Catturiamo i giovani!

«Se riusciamo a mantenere vivo il sentimento d’appartenenza e di italianità, il nostro idioma, inteso come lingua di cultura, potrà assicurare la sua continuità».
20 Marzo 2006 | di

MONTREAL

La lingua italiana insegnata e praticata tra gli italiani che vivono all";estero ha avuto nel tempo momenti e motivi diversi per la sua affermazione ed evoluzione, ma tutti legati al fenomeno migratorio tanto che, per un lungo periodo, quasi un secolo, era conosciuta come lingua d";emigrazione perché era un misto di parole italiane distorte con inflessioni di vari dialetti, che si parlava esclusivamente in famiglie o tra famiglie. Ad un certo punto, per ragioni diverse, si fece strada l";idea di ripulirla o di sostituirla creando dei corsi di lingua italiana. Ad esempio, a Montréal si cominciò a studiare l";italiano per una ragione molto importante: il grande flusso migratorio italiano dopo la Seconda Guerra mondiale, diretto in parte anche verso il Canada e specialmente verso Montréal, a quei tempi considerata la metropoli del Canada. Con il passare degli anni, ci si accorse che in seno a tante famiglie iniziavano a sorgere incomprensioni che sfociavano in dissidi tra padri e figli. Il fatto era che mentre i figli a scuola imparavano una delle lingue del Paese, inglese o francese, i genitori con la loro ridotta istruzione erano rimasti ancorati a quella specie di «italiese» che per i giovani diventava sempre più incomprensibile. Fu allora che il parroco della prima chiesa italiana del Canada, padre Andrea Maria Cimichella, che più tardi diventò anche vescovo ausiliare di Montréal, ebbe l";idea di organizzare dei corsi di lingua italiana, al sabato, per tutti i ragazzi d";origine italiana che frequentavano le varie scuole in maniera che imparando un po"; d";italiano potessero comunicare con i genitori in modo più adeguato. E così nacquero i corsi di lingua italiana del sabato, gestiti dalla Commissione scolastica cattolica di Montréal. Questi corsi ebbero un successo tale che più tardi fu istituito il PICAI che diventò l";ente gestore e si fece carico dell";organizzazione dei corsi su più vasta scala. Questi corsi erano finanziati dal Governo italiano.
Oggi, dopo tanti anni di prove lodevoli, visto che l";emigrazione è finita e quella che era considerata lingua d";emigrazione ha cessato di esserlo, per farla sopravvivere e per dare ai giovani un patrimonio importante di conoscenze, occorre trasformarla in lingua di cultura.
Per avere un";idea di questa trasformazione, abbiamo incontrato Maria Luisa Faggian, direttrice didattica delle Scuole di lingua italiana del Canada orientale; una veneta dinamica e attiva, che da un paio d";anni sta svolgendo un importante lavoro di ricerca e organizzazione con il fine ultimo di assicurare questa continuità .
La Riccia. A che punto siamo con la trasformazione della lingua italiana in lingua di cultura?
Faggian.
Siamo in un momento di transizione per cui, proprio perché l";emigrazione italiana verso il Canada è finita, se vogliamo che la nostra lingua continui a sopravvivere e ad espandersi in questo senso, dobbiamo cambiare direzione.
In che modo?
Ormai stiamo esaurendo la spinta emozionale dei padri che per farsi capire inviavano i figli a seguire i corsi di lingua italiana. Adesso dobbiamo spostarci verso i figli, anzi verso i figli dei figli ossia le seconde e terze generazioni le quali, però, parlano le lingue di questo Paese che sono diverse dalla nostra. L";unico patrimonio che hanno ereditato dai padri è il ricordo, ma penso che non basti per assicurare la continuità .
Oltre all";italianità , lei che cosa propone: quali dovrebbero essere le vie da seguire per raggiungere l";obiettivo della cultura?
