Canada, intervista al diplomatico De Bernardin. Potere alla fantasia
L'Italia ha 'chiuso i rubinetti'. Il peso di Comites e associazioni. Il nuovo ruolo delle regioni. Un'idea per gli imprenditori italiani: invadere il mercato del Nafta con i mobili.
Ottawa
Oggi è primo consigliere all ambasciata italiana in Canada. Si definisce uno 'zingaro'. Da qualche anno, infatti, gli impegni diplomatici lo portano a viaggiare molto, ma lui, Sandro De Bernardin, ha ancora le proprie radici saldamente piantate a Venezia dove è nato nel 1949, vicino a Santa Maria dei Miracoli. I suoi genitori abitano a Mestre, e cos' torna spesso a trovarli.
La sua carriera diplomatica inizia nel '73 quando entra al ministero degli Esteri. È stato consigliere politico all'ambasciata di Parigi. Prima ancora ha lavorato presso le nostre rappresentanze diplomatiche in Svezia, nello Zaire, e ha fatto parte della nostra delegazione all'Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, a Parigi.
De Bernardin è in Canada da tre anni e mezzo. Qui vive con la moglie e i quattro figli. Nella veste di numero due dell'ambasciata di Ottawa, ha avuto modo di occuparsi di tutti gli aspetti delle relazioni tra Italia e Canada, conoscendo da vicino la collettività di origine italiana in questo Paese. Lo abbiamo intervistato.
Msa. Gli italiani in Canada come vivono la loro identità culturale e anagrafica?
De Bernardin. Vivono la loro identità , da un lato con la fierezza di essere perfettamente riusciti a realizzare l'integrazione nel nuovo Paese, dall'altro con la consapevolezza che quello che hanno portato dall'Italia è un grande patrimonio che non va perduto. E qui nasce la sfida che tocca a noi, al governo italiano, e a varie associazioni in ambito migratorio, per aiutarli a non smarrire questo patrimonio e questo legame con l'Italia. Gli italo-canadesi sono diventati quello che sono, non soltanto per la capacità manuale e l'intelligenza, ma soprattutto per i valori umani di cui sono stati e sono portatori, e che non vogliono perdere.
Il voto per gli italiani all'estero è un elemento che può legare questa collettività all'Italia, oppure no?
È una domanda difficile. Io, come funzionario pubblico, devo darle una risposta ufficiale. Posso dirle che il Parlamento ha fatto una scelta che noi delle ambasciate cercheremo di rendere la più operativa possibile. Resta il fatto che per molti di questi connazionali, il legame con l'Italia si è affievolito al punto tale che mi chiedo quanta conoscenza abbiano ancora della nostra realtà , e quanto saranno interessati a votare. Certamente vent'anni fa sarebbe stata una cosa più tempestiva e forse più utile. Anche adesso può certamente avere la sua importanza, soprattutto - direi - per mantenere desta l'attenzione delle forze politiche italiane nei confronti di quelle collettività che per troppo tempo sono state un po' dimenticate.
Un'altra questione aperta è quella della riforma del Cgie, il Consiglio generale degli italiani all'estero, e dei Comites, i Comitati italiani all'estero: strutture ritenute ormai superate dai tempi. Quali sono le richieste che voi recepite da parte degli italo-canadesi?
Devo dire che, come si è constatato in altre parti del mondo, quando si è votato l'anno scorso, la rispondenza delle collettività italiane a questo tipo di proposta non è stata quella che ci si sarebbe potuti attendere, e tale da giustificare l'enorme impegno di energie profuso dal governo italiano e dalla nostra rete diplomatica all'estero. In Canada non si può votare per i Comites perché il governo canadese non lo permette, come del resto non lo permette l'Australia. Quindi si cerca di sopperire con forme di nomina che tengano conto della consultazione della collettività a più ampio spettro possibile.
Anche qui è difficile valutare quale sia il peso di queste rappresentanze nella sensibilità dei nostri connazionali, anche perché le collettività canadesi, come, del resto, quelle americane hanno forme di organizzazione spontanea che sono molto più antiche e molto più radicate di quelle dei Comites. Comunque noi stiamo lavorando per creare un collegamento efficace tra l'Italia e le nostre collettività anche attraverso questi strumenti.
