Bruxelles, caput mundi
Bruxelles
Bettero. Bruxelles, cuore del governo politico dell’Europa e delle alleanze militari della Nato. Una posizione chiave per la diplomazia italiana.
Siggia. Sì, Bruxelles è una capitale importante non solo per le relazioni che noi abbiamo con il Belgio stesso. Naturalmente Bruxelles è la «capitale» dell’Unione europea, è la «capitale» della Nato, è il luogo fisico in cui si prendono decisioni importanti. Tutto questo contribuisce ad articolare ancora di più quella che è la missione di un ambasciatore d’Italia in Belgio.
Lei è stato vicedirettore generale per gli Italiani all’estero e le Politiche migratorie. Nel 2005 è diventato capo di gabinetto del ministro per gli Italiani nel mondo. Di queste esperienze che cosa ha messo a frutto a Bruxelles?
Queste esperienze derivano dal fatto che io sono stato una volta console e tre volte console generale nella mia carriera, quindi penso di detenere un piccolo record. Ho passato gran parte della mia carriera occupandomi dei nostri connazionali all’estero ed è proprio per questo che il Ministero mi ha affidato gli incarichi che lei ha citato. Naturalmente la mia esperienza è fondamentale per la vasta collettività italiana che risiede in questo Paese. Ci sono circa 250 mila italiani in Belgio, che fanno riferimento a molti Comites, ma che vantano anche rappresentanti nel Cgie. È una collettività molto complessa alla quale io dedico gran parte del mio tempo perché ritengo che gli italiani all’estero siano davvero una grande risorsa per l’Italia.
Oggi come sono i rapporti tra Italia e Belgio?
Direi che sono eccellenti e corrono su binari ormai collaudati da anni. Vedo tante opportunità, coltivando quello che è stato seminato negli anni passati dai miei predecessori, e soprattutto quanto è stato seminato dalla nostra collettività in questo Paese dove ha giocato e gioca un ruolo importante sul piano sociale, economico e culturale.
La presenza italiana in Belgio è storicamente molto importante, fin dall’arrivo dei primi operai, poi utilizzati come minatori, in particolare dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Il 2006 è stato un anno di commemorazioni significative.
Sì, abbiamo ricordato due eventi speciali: il 60° anniversario degli accordi Italo-Belgi per il carbone da cui deriva gran parte della nostra emigrazione perché alla fine della Seconda Guerra mondiale, il Belgio aveva bisogno di manodopera e l’Italia, invece, aveva manodopera in eccesso. L’accordo diede avvio all’emigrazione di 50 mila lavoratori italiani, gran parte dei quali furono impiegati nell’estrazione del carbone. Dieci anni dopo ci fu, purtroppo, la grande sciagura mineraria di Marcinelle di cui abbiamo commemorato, nel 2006, il 50° anniversario con una cerimonia speciale proprio a Marcinelle, alla presenza del vice-ministro per gli Italiani all’estero, Franco Danieli. Queste due date restano scolpite nel nostro cuore e nella storia della nostra emigrazione. La sciagura di Marcinelle fece poi terminare il lavoro italiano nelle miniere perché i nostri connazionali iniziarono ad orientarsi verso altri lavori meno pericolosi. Pochi anni dopo ci fu la chiusura delle miniere e iniziò l’espansione del lavoro nei servizi, nell’amministrazione pubblica, nella piccola e media impresa. Oggi il Belgio gode di una certa agiatezza. Per quanto riguarda gli italiani, sono già arrivati alla terza generazione e i sacrifici della prima generazione, fortunatamente, non si sono ripetuti in quelle successive che si sono perfettamente integrate in questo Paese, e soprattutto non vengono più considerate come una collettività straniera. Purtroppo quello che noi notiamo attraverso la nostra rete consolare è che la collettività italiana comincia ad invecchiare; c’è un numero piuttosto alto di pensionati; molte persone hanno superato i 60 anni d’età. Per il resto, gli italiani sono ben inseriti nella piccola e media impresa, nell’impresa a carattere familiare, nelle costruzioni, nei trasporti, nel catering e anche nelle strutture pubbliche belghe.
