C’È UNA DONNA CONTRO LA FAME
Una donna in prima linea contro la fame nel mondo. Catherine Bertini, 46 anni, italoamericana, è dal 1992 direttore esecutivo (prima donna ad esserlo) del Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite. Su richiesta del segretario generale delle Nazioni Unite, è anche membro del comitato di alte personalità sullo sviluppo in Africa.
Dalla sede di Roma, dirige l'organizzazione, che ha un duplice scopo: prevenire la carestia e aiutare le popolazioni a diventare autosufficienti, fornendo loro i mezzi per uscire dalla povertà e dalla fame che colpisce una persona su sette. Con un bilancio annuale di 1 miliardo e duecento milioni di dollari e i suoi 4 mila dipendenti, il Pam promuove e organizza interventi di emergenza e programmi di sviluppo che vanno a beneficio di 50 milioni di persone in più di 90 paesi.
L'abbiamo incontrata a Roma, nella sede della Fao, e ben volentieri ha accettato di rispondere alle nostre domande.
Msa. La sua è una delle agenzie più grandi dell'Onu, con un bilancio annuale di un miliardo e duecento milioni di dollari. È sufficiente a fronteggiare le crisi e a sfamare il mondo?
Bertini. No. Noi riusciamo a raggiungere cinquanta milioni di persone ogni anno - che sono tante - , però nel mondo ci sono oltre ottocento milioni di persone malnutrite e povere. Noi riusciamo a soccorrere la maggior parte dei profughi provocati dalla guerra e dai disastri naturali, ma sono solo una piccola parte di quanti vivono in estrema povertà e senza cibo sufficiente.
Lei è un esempio, e non l'unico, di presenza femminile ai vertici di organizzazioni internazionali. Pensa che le donne costituiscano un ulteriore potenziale per la cooperazione nel mondo?
Credo che le agenzie internazionali debbano avvalersi di tutti i talenti disponibili e questi non sono certo solo maschi. È quindi positivo che un numero maggiore di donne venga assunto nelle agenzie, perché hanno molto da offrire. Trovo importante che cinque delle agenzie dell'Onu siano dirette da donne: quelle per il cibo, per la popolazione, per i bambini, per i rifugiati e per l'ambiente. Credo che in questi campi l'apporto delle donne sia fondamentale al conseguimento di un reale successo. Non parlo solo delle donne ai vertici delle organizzazioni, ma di quelle che lavorano ogni giorno nei paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America latina e che cercano di migliorare le condizioni delle loro famiglie e delle loro comunità .
Qual è in questo momento la situazione più drammatica?
Quella dello Zaire orientale. C'è un milione di persone sbandate, che si nascondono e cercano di fuggire dalla violenza, che muoiono per la fame; altre che non hanno cibo e acqua e vivono in condizioni sanitarie precarie.
Qual è la situazione delle donne in Africa?
In Africa le donne lavorano molto duramente, probabilmente più duramente che nel resto del mondo: le donne, infatti, producono l'80 per cento del cibo del continente.
Ci sono anche altre crisi...
Sfortunatamente ve ne sono molte altre. Non riusciamo a raggiungere le persone in difficoltà nel Sudan meridionale. Ci sono focolai di malnutrizione in Liberia, in Sierra Leone e in generale in tutta l'Africa occidentale subsahariana. Non abbiamo sufficienti informazioni su quanto accade in Afghanistan. C'è stata una grande alluvione in Nord Corea e quindi ci sono molte persone disperate per la mancanza di cibo. Insomma, ci sono troppe crisi e troppe persone a rischio.
Qual è il futuro dell'aiuto alimentare?
Gli interventi di emergenza continueranno: nessuno accetterebbe la responsabilità delle morti per fame nei casi eccezionali, quando serve fornire cibo a chi rischia la morte. Tuttavia, per l'aiuto alimentare allo sviluppo, dobbiamo ancora costruire un consenso, per insegnare che occorre dare in aiuto ai poveri del mondo tutto quello che può contribuire a renderli autosufficienti.
