In cammino verso Betlemme

Arrivati a Betlemme, «se invece di un Dio glorioso ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, non ci venga il dubbio di aver sbagliato percorso».
11 Novembre 2010 | di
In un contesto politico e sociale, quanto mai critico, che ci pone in una situazione di attesa e di speranza, ritorna il Natale, evento di grazia e forte invito a intraprendere, sull’esempio dei pastori, il nostro cammino di fede. «I popoli immersi nelle tenebre videro una gran luce; una luce che rifulse su quelli che abitavano in terra tenebrosa», scrive il profeta Isaia nella previsione dell’evento meraviglioso che avrebbe donato al mondo il Figlio di Dio, «un germoglio dal tronco di Jesse» (Is.11). 
La luce che dal volto del neonato Salvatore rifulse nella grotta di Betlemme, invadendo di gioia innanzi tutto i cuori di Maria e di Giuseppe, è motivo di stupore per i pastori e oggi attrae quanti, ansiosi d’uscire da situazioni di crisi umane e spirituali, desiderano far ricrescere nell’animo un orientamento per la loro vita. Già Isaia aveva indicato a Israele, che nel dopo-esilio si trovava senza prospettive, una visione grandiosa di speranza: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Cammineranno le genti alla tua luce» (60. 1-3).
Il mistero della nascita del bambino Gesù, avvolto in un’abbagliante luce divina, ha trasformato la storia umana in storia di salvezza. E Betlemme, anche nel suo significato metaforico, è méta del nostro cammino di fede per incontrare un Dio che ha voluto incarnarsi nelle coordinate del tempo e dello spazio: un Dio che, dopo la sua nascita, è vissuto in mezzo al suo popolo rivelando un messaggio salvifico per l’umanità, e che dopo la sua morte, risorgerà per lasciare il segno della sua identità e della sua missione divina.
Oggi ripercorrere la strada verso Betlemme, come pellegrinaggio di conversione per raggiungere  la grotta e adorare il Figlio di Dio forse è più arduo di quanto sia stato per i pastori. La ha affermato un grande amico e pastore d’anime: don Tonino Bello, vescovo di Molfetta. Dobbiamo infatti «valicare il pendio di una civiltà che, pur qualificandosi cristiana, stenta trovare l’antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la capanna povera di Gesù. Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, molto più faticoso di quanto lo sia stato per i pastori. I quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri di un bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti….Noi invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostra sufficienza…per trovare chi?».
È un interrogativo che forse può dare nuovi significati alle celebrazioni dell’Avvento e del Natale di questo 2010. Ma l’invito di don Tonino è forte: andiamo a Betlemme, anche se è un cammino di fede e di conversione faticoso, difficile. L’importante è compierlo. «E se invece di un Dio glorioso ci imbattiamo nella fragilità di un bambino, con tutte le connotazioni della miseria, non ci venga il dubbio di avere sbagliato percorso. Perché, da quella notte, le fasce della debolezza e la mangiatoia della povertà sono divenuti i simboli nuovi della onnipotenza di Dio. Il Natale ci faccia trovare Gesù  e, con lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell’impegno storico» (da Finestre aperte sull’eterno, Elledici 2009).
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017