Canto d'angeli nell'antica chiesetta
Buongiorno,
vi mando un racconto che ho scritto di recente e che ho ambientato in un luogo molto caro alle persone devote a sant'Antonio: la chiesetta del noce a Camposampiero. Sperando possa esservi gradito e di interesse, anche per eventuale pubblicazione.
Vi ringrazio e saluto cordialmente,
Andrea Pietrobon
Canto d’angeli nell’antica chiesetta
La piccola chiesa era immersa nella solita quiete, quella mattina di inizio autunno. Lungo il breve viale che si percorreva per arrivarci di fronte, le querce e i tigli erano maestosi come ricordava e le loro foglie iniziavano appena a cambiare colore. Dentro, nella penombra, poche persone stavano in silenzio e in raccoglimento. Entrò camminando piano, per non disturbare. Si fermò alla prima fila di sedie subito oltre l’ingresso e si sedette. Quel luogo gli aveva sempre ispirato una grande pace. Quando aveva bisogno di starsene un po’ in disparte e di pensare, andava là. Tra quelle mura lasciava correre lontano le preoccupazioni moleste, cercando di individuare ed ascoltare una voce buona dentro di sé. Una voce che talvolta si faceva lontana e quasi impercettibile, soffocata dall’incalzare della quotidianità e dal frastuono del mondo. La sua fede aveva sempre camminato su sentieri incerti e scoscesi, tra saliscendi e momenti di smarrimento. Ma entrare là dentro era come essere al riparo in un porto sicuro e la forza mistica di quelle pietre, degli alberi subito fuori di esse, col canto degli uccelli che risuonava discreto, lui la sentiva benissimo. Percepiva istintivamente che semplicità e spiritualità camminano affiancate.
Otto secoli erano passati da quando il Santo era partito da quel luogo per il suo ultimo viaggio. Eppure qualcosa della sua presenza, del suo passaggio, misteriosamente ancora rimaneva. Lo si avvertiva anche senza essere particolarmente credenti. Sulle pareti del piccolo edificio sacro, affreschi vecchi di centinaia di anni raccontavano gli episodi della vita del Santo, uno dei più amati dalla gente. Mani sapienti di artisti avevano immortalato nei dipinti sulle mura i miracoli da lui compiuti e i fatti salienti della sua esistenza terrena. Una grande scena immortalata oltre l’altare lo ritraeva nell’atto di parlare ad una moltitudine di gente del posto, dall’alto dei rami di un maestoso noce. Il senso del sacro scaturiva spontaneo da quelle immagini, da quelle scene così evocative.
Fuori il cielo era plumbeo in quel mattino di fine settembre e la penombra all’interno della piccola chiesa accentuava il senso di mistero. Regnava il silenzio. Il sole illuminò all’improvviso una delle finestre ed un vibrante fascio di luce andò a rischiarare un tratto dell’abside, dietro l’altare. Allora, solo allora, lui si accorse che in un angolo seminascosto c’era una piccola suora, una clarissa del vicino monastero di clausura. Pregava e meditava, nel più totale silenzio. Sicuramente c’era anche prima, ma era stato proprio quell’inaspettato raggio di sole a svelarne la presenza discreta. Era minuta, composta, tra le mani teneva anche un piccolo quaderno, così gli parve. Di tanto in tanto annotava qualcosa. Iniziò ad osservarla. Gli sembrò che lei sorridesse, col suo piccolo volto in parte celato dal velo. Dal quale proveniva una luce particolare, pura, avrebbe detto. Chissà quali erano i suoi pensieri, si ritrovò a chiedersi. I pensieri di quelle monache dalla vita così appartata, di distacco dal mondo, che lì a pochi passi correva ignaro di loro dietro alla sua solita frenesia. Che strane considerazioni! Si ritrovò a chiedersi se qualcuno del mondo là fuori si fermava mai a pensare alle clarisse e alla loro segreta vita nel convento. Nemmeno lui l’aveva mai fatto prima di quella strana mattina. Ma quel giorno non aveva voglia di pensare alle solite cose, il suo stato d’animo lo portava da un’altra parte. E così si ritrovò a interrogarsi sull’esistenza di quelle monache, osservandone quasi con pudore una oltre la balaustra dell’altare. Loro pregavano nella chiesa e nel monastero che le separava dalla vita che tutti viviamo. Pregavano e nessuno le sentiva, tra gli uomini almeno. Forse pregavano per i destini del mondo.
D’improvviso si sentì rassicurato che qualcuno lo facesse. Che strano! Si preoccupavano per quel mondo a cui avevano rinunciato. Mentre così pensava, continuava ad osservare la piccola monaca oltre la balaustra, tentando di percepire qualcosa dagli sguardi riservati che lei, con parsimonia, rivolgeva verso le poche persone presenti tra i banchi. Gli sarebbe piaciuto indovinare il suo stato d’animo, i suoi sentimenti. Fantasticava su queste cose, che reputò quasi assurde, quando la memoria, non del tutto piacevole, di impegni vicini lo spronò ad alzarsi e a lasciare quel nido di pace. Stava quasi per uscire quando notò del movimento oltre la balaustra, tornata in penombra. Una nuvola infatti era arrivata a coprire il sole interrompendo il fascio di luce dalla finestra verso l’interno. Volle capire l’origine del tramestio che l’aveva fatto fermare sulla porta. Altre suore stavano arrivando, con un passo lieve e impercettibile. Si disponevano a coro, in semicerchio, alle spalle del piccolo altare. Tornò indietro, incuriosito da quella processione discreta. Le suore appena entrate tenevano in mano un libricino di canti e preghiere. Ci fu un momento sospeso, poi dal silenzio salì prima soffuso, poi più chiaro e vibrante il melodioso suono delle loro voci.
