Cattolici in Cina: una storia di martirio

Nonostante le feroci persecuzioni, dall’avvento di Mao a oggi, il cristianesimo in Cina ha una sua vitalità e un forte fascino. In un «libro rosso» le testimonianze di tanti perseguitati.
24 Gennaio 2007 | di

«Padre Antonio e due monaci che lo assistevano nel lavoro vennero arrestati. Spogliati dei loro vestiti, nonostante il freddo pungente, furono appesi a un albero, con i pollici e gli alluci legati insieme dietro la schiena. I soldati iniziarono a sparare sopra le loro teste raffiche di fucilate, con l’intento di spaventarli e costringerli a rivelare l’esistenza e il nascondiglio di presunte scorte di armi. Tuttavia non vi erano armi e le truppe se ne andarono da Yang-Kia-Ping. Però, prima di partire, le autorità comuniste lasciarono alcuni loro uomini con il compito di tenere d’occhio i monaci. Come scrisse padre Stanislao Jen, storico della comunità: “I monaci erano ora come agnelli ammutoliti scortati al macello”». Così James T. Meyers narra, in Nemici senza fucile (Jaca Book, 1994), l’inizio della drammatica avventura dei trappisti del monastero di Yang-Kia-Ping, protagonisti di un’autentica Via crucis, al termine della quale – siamo nell’estate del 1947 – ben 33 monaci persero la vita per le umiliazioni e le torture subite. Una storia emblematica dell’ostilità verso i cristiani in Cina.
Oggi, a sessant’anni da eventi come quello, è possibile tracciare un quadro di cosa è stata la persecuzione dei cattolici in Cina? Per lunghi anni l’ipoteca ideologica di marca marxista ha limitato pesantemente la possibilità di conoscere storie di martirio cristiano, sebbene nei primi anni Cinquanta siano uscite una serie di testimonianze di prima mano di missionari espulsi dalla Cina. Il mito maoista ha continuato a resistere, fino (quasi) ai giorni nostri.
Un contributo decisivo, ancorché non esaustivo, a una rilettura storica più obiettiva lo offre un volume di recente pubblicazione, Il libro rosso dei martiri cinesi, curato dalla redazione di «Mondo e Missione» e da alcuni missionari del Pime per le Edizioni San Paolo. Vi sono raccolte, per la prima volta a disposizione del grande pubblico, testimonianze autobiografiche di cattolici che hanno vissuto sulla propria pelle la brutalità di chi si è adoperato – invano – per estirpare dal suolo cinese la fede in Cristo.
Ad aprire il libro è la splendida autobiografia di padre Tan Tiande, sacerdote novantenne, unico vivente tra i personaggi citati. Originario di Guangzhou (Canton), ha passato trent’anni (dal 1953 al 1983) tra prigioni e campi di lavoro nell’estremo Nord della Cina. Ho incontrato padre Tiande durante un viaggio in Cina nell’estate del 2005 e mi ha colpito profondamente per la serenità che trasmette; nonostante le terribili prove che ha dovuto affrontare, mai dalle sue labbra sono uscite espressioni di odio o desiderio di vendetta.
Anche padre Giovanni Wong, di Hong Kong, morto alla fine del 2005, aveva trascorso venticinque anni di prigionia. Il terzo documento, raccolto nel libro con il titolo Pioggia di primavera, racconta la vita di un sacerdote, padre Li Chang (morto nel 1981). Autore è il cugino Li Daoming, anch’egli prete.
Di particolare interesse è anche il testo autobiografico di una giovane cattolica, Geltrude Li, fatta bersaglio dell’ostilità maoista in quanto cattolica fervente e amica dei missionari. Il suo scritto è uscito dalla Cina in modo rocambolesco: l’autrice, infatti, ha scritto a mano pagine fittissime su fogli di carta modellati come la suola di una scarpa. Un missionario del Pime, padre Giovanni Carbone, è riuscito a portarli fuori dalla Cina nascondendoli nelle tradizionali scarpe di tela che calzava al momento della sua espulsione, nei primi anni Cinquanta. È così che quelle preziose pagine sono giunte sino a noi. Il racconto della Via crucis dei già citati monaci di Yang-Kia-Ping chiude il volume.
Diverse nella forme e nelle modalità, le testimonianze concordano sul fatto che, con l’arrivo al potere del comunismo, per i cattolici (ma lo stesso vale per i protestanti e, in misura diversa, per i fedeli di altre religioni, a cominciare dai musulmani), la persecuzione diventa sistematica, «parte di un progetto perverso», come scrive padre Giancarlo Politi, missionario e sinologo, che aveva per obiettivo «la soppressione e l’eliminazione della religione – e quindi anche della Chiesa – assumendo forme di violenza estrema».
Impossibile quantificare le vittime di tale persecuzione. Padre Politi annovera nel suo libro Martiri in Cina. Noi non possiamo tacere (Emi, 1998) ben 1.241 nomi di altrettanti testimoni della fede trucidati a partire dall’instaurazione del comunismo. Ma sappiamo, per unanime convinzione, che essi sono molti, molti di più.

