Campassi cent’anni... Settantasette con ironia

Una simpatica lettrice si diverte a scombinare il numero dei suoi anni, non pochi, per ricavarne frammenti di passato che rivive con serena gioia, senza drammi, pur essendo stati anche di drammi intessuti. Ascoltiamola.
06 Maggio 1999 | di

Che bella soddisfazione ricevere lettere come quella di Margherita Radaelli, una lettrice di Roma. Intanto - e non è poco scrive per farsi capire, e questo vale non solo per i contenuti ma anche per la chiarezza di esposizione e, udite udite!, per la grafia.
Non basta. La signora Margherita è riuscita, con la sua vivacità  e il suo calore, a farmi trascorrere un po' di tempo nella sua bella famiglia, composta oltre che dai nonni Radaelli - Margherita, settantasette anni e Uberto, ottantatré - da sette figli, trenta nipoti e quattro pronipoti.
La sua lettera, composta di molti fogli, mi ha in un primo tempo messo in allarme perché diffido della verbosità , ma la diffidenza è presto svanita. Come si fa a resistere a una signora che, festeggiando il suo settantasettesimo compleanno, invece di lamentarsi del tempo che passa e di rimpiangere gli anni che furono, si diverte a scrivere: «Forse, detti così, settantasette anni non appaiono poi quelli che sono; da stamattina invece mi sto provando a scombinarli. Ad esempio: 7 + 20 + 50. Una bambina, una giovane donna, una signora. Oppure: 12 + 9 + 28 + 28, l'inizio inconsapevole della mia vita di donna, quello di mamma, quello di nonna ed eccomi qui: bisnonna. C'è da divertirsi con i numeri... ».
C'è da divertirsi, capite? Non si limita a contemplare in blocco i tanti anni vissuti. No, Margherita li scompiglia, li scompone e li ricompone, ci gioca, e così facendo alleggerisce e ridà  vita al passato, permettendosi anche di trasformare una vecchiaia in tante giovinezze.
Non si pensi che si tratti soltanto di una donna fortunata a cui la vita ha riservato solo gioie, perché le cose non stanno proprio così. Margherita lo fa capire con misura e delicatezza, preferendo insistere sui sentimenti di gratitudine che prova per ciò che di buono ha incontrato in questo mondo.
Questi sono i risultati di una vita di amore e mi sembra una buona dimostrazione di quanto importanti siano, per la salute fisica e psichica, le componenti sociali e affettive, la qualità  delle nostre relazioni.
In questi ultimi anni si susseguono gli studi e le ricerche su questo argomento: nei mesi scorsi la stampa ha avuto modo di occuparsi di Dean Ornish che ha acquistato una certa notorietà  per le sue idee in tema di salute ma anche perché consigliere - presumo inascoltato - di Bill Clinton. Secondo Ornish, «L'amore e l'intimità  sono le radici di ciò che ci fa ammalare e ci fa star bene, di ciò che ci fa soffrire e ci conduce alla guarigione».
È confermato dall'esperienza comune e sempre più dalla ricerca scientifica, che i fattori sociali e affettivi, la vicinanza con il nostro prossimo, una vita di relazione calda e intensa a contatto con le proprie radici ma aperta alle novità , all'incontro con le diversità , hanno effetti positivi sulla salute.
Tutto questo, ripeto, non ha nulla di inedito e di sensazionale, malgrado l'enfasi che sulla stampa viene data a queste «novità ». Chiunque sia vissuto abbastanza a lungo, almeno questo lo ha imparato: vivere bene fa bene. Il problema sta nel capirci su cosa intendiamo per «vivere bene», visto che è ancora diffusa l'errata opinione che sia sufficiente avere danaro e potere per «star bene». Le cose non stanno così: «vivere bene» vuol dire «star bene con noi stessi e con gli altri», portare in mezzo agli altri i risultati di un lungo lavoro - può durare tutta una vita - diretto a distinguere ciò che conta da ciò che è superfluo o addirittura dannoso. Vuol dire imparare a vivere insieme agli altri impostando le nostre relazioni, per quanto possibile, sulla base di scambi costruttivi. In altri termini, non solo «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te» ma anche «fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te».
La mia lettrice, nel corso della sua vita, ha selezionato almeno due «cose che contano» per star meglio: la fede in Dio e l'armonia familiare. Ma quali che siano gli aspetti che voi considerate essenziali per la vostra esistenza, una cosa è certa: nulla di ciò che conta arriva senza fatica, senza impegno, senza contraddizioni. «Tutto ciò che ha valore è costoso, esige molto tempo e richiede molta pazienza», diceva Jung, e potrei aggiungere che noi ci affezioniamo a ciò che abbiamo costruito con il tempo e con la pazienza. Così si formano i legami che contano e che sono destinati a durare nel tempo, così si forma la nostra identità , così si gettano le basi del nostro benessere.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017