Caritas antoniana, 30 anni di solidarietà
Da molti anni i lettori del Messaggero di sant’Antonio-edizione italiana per l’estero trovano una o più pagine dedicate agli interventi e ai progetti sociali realizzati nel mondo dalla Caritas antoniana. Quest’anno celebriamo il trentennale di quest’opera fondata nel 1976, anche se alcune iniziative caritative, come l’opera «Pane dei poveri», erano poste in risalto già nel primo numero del nostro mensile, uscito nel gennaio del 1898. «Senza una parola su di essa – leggiamo nell’editoriale –, il nostro periodico mancherebbe del suo fine principale».
L’Italia stava attraversando, per ragioni economiche e politiche, anni difficili che causarono la fuga dalle sue terre di centinaia di migliaia di connazionali per trovare lavoro e migliori prospettive di vita all’estero. Difficoltà e situazioni sociali che si rinnovarono dopo la fine delle due guerre mondiali, incrementando le iniziative di solidarietà dei frati del Messaggero di sant’Antonio. Nel 1947, oltre al «Pane dei poveri», distribuivano «minestre» e, dal 1948 al 1976, anche la legna a più di 500 famiglie povere. Negli anni Sessanta-Settanta avvennero alcuni gravi eventi come le alluvioni del Polesine e di Firenze, il terremoto del Belice e del Friuli. Ma emersero altre gravi emergenze legate al fenomeno della fame e della miseria di alcuni Paesi dell’Asia e dell’Africa, che spostarono l’attenzione caritativa dei frati oltre i confini nazionali. Nacque così, nel 1976, la Caritas antoniana la quale, allargando l’aiuto ai bisogni dei Paesi del terzo mondo, scelse come linee guida l’unitarietà dei suoi interventi e l’impegno di occuparsi degli ultimi non solo con interventi di assistenza ma soprattutto di promozione sociale. Una scelta operativa che si caratterizzò ulteriormente negli anni Ottanta-Novanta.
Da allora, per la Caritas antoniana raggiungere gli ultimi significa individuare le zone più depresse di un Paese povero e, all’interno di queste zone, aiutare le persone più emarginate: i bambini rispetto agli adulti, le donne rispetto agli uomini, gli indigeni rispetto al resto della popolazione. Sostenere non «interventi a pioggia» ma progetti richiesti, organizzati e sentiti dalla gente, significa coinvolgere la popolazione nella realizzazione e nel recupero delle risorse, evitando le imposizioni di modelli di sviluppo dettati dal mondo istituzionale. Ogni popolo ha in sé la forza del proprio riscatto e meglio d’ogni altro conosce i propri bisogni e limiti. Preferire progetti piccoli e sostenibili, evitando le realizzazioni lontane dal livello di sviluppo e dalla sensibilità della gente, vuol dire preferire la piccola scuola al grande collegio; il piccolo ambulatorio polivalente al dispendioso ospedale, i laboratori artigianali piuttosto che la fabbrica con tecnologie non facilmente disponibili. Sono preferiti i progetti di sviluppo e non quelli assistenziali, per abbattere le cause della povertà e offrire alle persone i mezzi per camminare con le proprie gambe. Nei casi d’urgenza, quando le soluzioni sono difficili e lontane rispetto alle necessità di alleviare la sofferenza, l’intervento di assistenza è comunque assicurato, come nei casi di guerre o catastrofi naturali. Agire, infine, nelle stesse zone con più progetti, permette di eliminare più cause di povertà, agevolando uno sviluppo complessivo della persona. I progetti multipli sono anche i più sicuri perché si basano su rapporti consolidati con le persone del posto e con una conoscenza più profonda dei problemi.
In questi ultimi anni, i frati responsabili della Caritas antoniana hanno compiuto ulteriori passi per arrivare alle cause prime della povertà, cercando di coalizzare forze già presenti nel terzo settore; usufruendo, quando era possibile, dell’aiuto di fondi internazionali e delle reti diocesane; sviluppando il modello del microcredito per alcuni progetti di sviluppo; affidando la raccolta fondi alla Banca Etica. Sono scelte che hanno guidato la realizzazione dei 155 progetti realizzati nel 2005 nei settori della scuola, del lavoro, della salute, dell’acqua e della casa. Sono settori primari che consentono lo sviluppo della persona e che orienteranno l’attuazione dei nuovi progetti che presentiamo proprio in questo numero della rivista.
«Credo che la Caritas antoniana sia un modello cresciuto lentamente, che fa cose grandi senza troppo rumore – scrive Giulia Cananzi, la giornalista che ha seguito l’evolversi di quest’opera –. Mi sono sempre stupita della grande quantità di gente aiutata e dell’estrema naturalezza dei modi. Il timone è stato l’ascolto dei missionari, quelli più vicini alla gente. La loro creatività diventava la nostra, e anche il loro aggiornamento nei modi di aiutare. La libertà, l’immediatezza, la concretezza, la semplicità mi hanno sempre colpito. Questa, credo, è stata ed è tutt’oggi la forza della Caritas antoniana».