Caccia all’ultimo voto

Gianni Riotta del Corriere della Sera ed Eric Sylvers del New York Times commentano la campagna elettorale di George Bush e John Kerry. Ago della bilancia: la guerra al terrorismo.
27 Luglio 2004 | di

Come sono cambiati gli Stati Uniti e gli americani negli ultimi quattro anni? Le elezioni del 2000 divisero il Paese in due. Con una profonda spaccatura tra Repubblicani e Democratici: una frattura allargata ancora di più dall";attacco dell";11 settembre 2001 che spinse il Paese in guerra contro il terrorismo. Il conflitto in Afghanistan e in Iraq hanno fatto precipitare l";America in una spirale di tensione come non capitava dai tempi del Vietnam. Ma oggi gli Stati Uniti sono anche in difficoltà  economica; un Paese isolato e in crisi di rapporti con i tradizionali alleati europei.
Bettero. Quali sono i problemi più gravi che il prossimo presidente degli Stati Uniti si troverà  ad affrontare?
Riotta
. Sono tre. Il primo è la guerra al terrorismo su vari fronti. Al Qaeda è sempre viva e attiva in molti Paesi del mondo. Bin Laden non è stato catturato, il Mullah Omar nemmeno. La guerra in Iraq, malgrado il passaggio di consegne al governo iracheno, è ancora cruenta. Il secondo problema è ricucire il rapporto con gli alleati perché senza una forte intesa tra Europa e Stati Uniti, l";Onu non funziona, e non funziona neanche l";Organizzazione Mondiale del Commercio, né il Fondo Monetario Internazionale, né le organizzazioni bilaterali che conosciamo. Il terzo punto è la riforma economica che deve riprendere con più serietà , e i rapporti con la Cina che sono il nuovo grande fronte se si tiene presente che Cina vuol dire anche Corea del Nord: un Paese che sta per adottare armi nucleari.
C";è la possibilità  che i neoconservatori continuino ad influenzare la politica americana?
Sylvers
. Se dovesse vincere Kerry, non sarebbe facile per i neoconservatori perché Kerry porterebbe, di sicuro, un cambiamento nella politica americana. E, comunque, le lobby rimangono forti, che ci sia al governo un partito oppure l";altro: giocano d";astuzia perché riescono ad appoggiare sia i Repubblicani che i Democratici. I Neocon sono un po"; come gli «ultras» dei Repubblicani. Ma credo che troverebbero il modo di farsi sentire anche se dovesse vincere Kerry.
L";amministrazione Bush è stata caratterizzata da mezze verità , da bugie, e addirittura da reticenze giustificate con ragioni di sicurezza nazionale. Di fronte a questo comportamento, l";elettorato americano si è fatto più smaliziato?
Riotta. Non scandalizziamoci. Tutti i politici dicono bugie, in America, in Italia e nel resto del mondo. Anche il presidente Clinton si mise nei guai per aver detto le sue bugie. Non c";è un appannaggio di bugie speciali dell";amministrazione Bush. Certamente Bush avrebbe fatto meglio ad essere meno reticente con la Commissione sull";11 settembre, e poi sulle torture in Iraq. L";opinione pubblica americana è polarizzata: chi è vicino a Bush detesta Kerry, e chi è vicino a Kerry detesta Bush. Quell";ampia zona di centro che caratterizzava la forza del popolo americano si è molto ristretta.
Sylvers. Bisogna sfatare il luogo comune dell";ingenuità  dell";elettorato americano. A mio parere, gli americani sanno come votano, sanno chi c";è al potere. In Europa è un po"; difficile condividere le scelte degli americani: le loro decisioni paiono a volte incomprensibili. Ovviamente sono state dette molte bugie e mezze verità , e questo peserà  in qualche modo sul destino di Bush, a novembre. Non sappiamo ancora se gli americani gli faranno perdere le elezioni. È un fatto, però, che si siano resi conto che non sempre le cose sono così come vengono presentate.
Il finanziere George Soros ha pubblicato recentemente un libro molto duro contro l";amministrazione Bush, accusata apertamente di aver segregato l";America e l";Occidente in una sorta di «bolla». È proprio così?
Riotta. Soros è un personaggio contraddittorio. È stato uno dei grandi speculatori che hanno fatto vacillare i mercati finanziari negli anni Ottanta. Adesso è sceso in campo contro il presidente Bush. La posizione di Soros è apprezzabile perché, sull";opposto schieramento, sono tanti i finanziatori di Bush che oggi può contare su oltre 230 milioni di dollari per la sua campagna elettorale. Che ci siano anche finanziatori per la campagna elettorale di Kerry, è un fatto positivo, altrimenti la bilancia sarebbe troppo squilibrata, e non ci sarebbe una battaglia ad armi pari.
