Caravaggio, genio e sregolatezza

Ventiquattro quadri riuniti così come non si vedevano dal 1951, anno della prima grande mostra antologica sul Merisi, svoltasi in quella «sua Milano» da cui era arrivato.
14 Aprile 2010 | di
Roma
Difficile immaginare un’Italia priva di quel «Michelagnelo Merisi da Caravaggio» (1571-1610) che ci glorificò con la sua «dipintura». Un’eredità lasciata agli italiani e in cui Caravaggio fonde, più di ogni altro, il divino empireo col terreno quotidiano, sporcando non senza lo sdegno dei benpensanti di allora, mani e piedi di uomini che lui trasformerà in santi, senza però immaginare che la sua «pittura di luce», stava trasformando anche il mondo che lo circondava. A quattrocento anni dalla misteriosa morte dell’artista avvenuta a 39 anni, dopo una vita travagliata, il 18 luglio 1610 in un remoto sanatorio di Porto Ercole, a causa della febbre gialla che fermò per sempre il suo agognato ritorno a Roma – il suo corpo sarà gettato in una fossa comune, ora individuata presso l’Ospedale di Santa Maria Ausiliatrice –, il «genio e la sregolatezza» di Caravaggio seducono ancora oggi critica e pubblico. A sancirlo è la straordinaria mostra dal titolo «Caravaggio, fino al 13 giugno presso le Scuderie del Quirinale, a Roma. Un evento che da solo val bene un viaggio in Italia perché mai così tante opere magniloquenti e significative sono state raggruppate tutte assieme.
La mostra di Roma si rivela essere un’esperienza travolgente per la forza espressiva che assorbe il visitatore durante il percorso caravaggesco. Se il tempo corrobora la fama universale del Caravaggio, la mostra è già negli annali della storia dell’arte come nei cuori di migliaia di fortunati visitatori giunti in questi mesi. Ci si immerge in un mistero, «tra luci e ombre», che sono gli opposti dei colori del Caravaggio. È la sua foresta simbolica su cui si perde l’occhio, per ritrovare lo spirito di quel Merisi considerato un artista «maledettamente affascinante». Nessuno prima di lui si era mai spinto con l’arte tanto in fondo nella natura umana, utilizzando modelli presi dalla strada. Parliamo di contadini, prostitute o garzoni di bottega. Una scandalosa provocazione per i suoi detrattori, ma anche il superbo vanto di quegli illustri estimatori – in primis il potente cardinale Del Monte – disposti a tutto pur di poter collezionare un Caravaggio. Ma la sua produzione artistica fu contenuta: su un centinaio di opere ufficialmente riconosciute, solo quaranta sono attribuite dalla critica all’artista, con assoluta certezza.
Pochi quadri, sufficienti però a dare al pittore una celebrità smisurata, tanto che oggi per allestire una mostra di sicuro successo, basta esporre anche una sola sua opera. I più grandi musei del mondo mostrano le sue opere agli occhi dei visitatori che cercano di risolvere l’enigma di Caravaggio. C’è poi chi può vantare – pochissimi in realtà – un Caravaggio in casa propria. Non si comprano e non si vendono quei quadri, semmai si ereditano di generazione in generazione com’è accaduto alla famiglia Odescalchi di Roma, che è la proprietaria della prima versione di «San Paolo sulla via di Damasco»: opera unica, dipinta su legno di cipresso dal Caravaggio: vera e propria perla dell’esposizione romana. Ma questa è solo una tappa del lungo percorso che parte dalle prime opere giovanili del 1597: i canestri di frutta, i giovinetti e i musici, i primissimi temi sacri, dipinti quando l’artista era poco più che adolescente, ma già una rivelazione. Travolto dal successo e facile allo scandalo, Michelangelo Merisi passerà ben presto alle grandi tele d’altare (una di queste destinata al Vaticano, ma che per lo scandalo venne prima esposta e poi ritirata).
Ogni quadro è una storia in cui lo sguardo e la luce imprigionano emozioni. È questo il vero segreto che fa di Caravaggio l’artista più ammirato di tutti i tempi. Sono i suoi contrasti dell’animo che rompono le regole fino a indurre l’artista all’ennesimo irreparabile gesto di sregolatezza che sfocerà nel dramma con l’omicidio del notaio Tommasoni, per cui l’artista venne condannato a morte e fu costretto a una fuga precipitosa. È questo il momento della grande svolta della pittura caravaggesca: entriamo così nella psicologia dell’artista. I suoi colori, scuri ma mai neri, si fanno ombrosi e criptici. Il Merisi si consacra qui «scultore del colore e insuperabile maestro della luce». Con lui, ma non lo saprà mai, nasce la fotografia che diventerà realtà solo alla metà del XIX secolo. Ben altre dovettero essere allora le preoccupazioni dell’artista: costretto a scappare per sopravvivere, a sé e alla sua celebrità. La sua fuga verso Napoli, Malta e poi la Sicilia viene virtualmente ripercorso anche dai visitatori nella mostra fino agli ultimi suoi patemi d’animo. Non c’è più spazio per la dolcezza, ma è il dramma colto nell’immantinente del gesto ad essere ormai manifesto. Sono le ultime opere forzatamente mature del maestro: «l’amorino dormiente». La terribile decollazione di «Giuditta e Oloferne» del 1600. Le superbe «Cene di Emmaus» del 1601 e del 1606. L’intima quanto iconografica «Cattura di Cristo nel Getsemani» del 1602. Fino a lui che si ritrae nella testa decapitata di Golia, nel presagio della sua possibile sorte. Il pittore dell’ultimo istante si conferma anche come maestro dei sentimenti. Caravaggio ci stimola con una provocazione visiva, quasi senza tempo, dove lo sguardo dell’osservatore viene guidato. Oscura tutto ciò che non reputa essenziale per il suo messaggio. Occhi, mani e corpi teatrali, non meno dinamici di quelli affrescati da un altro celebre Michelangelo: quel Buonarroti della Cappella Sistina di cui già allora parlava tutta l’Europa. Caravaggio vede Michelangelo, ma non parla il linguaggio «rinascente» della Sistina. Nessun confronto è qui sostenuto. Nella mostra, il Merisi è solo con le sue intuizioni. È appunto genio e sregolatezza, tanto che l’ultima sorpresa, come un effetto speciale, il visitatore ce l’ha con l’ultima monumentale tela: «L’Annunciazione», dipinta nel 1608, a due anni dalla sua morte, per la chiesa francese di Nancy. Un unicum che sembra voler congedare il suo pubblico con l’inaspettata dolcezza di una Vergine Maria dai tratti leonardeschi. «Miracolo» dell’arte o forse, l’ennesima provocazione prevista dal Caravaggio che sembra volersi ora svincolare dai suoi stessi canoni pittorici, in un ultimo afflato di vita. Quella stessa che lui ha amato e sfidato, trasformandola in pittura eterna.


