Bioetica che fa notizia

L’interesse dei mass media per le questioni di carattere etico è grande, ma troppo spesso notizie gridate, inesattezze terminologiche e l’uso emotivo di parole e immagini non aiutano a farsi un’idea ragionevole su temi tanto delicati.
24 Agosto 2010 | di


Msa. A un successo di tipo quantitativo sembra invece non corrispondere un analogo livello qualitativo.

Dei Tos. I mass media offrono il «servizio» di porre all’attenzione dell’opinione pubblica importanti questioni di carattere etico che altrimenti potrebbero rimanere confinate negli spazi degli addetti ai lavori, sottraendole a quella trasparenza necessaria per poter produrre scelte sociali condivise. Tuttavia, spesso trova spazio non un’informazione finalizzata a dare al cittadino strumenti equilibrati di giudizio, ma una comunicazione interessata al «consumo della notizia». E invece le questioni che affronta la bioetica sono delicate e vanno presentate in maniera tale da indurre alla riflessione. Viceversa, assistiamo spesso a notizie gridate con toni accesi ed esposti alla battaglia ideologica, piuttosto che alla ricerca della verità; è quanto osserviamo in genere nei dibattiti televisivi.

In questo contesto, quali sono i principali motivi di preoccupazione?

Non aiuta l’eccessiva enfasi emotiva: così il cittadino è sottratto a quella ragionevolezza necessaria per argomentare e riflettere. Altrettanta preoccupazione nasce dalla constatazione che spesso i dibattiti si accendono attorno a veri e propri fenomeni di cattiva informazione nei contenuti reali delle questioni. Va messa in conto anche la fretta di comunicare, di poter essere i primi a dare la notizia. Ciò induce ad atteggiamenti superficiali e ad allentare i controlli sulla veridicità dei fatti. Non è raro assistere a presentazioni parziali se non addirittura fuorvianti. Allora ci si chiede: la disinformazione è solo frutto di superficialità o è perseguita in modo determinato per condizionare le opinioni dei cittadini, e raccogliere così consensi impropri intorno a scelte ideologiche e pregiudiziali? Non dimentichiamo che anche in questo ambito esiste un «mercato» e che quindi anche l’interesse economico fa la sua parte.

Sicuramente lei si è imbattuto in molti casi di errori, sviste o imprecisioni, se non vere e proprie «bufale». Ci fa qualche esempio?

L’area più devastata dalla superficialità è il settore delle innovazioni tecnologiche in medicina. In una società a sviluppo avanzato come la nostra, anche la medicina si presenta con il volto della tecnologia miracolosa capace di risolvere ogni sofferenza e malattia. È il caso della cura delle malattie tumorali: non passa giorno che non compaia l’annuncio di chi proclama di essere ormai alla vigilia della soluzione definitiva, mentre la realtà è molto complessa e a tutt’oggi le neoplasie mietono numerose vittime; pensiamo ancora alle terapie per l’infertilità, dove i successi (non raramente millantati) richiedono spesso trattamenti lunghi, impegnativi e con grande dispendio di energie da parte delle coppie. Vi è persino chi promette che a breve termine farà raggiungere agli esseri umani età impensabili se non addirittura l’immortalità.

La reciproca diffidenza tra bioetica e mass media può dipendere da un uso troppo disinvolto e sostanzialmente inesatto della terminologia?

Purtroppo la terminologia usata è spesso complessa ed esposta all’ambiguità: la bioetica è vittima di una «confusione semantica». Si pensi al termine eutanasia, che talora viene confuso con le cure palliative, con l’assistenza al morente, con la necessità di garantire una morte dignitosa e senza dolore. L’uso di termini con significati non chiari, o ai quali attribuiamo addirittura significati diversi, non aiuta né a discutere né a trovare soluzioni su cui convergere.

Non sempre si possono inquadrare i singoli casi nelle categorie di «vero» o «falso». Esiste anche il subdolo «verosimile». È un’analisi applicabile anche alla bioetica?

Non di rado la verità in bioetica non è distinguibile in modo netto come il nero dal bianco. La bioetica non si adatta al linguaggio binario dei computer. Pone piuttosto sfide che vertono nell’area della complessità, dove è richiesto ragionamento, pazienza argomentativa e desiderio di capire le ragioni dell’altro prima di promuovere le proprie. Avvicinarsi ai problemi della bioetica significa sviluppare grande capacità di ascolto e attitudine al dialogo. Questo sforzo di accogliere la complessità e di integrare i conflitti tra i valori che spesso sottendono i dilemmi bioetici, non deve tuttavia impedirci di essere trasparenti e chiari nel proporre le possibili soluzioni ultime.

