Caro nipote ti scrivo
Alcuni giorni fa sono rimasto affascinato da una lettura. Una lettera aperta di Umberto Eco, rivolta al suo piccolo nipote sul tempo che verrà. Una missiva – alcuni di voi l’avranno letta – per entrare in dialogo con una generazione che sta crescendo con ritmi e strumenti culturali molto veloci e frenetici, sicuramente diversi dai nostri. È sotto gli occhi di tutti. Pensate alle abitudini dei nostri figli, dei nostri nipoti attaccati ai computer e bombardati da continue informazioni… Riconoscersi risulta difficile, tanto è mutata la società negli ultimi anni.
Vorrei anch’io, dunque, scrivere a un nipote. A un nipote che ha una disabilità, per regalargli qualche consiglio a partire dalla mia esperienza, dalla mia vita vissuta, perché anche lui possa fare altrettanto, se non di più.
«Caro nipote, ritorno ai banchi di scuola, ai tempi in cui frequentavo le scuole speciali. Sai che cosa erano? Immagina delle scuole costruite e pensate esclusivamente per persone con disabilità, in cui l’unico normodotato è la maestra, divisa tra deficit e abilità davvero differenti tra loro… Forse oggi il tuo compagno di banco ti aiuta a fare i compiti insieme con la tua insegnante di sostegno e poi ti porta a giocare a calcio, a basket o a quello che più ti piace. Tutto ciò non è scontato. È il frutto di anni di fallimenti, prese di coscienza, riflessioni, lotte e conquiste che ci hanno portato fin qui, a un’immagine della disabilità capace di contaminazioni, incontri e confronti con altre discipline ed esperienze. Se oggi c’è ancora qualcosa da fare è proprio recuperare quella voglia lì, il desiderio cioè di non dare nulla per assodato e la capacità di andare sempre oltre, per arrivare, finalmente, a non dover più parlare di integrazione, ma semplicemente a viverla. Sapere quello che c’è stato prima di te è importante. La memoria storica, come ricorda Umberto Eco, è fondamentale per il futuro, tuo e anche mio, perché mi piace pensare che la mia opera possa proseguire in te, nelle tue battaglie e nei tuoi traguardi.
Di certo non ti mancheranno gli strumenti: oggi l’innovazione è a portata di click. Mi permetto però di dirti che questo non basta, perché non è su Facebook che incontrerai lo sguardo degli altri e, soprattutto, non è lì che ne sentirai il peso su di te. Ricordati che, se qualcuno ti guarderà negli occhi e tu abbasserai lo sguardo, avrai perso; ma se tu ricambierai il suo sguardo allora avrai vinto. E su questo, credimi, non cè ausilio o tecnologia che tenga. Non avere paura del tuo corpo, anche se è deforme. Usalo, mettilo sempre al centro degli altri e sappi essere artista di te stesso. Non vergognarti dei tuoi desideri. Ricordati che sei una persona completa, che potresti anche innamorarti e far innamorare. Il mondo che noi adulti lasciamo in mano a voi ragazzi non è certo “il migliore dei mondi possibili”. Ma questo serve a ricordarti che cos’era qualche anno fa, perché senza conoscere il nostro passato non possiamo cambiare il nostro presente. Ciao e buona vita!».
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