L’agenda di Caravaggio

Da Bacon all’alta definizione

Un pittore da trionfo. Ad aprire la stagione sul Merisi ci ha pensato la mostra «Caravaggio e Bacon» (www.caravaggio-bacon.it) sempre a Roma, rimasta aperta fino al 24 gennaio scorso presso la Galleria Borghese. Sono già migliaia i visitatori arrivati per la mostra «Caravaggio» alle Scuderie del Quirinale (www.scuderiedelquirinale.it) e spesso la lunga fila scoraggia i visitatori se non si ha la prenotazione. Poco lontano dal Quirinale, segnaliamo un altro singolare evento: «Una mostra impossibile» (www.caravaggio.rai.it) realizzata dalla Rai ai Mercati di Traiano, in Via IV novembre, dove si può ammirare, dentro una cornice archeologica piena di fascino, l’intera produzione caravaggesca con alcune gigantografie dei quadri realizzati in alta risoluzione e proposti con criteri di luminosità come difficilmente si può osservare ammirando le opere reali. Anche la serie di conferenze sul Caravaggio, con i maggiori esperti nazionali, programmate al Palazzo delle Esposizioni di Roma, è un’ulteriore conferma del ciclone artistico che si è abbattuto su Roma in questi tempi. Ad ascoltare come dipingesse Caravaggio, i suoi temi religiosi, i simbolismi e i restauri, si può attendere anche due ore in fila prima di entrare in sala. Se non è amore questo per Caravaggio!



Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017