Io penso che per garantire la continuità  della nostra lingua attraverso il veicolo culturale, occorre agganciarla a istituzioni capaci di renderla accessibile al maggior numero di persone, di pubblicizzarla per far capire l";utilità  che essa può avere in tutti i campi, di agganciarla ad organismi capaci di creare situazioni culturali che possano interessare gli individui.
Quali caratteristiche dovrebbero avere queste istituzioni?
Innanzitutto dovrebbero cambiare atteggiamento nei riguardi dei futuri aderenti a questo progetto. Oggi non ci troviamo più di fronte a persone culturalmente sprovvedute, come una volta. Adesso i figli e i figli dei figli, nella maggioranza dei casi sono persone istruite, con diplomi e lauree non indifferenti, allora occorre saper parlare e far loro capire l";importanza di quello che si intende fare. Creare dei centri focali di elaborazione della lingua come cultura.
Occorre rivolgersi all";intera comunità , cosa non facile ma necessaria per creare una spinta emotiva ancorata alle radici di ciascuno perché da essa nasce la nostra italianità ...
Credo che la nostra lingua debba diventare un veicolo di cultura e di italianità . Cioè riconoscerci come appartenenti oppure originari di un Paese col quale, in un modo o nell";altro, conserviamo legami affettivi, amichevoli, che affondano le radici nelle antiche tradizioni italiane. Ci sono valori, come ad esempio quello della nostra religione, quello della famiglia, di cui non si può prescindere ma ci sono anche manifestazioni che esaltano e rafforzano in un certo modo la nostra appartenenza al ceppo italiano, come la moda, la Ferrari, il calcio, la cucina, ecc., ossia la nostra cultura; che mostrano le nostre radici, e quindi la nostra identità .
A Montréal e in Quebec ci sono vari enti che si occupano di corsi di lingua italiana: il PICAI, la Casa d";Italia, Il Congresso degli Italo-Canadesi, alcune scuole private, ecc. Esiste un collegamento tra questi enti?
Che io sappia, non c";è nessun collegamento tra queste entità  e ciò non contribuisce affatto a portare avanti una causa unitaria. Occorrerebbe che si creasse un Centro di coordinamento per l";insegnamento della nostra lingua in modo che ci fosse un passaggio graduale dalle varie fasi dell";insegnamento. Ad esempio, partendo dalle scuole materne a quelle elementari, il numero di alunni è abbastanza soddisfacente. Quando si passa alle scuole superiori, allora il numero cala in modo impressionante. Ci saranno dei motivi che noi non sappiamo, ma se ci fosse un coordinamento allora si potrebbe arrivare a conoscerne le cause e a prenderne le relative misure correttive. Ad esempio, occorrerebbe rivedere la faccenda dei crediti in maniera che tutti sapessero chi ha diritto ad ottenerli se studia la nostra lingua.
Secondo lei, la lingua italiana è considerata un legame culturale tra gli italiani all";estero?
Per il momento, questi legami sono molto deboli. Se entriamo nel circuito delle associazioni, possiamo dire che c";è una propensione a mantenerli in una maniera più solida ma con l";arrivo delle nuove generazioni, che parlano altre lingue, dobbiamo fare in modo che non si arrivi al melting pot ossia alla perdita totale delle nostre conoscenze linguistiche per adattarsi alle lingue locali. Significherebbe voler rinunciare alla nostra identità . Perciò occorre muoversi con decisione coinvolgendo tutti coloro che guardano alla lingua italiana con la simpatia di chi, in un Paese straniero, si sente ancora un po"; anche italiano perché nessuno può cancellare l";origine delle sue radici.
Da anni c";è l";idea di creare una scuola tutta italiana a Montréal. Lei che ne dice?
Se si potesse realizzare un progetto del genere, sarebbe un grande vantaggio per tutti perché si verrebbe a creare un polo culturale solido in un contesto che tende a disperdere la lingua e la cultura in tanti rivoli fini a se stessi.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017