Funzionano le relazioni culturali tra Italia e Canada? Quali iniziative vengono sostenute? E, soprattutto, i nostri enti rappresentativi - sia quelli ufficiali, cioè ambasciata e consolati, sia le associazioni degli italiani all'estero - sono attivi su questo fronte?
Diciamo che in Italia ci troviamo in una situazione di transizione per quanto riguarda il passaggio da un tipo di gestione delle finanze pubbliche a un altro modello. Questo modello comporta dei sacrifici molto grossi, non soltanto in Italia, ma anche per quello che si può spendere all'estero. Le spese e i finanziamenti volti a sostenere queste attività che mantengono vivo il legame culturale, sono ormai esigue. Cerchiamo di sopperire con la fantasia, ma la fantasia non basta. Il numero di borse di studio che mettiamo a disposizione degli italo-canadesi è assolutamente insufficiente. Certamente un grosso volano è rappresentato dalle regioni e dai mezzi che hanno a loro disposizione.
Sono interessanti e ben accette le delegazioni che dall'Italia vengono a visitare le nostre collettività . Sarebbero ancora più ben accetti quei fondi provenienti dall'Italia grazie ai quali molti italo-canadesi potrebbero recarsi in Italia e abbeverarsi alle fonti della nostra cultura: un contatto diretto in grado, poi, di far scattare la molla dell'interesse e di mantenere vivo questo legame.
Il 'Multicultural Act' ha in qualche modo ridefinito sulla carta quella parità tra i gruppi etnici canadesi, annullata storicamente dal primato di quello anglosassone. A suo avviso, questo atto è rimasto 'lettera morta' oppure la società canadese ora è molto più multiculturale di un tempo, e molto più aperta al mercato globale?
Certamente la realtà del multiculturalismo si sta consolidando, ma ci sono certamente delle grosse difficoltà . In primo luogo perché è molto semplice per la società canadese assimilare le entità culturali di origine europea, che non quelle di altra origine, con punti di partenza molto diversi. In secondo luogo, il multiculturalismo non elimina la realtà secondo cui la lingua e la cultura trainanti restano quelli anglosassoni.
Resta il fatto che il governo canadese mette a disposizione vari mezzi per mantenere vive le varie componenti etniche, l'orgoglio della loro origine e soprattutto la promozione dei valori tradizionali. Nel caso nostro, i valori italiani riguardano un certo tipo di relazioni sociali, la famiglia, lo spirito di intraprendenza, di iniziativa, di immaginazione. Sono elementi che il Canada ha interesse a mantenere vivi. Quindi, da questo punto di vista, il multiculturalismo funziona senz'altro, perché negli italiani c'è l'orgoglio delle origini.
Il console canadese a Milano, Ian McLean, ha detto recentemente che il Nord Est italiano, in particolare il Veneto, quale motore dell'economia europea, può diventare un partner effettivo del Canada, e ancor più una 'testa di ponte' del mercato europeo nell'area Nafta (una sorta di comunità economica tra Usa, Canada e Messico). Che tipo di relazioni potrebbero nascere e svilupparsi tra il Nord Est italiano e il mercato canadese?
Direi soprattutto joint-ventures, perché mentre il flusso commerciale tra i due Paesi è abbastanza soddisfacente, il flusso degli investimenti è assolutamente minimo e inadeguato rispetto al tipo di rapporto che c'è tra i due popoli. Il Veneto ha know how e spirito imprenditoriale; il Canada ha una tecnologia avanzata, ha materie prime, però ha una cultura molto 'inferiore' per quanto riguarda, ad esempio, lo sviluppo della piccola e media impresa. Io penso a una cosa: perché nessun mobiliere veneto avvia una fabbrica in Canada, dove il legname a disposizione è abbondante, e, poi, con le sue macchine e il suo savoir faire non inonda di mobili canadesi tutta l'Asia e tutta l'area del Nafta?