Ma parlare di «bolla» è, forse, un tantino esagerato se pensiamo che sulle torture in Iraq abbiamo comunque saputo tutto tre o quattro mesi dopo che sono avvenute, e che la Commissione sull";11 settembre ci sta dicendo moltissimo. Tutti gli scandali che sono emersi: gli appalti privilegiati agli amici dell";amministrazione Bush, le torture, la cattiva conduzione della guerra, le false notizie sulle armi di sterminio di massa in Iraq che non sono mai state trovate, ci fanno capire che questo Paese ha tanti problemi ma l";opinione pubblica è molto informata, meglio che in Italia.
Sylvers. Se si pensa a quello che è successo dopo l";11 settembre, direi che c";è effettivamente una specie di «bolla» intorno agli Stati Uniti. Se Kerry vincesse le presidenziali, uno dei suoi compiti più importanti dovrebbe essere proprio quello di riconquistare gli amici.
La scomparsa dell";ex presidente repubblicano Ronald Reagan ha sollevato un";onda di commozione negli Stati Uniti. Intanto l";ex presidente democratico Bill Clinton sta girando il mondo per presentare la sua autobiografia. Insomma è tempo di amarcord. L";America cosa rimpiange di questi due presidenti?
Riotta. Il fatto che allora non c";era la guerra. Il passato è sempre confortante; è alle nostre spalle e lo guardiamo con un occhio più benevolo. Reagan rimise insieme un Paese ancora scioccato dallo scandalo del Watergate, dal Vietnam, dalla presidenza Carter che ebbe tante buone intenzioni ma fece poche cose. È un po"; questo che l";America rimpiange di Reagan: aver ridato sicurezza e orgoglio al Paese. Per quanto riguarda Clinton, l";America rimpiange la grande ripresa economica, il boom dell";elettronica a Silicon Valley, 10 milioni di nuovi posti di lavoro creati, un lungo periodo di pace, l";armonia con gli alleati; prima dello scandalo di Monica Lewinsky. Però, se si paragonano le guerre, le stragi, i morti e i feriti di adesso con la «bravata» di Clinton che portò l";America sull";orlo di una crisi, allora quello dell";ex presidente democratico è solo un peccato veniale.
Sylvers. Per quanto Reagan sia stato odiato da gran parte degli statunitensi quando era presidente, di lui si rimpiange un po"; il suo modo di essere, di scherzare, di presentare in positivo tutto quello che era negativo. Non dimentichiamoci che quelli erano gli ultimi anni della guerra fredda per cui tanti americani hanno probabilmente nostalgia di quei «bei giorni», quando si sapeva chi era il nemico, quando era più facile gestire la situazione, quando c";era ancora Saddam Hussein ma non costituiva un problema, anzi forse era un amico degli Stati Uniti; quando il nemico era l";Unione Sovietica pur essendo sotto controllo. Credo che si rimpianga tutto questo. E poi tanti giornali americani hanno la percezione che, grazie a Reagan, gli Stati Uniti hanno vinto la guerra fredda, e non c";è più il muro di Berlino. Ma qui, naturalmente, bisognerebbe aprire una lunga discussione. Invece, di Clinton si rimpiange il fatto che con lui la situazione economica era buona mentre, al contrario, durante l";amministrazione Bush ha subito un declino. Clinton ha avuto la fortuna di trovarsi nel posto giusto, al momento giusto. È pur vero che lui e i suoi consiglieri sono stati molto più bravi di Bush e del suo entourage.
Quali sono oggi i punti di forza e quelli di debolezza di Bush?
Riotta. Il punto di forza è che in un Paese polarizzato, la destra lo vede molto volentieri. La gente lo ritiene ancora un leader sincero, ma Repubblicani e Democratici lo vedono come un leader infingardo. Se da qui al 2 novembre prossimo la situazione si stabilizzasse e continuasse la crescita dei posti di lavoro, forse gli elettori potrebbero ritenere che, tutto sommato, in guerra è meglio non cambiare guida. Quello che gioca a sfavore di Bush è la difficoltà  di una vera pacificazione in Iraq e nel mondo, e poi che i posti di lavoro non crescano come si vorrebbe. La gente comincia ad essere stufa dei neoconservatori.
Sylvers. Se Bush riesce a presentare la situazione in Iraq come una vittoria, questo diventa un suo punto di forza. Così come se riesce a far ripartire l";economia con i tagli alle tasse.
E di Kerry?
Riotta. Per il momento Kerry ha dato l";impressione di essere una persona molto pallida. Non ha dimostrato grande personalità . Sembra voler trasformare le elezioni in un referendum contro Bush: «votatemi perché non sono Bush!». Il suo punto di debolezza è quello di apparire troppo negativo. Per quanto riguarda i suoi punti di forza, va detto che è un eroe del Vietnam anche se poi è diventato un pacifista quando è tornato a casa. La sua immagine è dinamica, da ultimo erede di Kennedy, ruolo che potrebbe giocare molto bene.