Continueranno i contributi dei paesi ricchi?
Il programma alimentare mondiale dell'Onu continua a mantenere alti i contributi, specialmente per le emergenze. La nostra più grande sfida è però di convincere i paesi ricchi a continuare l'aiuto allo sviluppo.
I poveri, comunque, non sono solo nel terzo mondo. Qual è la situazione nei paesi opulenti?
Anche nei paesi ricchi c'è povertà e malnutrizione. A non esserci sono i casi più acuti. Certamente non si vede la gente morire di fame. È una differenza sostanziale tra il mondo sviluppato e quello in via di sviluppo.
Il papa ha detto che non sempre la democrazia è di per sé sufficiente a curare le ingiustizie. Qual è la sua opinione?
La democrazia è alla base di qualunque iniziativa che speri nel successo. Nei paesi dove c'è democrazia, c'è meno malnutrizione che in quelli dove la democrazia è assente.
La questione della sovranità degli stati costituisce un limite all intervento internazionale. C'è una reale coscienza del diritto alla cosiddetta ingerenza umanitaria?
Noi siamo un'agenzia dell'Onu e dobbiamo rispettare le sovranità degli stati. Però il segretario generale può chiederci di entrare in un paese e di lavorare, anche se il governo locale non ci ha chiamati. È successo in Somalia, dove non esisteva un governo che potesse chiamarci e potrebbe accadere anche nello Zaire orientale, dove però sembra che il governo possa chiedere assistenza.
Il Programma alimentare mondiale ha varato di recente un progetto di sensibilizzazione nelle scuole italiane in collaborazione con il ministero della Pubblica istruzione. Cosa vi ha spinto e che risultati attendete?
Penso che sia molto importante trovare il modo di educare i bambini sul tema della fame nel mondo. Quando loro diventeranno adulti, spingeranno i loro governi a fare qualcosa. I bambini sono estremamente creativi e hanno molta percezione dei bisogni degli altri. Se prendono adesso coscienza di questi problemi, potranno influenzare nel futuro le relative soluzioni. l
LA POVERTà È DONNA?
La povertà e la fame colpiscono in particolar modo le donne. Soprattutto in Africa, in Asia e in Sudamerica si ripete un tragico paradosso: sono le donne che coltivano e procurano la maggior parte del cibo necessario alla sopravvivenza della famiglia, ma sono anche le più malnutrite e le peggio assistite dal punto di vista sanitario.
La denuncia è contenuta nel rapporto Nutrire il mondo, pubblicato dalla Fao per il vertice di Roma dello scorso novembre. «Le donne - è scritto - coltivano la maggior parte del cibo. Nell Africa subsahariana e nelle Antille, per esempio, producono dal 60 all'80 per cento dei prodotti alimentari di base, e in Asia svolgono oltre la metà del lavoro nelle piantagioni di riso». Non solo. Se guadagnano, le donne consacrano una parte maggiore del loro reddito, rispetto agli uomini, all'acquisto di cibo per la famiglia.
Ma nonostante questo, «gli uomini, in moltissimi paesi in via di sviluppo, tagliano completamente fuori le loro compagne dalle decisioni». Le guerre, poi, e le migrazioni «contribuiscono alla femminilizzazione della povertà ».
Malgrado il loro contributo essenziale alla sicurezza alimentare, alle donne è molto spesso negata la proprietà della terra, l'accesso all'educazione, al credito e alla formazione. Nei paesi in via di sviluppo solo il 58 per cento delle donne sa leggere e scrivere - in quelli meno sviluppati solo il 34 per cento - , contro il 79 per cento degli uomini. Al vertice della Banca mondiale si è sottolineato, però, che gli investimenti nell'educazione femminile sono quelli che hanno il più alto rendimento. La scolarizzazione accresce la produttività e contribuisce alla diminuzione della mortalità infantile. C. Z.