Quali sono le principali istanze che oggi provengono dalla nostra collettività?
Io noto che le richieste provenienti alla nostra rete consolare e alla nostra ambasciata si sono spostate, negli anni, dall’ambito dell’assistenza a quello della cultura. La nostra collettività sente il bisogno di una promozione culturale ed economica. Ci sono sempre più richieste di persone che vogliono imparare l’italiano perché, in effetti, i loro nonni o i loro padri sono arrivati dall’Italia con una bassa scolarizzazione. La seconda generazione ha frequentato le scuole e le università in Belgio, e quindi ha imparato la lingua locale. E noi stiamo provvedendo attraverso le nostre istituzioni. Poi c’è una sempre maggiore richiesta di visibilità in campo commerciale ed economico; e qui abbiamo fortunatamente i nostri uffici dell’Enit, dell’Ice, le Camere di Commercio che seguono con attenzione queste nuove istanze.
Ci sono giovani italiani, studenti universitari o ricercatori, che approdano in Belgio allettati da offerte di lavoro o da borse di studio così come avviene anche altrove?
Sì, la fuga dei cervelli approda anche in Belgio. Io distinguerei la nostra comunità in tre fasce: quella della prima emigrazione, cioè gli italiani che sopportano tutte le difficoltà, che pagano maggiormente il disagio di spostarsi verso Paesi esteri; la seconda è quella dei figli e dei nipoti che si sono già inseriti nel tessuto sociale belga; la terza è quella dei professionisti, degli studenti, cioè di coloro che si spostano dall’Italia, vanno a studiare e a lavorare all’estero, naturalmente a condizioni ben differenti di quelle dei primi emigranti. Il nostro consolato ha calcolato che ci sono approssimativamente circa 6 mila professionisti qui a Bruxelles che si spostano dall’Italia, che insegnano nelle università, lavorano nelle istituzioni o nelle grandi aziende italiane. Ci sono poi molti studenti che vengono qui a perfezionarsi negli studi, a fare dei master, a imparare il francese. Ma questo è normale. Il fenomeno riguarda anche altri Paesi e cittadini europei. Ormai il lavoro all’estero è la norma, e così deve essere nell’Unione europea. I Paesi che fanno parte dell’Unione devono scambiarsi i professori, gli studenti, i manager.
Ambasciatore, quali sono le linee guida del suo mandato?
Io devo essere un attento e scrupoloso osservatore dei fenomeni economici, sociali, politici che avvengono e avverranno in Belgio nei prossimi anni. Oltre a questo, mi dedico alla promozione delle nostre imprese e dei nostri investimenti in questo Paese. In Belgio c’è già una serie di aziende italiane, grandi e piccole, che danno un grande contributo sia all’economia del Belgio che a quella italiana. L’interscambio commerciale è notevole, e occupiamo una posizione di rilievo. Esportiamo in Belgio per circa otto miliardi di euro, e importiamo per circa dodici miliardi di euro, quindi la nostra bilancia commerciale è negativa, però abbiamo notato negli ultimi anni una tendenza positiva nelle esportazioni, quindi speriamo di poter pareggiare la bilancia commerciale nel giro di qualche anno. Abbiamo poi un importante flusso turistico di cittadini belgi in Italia: tra 800 mila e un milione di belgi che vanno ogni anno a passare le vacanze in Italia. Negli ultimi anni abbiamo avuto circa un 16-18% di incremento annuo di presenze belghe in Italia.
Poi abbiamo un Istituto Italiano di Cultura che funziona molto bene: è la vetrina della cultura italiana non soltanto storica, ma anche di quella legata ad eventi di carattere industriale, tecnologico, politico. E poi ci sono i corsi di italiano che sono fondamentali per mantenere salde le radici della nostra collettività.
Come sono i rapporti tra Ambasciata, Comites e Associazioni di italiani presenti nel territorio belga?
I rapporti sono ottimi. Le nostre istituzioni, la nostra rete consolare, la nostra Ambasciata sono qui per lavorare a favore della nostra collettività, quindi c’è una grande attenzione ai Comites, così come ai consiglieri del Cgie, e alle Associazioni di italiani.