Quanto incidono i media sul dibattito pubblico e sull’opinione che i cittadini si creano riguardo a questi argomenti?

Sicuramente oggi ciò che viene filtrato dai media ha grande impatto sull’acquisizione dei giudizi da parte dei cittadini. Soprattutto la televisione ha grande influenza. Bisogna però sottolineare che i tempi e le modalità della comunicazione televisiva non sono adatti ad affrontare con la necessaria serenità le questioni bioetiche e soprattutto non sono adatti a evidenziarne la complessità; anche l’uso delle immagini a cui la televisione ricorre è spesso evocativo di stati emotivi e di sensazioni frettolose e non tanto occasione di stimolo alla riflessione razionale.

Internet si è spesso rivelato uno strumento molto prolifico per la diffusione di leggende metropolitane. È accaduto anche per la bioetica?

Oggi nel web si trova tutto e il contrario di tutto anche per quanto riguarda i temi bioetici. Credo che una coscienza non formata e senza adeguati strumenti di discernimento non sia in grado di valutare la ridda di notizie e interpretazioni che girano in internet e non solo. Le persone avrebbero bisogno di esperienze formative e di crescita culturale che consentano loro di distinguere ciò che può essere credibile da ciò che è autentica «bufala». Soprattutto le questioni che riguardano la salute sono molto setacciate dal popolo di internet, ma tali informazioni non fanno altro che aumentare la confusione.

Spesso i giornali presentano un tema mediante più opinio­ni contrastanti. Questo sistema è adeguato ai nodi della bioetica, o il rischio relativismo è eccessivo?

Le soluzioni ai problemi che la bioetica pone sono espressione della visione antropologica o, meglio, dell’idea di uomo che coltiviamo dentro di noi. È scontato che in un mondo pluralista esistano opinioni diverse anche sulle questioni bioetiche e in questo senso è giusto che i media rappresentino il pluralismo. La diversità di opinioni, però, deve essere vissuta come occasione di arricchimento del dibattito, mentre si ha la sensazione che sia talora sfruttata per aumentare la temperatura della discussione, utilizzando le logiche della contrapposizione. Questo stile non serve la verità, non aiuta a formare le coscienze e soprattutto diventa un «cattivo maestro» per l’opinione pubblica. Infastidisce soprattutto che la logica antagonista sia spesso usata per contrapporre laici e cattolici, quasi si volesse utilizzare la fede come strumento di divisione tra le persone. Poi, è vero, esiste il rischio di far credere che in fondo ogni opinione vale l’altra, e che quindi non esiste un bene oggettivo e universalizzabile, ma solo una verità soggettiva valida per se stessi.

Come può un cittadino difendersi dalle bufale bioetiche?

È molto difficile per il singolo immaginare strategie difensive personali. Si sente l’esigenza di un «patto comunicativo» tra i cittadini e gli attori della comunicazione, in particolare nell’ambito della tutela della salute e delle questioni che sollevano temi etici sensibili.



Zoom. Media sotto accusa

I media sono sul banco degli imputati per molti casi legati ai temi bioetici. Nell’ultimo periodo l’episodio più discusso è quello correlato alla pandemia influenzale. L’allarme era già stato alto per l’aviaria, ma l’apice dell’allerta lo si è raggiunto lo scorso inverno con l’influenza A H1N1 (o suina). Il pericolo è stato reale o si è trattato solo di una pandemia mediatica? Di certo i governi occidentali non hanno fatto scorta di vaccini, poi rimasti inutilizzati, in base alle pressioni dei media, anche se questi ultimi hanno fatto la loro parte nell’ingigantire l’apprensione generale. Se l’Organizzazione mondiale della sanità fissa lo stato di allerta al massimo livello è ovvio che i governi debbano prendere le necessarie misure. Ma c’è modo e modo di presentare le notizie. È stato sbagliato dar risalto a ciascuna vittima della suina senza ricordare che ogni anno l’influenza stagionale è causa di morte per alcune migliaia di italiani.

Altro campo sensibile è la ricerca sulle staminali e la clonazione. La prima «bufala» in proposito la si deve alla setta dei raeliani, che già nel 1978 e poi nel 2002 annunciò la nascita del primo essere umano clonato. Ma non esistono prove scientifiche di questo risultato, che pure ha trovato spazio nei media internazionali. Accertata invece la frode del medico sudcoreano Hwang Woo-suk, nonostante l’autorevole rivista scientifica «Science» avesse pubblicato i risultati delle sue ricerche sulla clonazione di cellule sane da malati affetti da patologie incurabili. Purtroppo annunci di cure miracolistiche a base di staminali, soprattutto in internet, alimentano false speranze di guarigione per qualsiasi malattia. Sono solo specchietti per le allodole, dei quali è bene diffidare.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017