare le madri a nutrirli e curarli correttamente. Ora abbiamo persino il posto per organizzare meglio la prevenzione dell'aids. Da noi il 70 per cento dei nuovi casi è costituito dai neonati di madre sieropositiva. Grazie per quanto avete fatto per le nostre mamme e i bambini».