Quel canto cristallino riempiva la volta della chiesetta, creava un’atmosfera indefinita, bellissima. Celestiale si sarebbe potuto dire. Si sedette di nuovo ad una delle sedie. Il limpido suono delle voci pareva provenire da un coro di angeli, una musica scesa direttamente dal cielo. Un tramite, forse l’unico, tra le monache serrate nella loro clausura e i fedeli presenti nella chiesetta. Si sentì contento di essersi fermato un po’ di più. Aveva l’impressione che quel canto lo sollevasse, gli innalzasse lo spirito, anche se non avrebbe saputo precisamente definire cosa si intendeva per «spirito». Era incredibilmente leggero e tranquillo. Tutto gli appariva da una diversa prospettiva. La mente era svuotata da ogni preoccupazione, concentrata solo sul momento presente, ammaliata dal quel canto d’angeli. E il cuore sembrava riempirsi di qualcosa simile all’amore. «Questa forse è la musica che si sente in Paradiso» si ritrovò a pensare, quasi con imbarazzo. Musica che fa sembrare un tuono che squarcia le nubi anche il più bel suono udibile sulla Terra. «Ma qui siamo sulla Terra» pensava, immaginando però che il Paradiso ogni tanto scenda tra di noi ad illuminare con lame di luce le nostre ombre. Si chiedeva come dovesse essere rimanere fermi in uno stesso posto ogni giorno, mentre sembra che per l’uomo contemporaneo spostarsi incessantemente da un luogo all’altro sia un’esigenza insopprimibile. Lui lo sapeva bene, abituato com’era a scendere e salire da un aereo all’altro. Anche se tutto quel girare tra aeroporti, alberghi, sale riunioni e meetings vari iniziava a causargli un po’ di nausea.
Seppur confusamente, avvertiva sempre di più la necessità di un luogo da considerare veramente come casa sua. Una dimora per il corpo ma soprattutto per lo spirito, anche se non aveva ancora saputo dare una definizione precisa a questo concetto. Eppure ne avvertiva la presenza, oltre le sembianze materiali delle cose. Un molo a cui ancorarsi. Un rifugio a cui tornare nelle sere d’inverno, riscaldato dagli affetti, dall’amore per qualcuno. Loro, le monache di clausura, un approdo l’avevano trovato nel monastero le cui mura le separavano dal fluire della vita all’esterno. Una scelta estrema, probabilmente. Era giusto così? Non era forse troppo? Anche loro avevano bisogno d’amore, certamente. Ma lui che ne sapeva? Poteva essere che la contemplazione spirituale di cui si nutrivano le loro giornate fosse di per sé una forma d’amore sufficiente. Del resto lui che ne sapeva dell’amore, non l’aveva ancora conosciuto veramente. Ne serbava uno sbiadito ricordo, nei lontani riflessi dell’affetto che i suoi genitori, sua madre soprattutto, gli avevano regalato quand’era piccolo. Spesso, alla fine delle sue convulse giornate si guardava intorno e si chiedeva dove sarebbe stato possibile vivere qualcosa che gli facesse provare lo stesso avvolgente calore. Era certo che cercando l’avrebbe trovato, magari non nelle forme che si aspettava, ma l’avrebbe prima o poi incontrato anche lui. Perché è l’amore la forza che fa sorgere e tramontare il sole ogni giorno, che fa fiorire gli alberi in primavera e agli uccelli migratori fa attraversare i deserti e i mari per ritrovare i loro nidi. È l’energia che permeando l’intero Universo spinge l’Uomo ad elevarsi dalla sua realtà terrena per proiettarsi verso altre dimensioni. È l’amore a spingere l’Uomo a compiere il Bene, indirizzandone le azioni ad un fine positivo. Infatti dove c’è l’amore non possono esserci il Male, la malvagità e la violenza. L’amore tra le persone non è che una piccola scintilla di questa grande, immensa energia universale.
Per l’intera durata del celestiale e dolce canto delle clarisse, lui era rimasto assorto e in silenzio ad ascoltare. I suoi pensieri erano fluiti armoniosi e pacati come raramente accadeva. Per lunghi tratti aveva chiuso gli occhi, sentendosi trasportato verso lontani orizzonti. Fu il ritorno del silenzio a destarlo da quello stato di quasi beatitudine. Osservò oltre la balaustra. Le monache non c’erano più, con la stessa leggerezza con cui erano arrivate, erano ritornate alla clausura tra le mura del monastero che per loro era rifugio e porto sicuro. Difficile capire la loro scelta, anche dopo aver ascoltato il canto angelico che in qualche misterioso modo gli aveva accarezzato l’anima. Solo una non era ancora uscita dalla chiesetta. Era la più piccola, la più minuta. La prima che lui aveva visto, solitaria in preghiera, nel gioco di luce e ombra quand’era entrato. Lei sollevò il viso e gli offrì uno sguardo quasi da bambina. A lui sembrò che volesse ringraziarlo per essersi fermato, per aver ascoltato il loro canto, per aver per qualche momento dimenticato la fretta ed essersi lasciato trasportare dalle voci angeliche. Per aver gettato un ponte tra il loro mondo e il suo. Anche lui aveva negli occhi riflessi di gratitudine. Il viso della piccola suora s’illuminò di un sorriso purissimo mentre con un impercettibile fruscio imboccava la porticina che portava al monastero. Anche lui uscì dall’antica chiesetta, questa volta definitivamente. Fuori, tra le nuvole diradate il cielo di settembre si era dischiuso in tutta la sua intensa luminosità.