Campioni sgonfiati

Sara Simeoni, Carl Lewis, Sebastian Coe e Pietro Mennea contro il doping che ha inquinato lo sport falsando risultati e rovinando atleti.
09 Marzo 2000 | di

C`€™era un tempo in cui chi eccelleva nello sport veniva considerato un modello di correttezza e di onestà . Nell`€™antica Grecia, l`€™atleta era guardato con ammirazione e con un pizzico di invidia, al pari degli artisti e dei pensatori, perché con la sola forza fisica, corroborata da duri allenamenti, otteneva risultati che esaltavano la perfezione del corpo umano e accentuavano la voglia, inesausta in ogni tempo, di superare nuovi limiti, nella conoscenza come nello sport.
Tempi lontanissimi, purtroppo. Le odierne vicende dello sport hanno ormai invaso le pagine della cronaca «nera» e «giudiziaria» con decine di atleti di ogni disciplina sotto inchiesta o sospettati di ricorrere al doping (dalle anfetamine all`€™epo) per migliorare artificiosamente le proprie prestazioni.
A Maratona, gli atleti si cospargevano `€“ rito propiziatorio `€“ polsi e caviglie di oli e unguenti profumati a cui attribuivano straordinari poteri, che non avevano. Oggi la farmacologia ha messo a disposizione sostanze che hanno davvero poteri straordinari, che possono fare anche di un brocco un campione. Campione effimero, perché gli effetti negativi delle anfetamine e delle altre dannosissime «bombe» si fanno presto sentire. E il brocco, spompato, ritorna a essere brocco. Anzi peggio.
Il fenomeno è determinato `€“ dicono gli esperti `€“ non solo dalla voglia dell`€™atleta di vincere, ma anche `€“ o soprattutto `€“ dagli enormi interessi economici che, specie negli ultimi anni, condizionano lo sport. Succede così che «idoli» degli sportivi `€“ dal velocista Ben Johnson al ciclista Marco Pantani, e via via lungo una lista che sembra non finire mai `€“ crollino nel fango o siano distrutti dal sospetto dopo essere stati trovati positivi ai test antidoping. Immensa la delusione dei fans.

Di doping, e non solo, ma di quale debba essere il ruolo dell`€™etica nello sport, si è parlato a Montecarlo in occasione della proclamazione degli «Atleti del 1999» e degli «Atleti del XX secolo». L`€™incontro si è svolto nel corso del «World Athletics Gala» organizzato nella capitale monegasca dalla Federazione internazionale di atletica leggera, presenti i più celebrati atleti, in attività  o ritiratisi dall`€™impegno agonistico. E così, mentre il principe Alberto di Monaco e il presidente della Iaaf, Lamine Diack, incoronavano migliori atleti del 1900, il «figlio del vento» Carl Lewis e l`€™ottantunenne olandese Fanny Blankers-Koen, vincitrice di ben quattro ori alle olimpiadi di Londra del 1948, atleti e dirigenti di fama internazionale discutevano su come il doping stia influenzando negativamente lo sport.
«Vince davvero solo chi può contare sulle proprie forze» ci ha detto Carl Lewis, ingiustamente spodestato dal trono di uomo più veloce del mondo alle Olimpiadi di Seul dal canadese Ben Johnson, poi trovato positivo ai test antidoping e bandito a vita dalle piste. E ha aggiunto, raccogliendo il consenso dell`€™inglese Sebastian Coe, detentore per ben 16 anni del record mondiale degli 800 metri: «Chi si affida alle droghe per migliorare le proprie prestazioni è un perdente in partenza, perché non crede in se stesso e nelle proprie forze. E un atleta che non crede nella sua capacità  di potersi superare ogni giorno contando solo sulle proprie forze e sul proprio sudore non merita neppure di essere definito un atleta, a prescindere dalle motivazioni che lo possano spingere ad assumere sostanze non consentite. È un perdente e basta, e ciò a parte ogni giudizio di carattere etico nei suoi confronti».
Duro anche il giudizio dell`€™italiano Pietro Mennea. «Qualcuno `€“ ci ha confidato `€“ ha fatto credere a degli atleti che sia possibile raggiungere grandi risultati senza sudare. Per troppo tempo sul tema del doping si è taciuto. Anche oggi, che pur riconosciamo quanto l`€™uso di sostanze dopanti sia dannoso allo sport, perché falsa i valori dei risultati, e alla salute degli atleti, si è fatto poco. Mentre nella società  negli ultimi venti anni è cambiato tutto, nello sport i dirigenti sono sempre gli stessi. Ciò significherà  qualcosa? Quella che nello sport manca è la volontà  di cambiare, mentre crescono gli interessi economici».
Sulla stessa lunghezza d`€™onda un`€™altra stella dello sport italiano, Sara Simeoni. «Il tema vero `€“ spiega `€“ è che su certi valori come l`€™onestà  e la correttezza nelle competizioni non si può e non si deve transigere. Mi rendo conto che i tempi siano cambiati. Gli impegni per gli atleti sono maggiori e sempre più frequenti, e c`€™è sempre meno tempo per allenarsi. Tuttavia, questo non giustifica che un atleta debba 'aiutarsi' in altri modi che non siano l`€™esercizio fisico. Dobbiamo riuscire a neutralizzare il messaggio con cui i giovani vengono bombardati dai mass media, che tutto è lecito pur di raggiungere una meta. Ciò non è vero, particolarmente nello sport, dove, peraltro, l`€™abbattimento di un record, non è poi la cosa più importante. Nella mia esperienza, ciò che è invece fondamentale nello sport è la possibilità  di conoscere i propri limiti, imparare a crescere nella certezza di poter contare solamente su se stessi. È questo che principalmente ho imparato dalla mia attività  di sportiva: conoscere me stessa e quanto valevo a prescindere dal risultato».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017