Prima di Mao una Chiesa forte e viva

Al momento della proclamazione della Repubblica popolare cinese, il 1° ottobre 1949, la Chiesa cattolica nel Paese era una presenza certo minoritaria, ma con una sua vivacità. Si contavano circa 3 milioni e mezzo di battezzati (190 mila dei quali catecumeni); i sacerdoti erano quasi 6 mila, le suore oltre 7 mila, oltre 300 i seminari diocesani e religiosi. Vi erano 20 arcidiocesi; 85 diocesi e 34 prefetture apostoliche. La Chiesa cattolica contava anche numerose opere sociali: ospedali e case di ricovero; dispensari; orfanotrofi; lebbrosari; università; centinaia di scuole; una trentina di tipografie; una cinquantina di giornali e riviste.
Con la conquista del potere, il Partito comunista si impegnò fin da subito in un’intensa azione di propaganda per inculcare l’ateismo. E ben presto diede il via alla repressione di quelle che considerava «attività contro-rivoluzionarie», comprese quelle religiose. I credenti erano giudicati pericolosi e traditori della nazione perché facevano riferimento al Papa, alla Chiesa universale, e rifiutavano la pretesa dell’ideologia comunista di essere la nuova religione. Scrive padre Wong: «Dalla sveglia al mattino fino al riposo della sera, eravamo costretti a radunarci, sette od otto volte al giorno, di fronte all’immagine di Mao, e inchinarci molte volte in segno di venerazione. Era quasi un atto religioso! Davanti a questa immagine eravamo obbligati a chiedere perdono dei nostri crimini gridando: “Noi siamo tutti colpevoli”. E alzando le nostre teste davanti alla sua immagine dovevamo gridare tre volte: “Evviva Mao!”, augurandogli rispettosamente lunga vita».


Una generazione spazzata via
Il risultato di tale folle politica anti-religiosa fu che migliaia e migliaia di persone – laici, preti e vescovi – subirono arresti e detenzioni lunghissime e pesanti. Molti vennero sottoposti a lavori forzati in regioni, come il Nord della Cina, dove le temperature invernali sfiorano i 40 gradi sotto zero. Pressioni psicologiche fortissime (con sessioni di lavaggio del cervello e di indottrinamento) e torture fisiche brutali fecero il resto.
Il maglio della persecuzione si abbatté con particolare violenza sulla Chiesa cattolica cinese. Praticamente un’intera generazione di preti e di religiose è stata spazzata via: uccisi o espulsi i missionari stranieri, incarcerati molti sacerdoti, per circa trent’anni i seminari sono rimasti chiusi e la vita pastorale completamente paralizzata.
E oggi? «La situazione è assai complessa – scrive il cardinale Joseph Zen, vescovo di Hong Kong nella prefazione a Il Libro Rosso dei martiri cinesi –. Il regime comunista, responsabile delle sofferenze descritte in questo libro, è ancora al potere; pur avendo rigettato la politica radicale del maoismo, non ha mai chiesto perdono per le violenze inflitte ai credenti e a tantissimi altri cinesi innocenti».
La causa politica ultima della persecuzione contro i cristiani – ossia il sistema del partito unico, che governa ininterrottamente da quasi sessant’anni, senza mandato popolare – rimane intatta, così come la pretesa del Partito di controllare ogni aspetto della vita individuale e sociale. Continua il cardinale Zen: «Se certamente non ci sono più le persecuzioni sistematiche e in larga scala del periodo maoista, tuttavia la sofferenza della Chiesa non è affatto terminata. Le comunità e i vescovi della Chiesa ufficiale o “aperta”, cioè riconosciuta dal governo, sono sottoposti a continui controlli, interferenze, abusi e molestie. Quindi le comunità della Chiesa ufficiale e i suoi leader non sono affatto liberi, come sembra a qualche osservatore superficiale. Le comunità chiamate “clandestine” o “sotterranee”, che rifiutano (e a buon diritto) di sottomettersi alla politica religiosa del governo, sono sottoposte a continui soprusi e persino violenze, cosicché non sarebbe esagerato parlare, in questi casi, di persecuzione». E conclude: «Anch’io, come i protagonisti di questo libro, mi sono chiesto il perché di tanta sofferenza e violenza. La nostra fede in Dio, anche se non sempre sembra darci risposte immediate, rimane l’unico modo per conservare la speranza e la forza».



Zoom. Una Chiesa sofferente
«Con speciale vicinanza spirituale, penso anche a quei cattolici che mantengono la propria fedeltà alla Sede di Pietro senza cedere a compromessi, a volte anche a prezzo di gravi sofferenze». Più di un commentatore ha letto in queste parole di Benedetto XVI durante l’Angelus di Santo Stefano un riferimento nemmeno troppo velato alla situazio-ne della Chiesa cinese. La condizione di persecuzione dei cattolici cinesi, ancorché condotta in modalità più sofisticate di un tempo, preoccupa la Santa Sede. E non da oggi: nel corso dell’ultimo mezzo secolo si sono susseguiti interventi e pronunciamenti dei vari Papi in difesa della libertà religiosa. Sbaglierebbe, però, chi pensasse che l’obiettivo delle relazioni diplomatiche con Pechino sia una via per migliorare la situazione dei credenti.
Al contrario, molti osservatori concordano che vada prima salvaguardata la libertà di culto e di espressione della fede (in quanto prioritaria) e, poi, realizzato l’accordo sul versante diplomatico.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017