Sylvers. Per Kerry si potrebbe dire quasi la stessa cosa che per Bush: l";economia innanzitutto perché per quanto Bush cercherà  di presentare questi anni della sua amministrazione come una vittoria, Kerry, invece, parlerà  dei posti di lavoro perduti e del rallentamento dell";economia americana. Poi cercherà  di sfruttare la situazione in Iraq, ma facendo molta attenzione perché non è mai stato contro la guerra. Cercherà , piuttosto, di far pesare il modo in cui è stato gestito il Paese dopo la caduta di Saddam Hussein.
John Forbes Kerry e John Fitzgerald Kennedy hanno le stesse iniziali: JFK. Si mormora che a Washington qualche democratico stia già  facendo gli scongiuri. In che cosa si somigliano Kerry e Kennedy. E nell";establishment americano a chi Kerry, se fosse eletto, potrebbe risultare insopportabilmente antipatico?
Riotta.
Kerry e Kennedy sono entrambi senatori del Massachusetts. Kerry è, come Kennedy, un liberal-moderato. Entrambi hanno un rapporto con la religione non troppo stretto come quello di Bush. Credo che se fosse eletto, Kerry risulterebbe molto antipatico all";establishment politico-industriale che sostiene Bush.
Sylvers. Direi che è molto presto per cercare di fare paragoni tra Kerry ed altri quando ovviamente non è stato ancora eletto. Probabilmente Kerry rischia di fare arrabbiare i cattolici radicali perché lui è sicuramente più liberale su questioni come l";aborto, le cellule staminali, ecc.
Quali sono le principali insidie che i due candidati alla Casa Bianca devono tener d";occhio in quella che si preannuncia come una lunga ed estenuante corsa all";ultimo voto?
Riotta. Bush deve far vedere che l";Iraq non è un nuovo Vietnam, che la ripresa economica è concreta, e che nuovi posti di lavoro si stanno effettivamente creando. Kerry deve far vedere che non è un liberal pronto ad aumentare le tasse, e che non renderebbe l";America più insicura nella guerra al terrorismo.
Sylvers. Bush sa da mesi che deve presentare la guerra in Iraq e il passaggio dei poteri come una vittoria. Per quanto riguarda l";economia, invece, si tratta di un processo più lungo: possono fare quello che vogliono ma qualche mese non basta a cambiare le cose. Per muovere l";economia degli Stati Uniti ci vuole molto più tempo. Ovviamente Bush cercherà  di presentare in positivo ogni dato che verrà  fuori dall";economia americana.
Per quanto riguarda l";elettorato, si dice che gli americani votino sempre guardando alla politica interna: «se l";economia va bene, si conferma il presidente». Ma quest";affermazione è vera fino ad un certo punto perché se in Iraq i soldati americani dovessero continuare a morire e la situazione a rimanere più o meno com";è adesso, tutto questo diventerebbe un peso notevole sulle spalle di Bush.
Esiste la possibilità  che le elezioni presidenziali siano influenzate da un eventuale nuovo «effetto Zapatero», cioè dalle conseguenze di un atto terroristico sconvolgente in grado di spostare i voti dell";elettorato americano? Oppure sulla scelta del candidato pesa la situazione interna degli Stati Uniti?
Riotta
. Se c";è un attacco di Al Qaeda a ridosso delle elezioni presidenziali, potrebbe esserci una reazione a favore di Kerry perché si direbbe che Bush, pur avendo fatto due guerre, non ha reso più sicuro il Paese. Però potrebbe anche esserci l";effetto opposto, del tipo: «siamo in guerra, perciò stringiamoci attorno al nostro capo».
Sylvers. Direi che gli americani non hanno scelto. E la situazione che si è verificata in Spagna con Zapatero non si ripeterà , proprio perché Kerry non si è mai schierato contro la guerra in Iraq, anzi l";ha sempre appoggiata. Se ci fosse un";azione terroristica negli Stati Uniti, ciò potrebbe giocare a favore della rielezione di Bush.
Che cosa dovrebbero aspettarsi gli Stati Uniti e il mondo se Bush bissasse l";affermazione elettorale di quattro anni fa?
Riotta. Credo un Bush un po"; più vicino al moderatismo del suo attuale Segretario di Stato, Colin Powell, e non così duro come adesso. Ma la mia è solo un";ipotesi, e sulle ipotesi è sempre facile sbagliarsi.
Sylvers. Se Bush fosse riconfermato alle prossime elezioni, ciò significherebbe che gli americani hanno deciso di sostenere la linea tenuta dal presidente, fino ad ora, nella guerra al terrorismo. Dopo il passaggio dei poteri in Iraq, la situazione resterà  molto calda sia per gli americani che per gli iracheni anche perché continueranno a rimanere nel Paese 160 mila soldati statunitensi. Sia Kerry che Bush cercheranno di disimpegnarsi dalla guerra in Iraq. E questo, a prescindere da chi dovesse vincere, rappresenterebbe la vera svolta. Secondo me, però, in Iraq resteranno molti soldati americani. E per parecchi anni.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017