Cent’anni vissuti intensamente

La comunità missionaria scalabriniana rivisita la storia e riflette sulle nuove risposte che è chiamata a dare agli emigranti del terzo millennio.
02 Dicembre 2000 | di

Ginevra
La celebrazione del Giubileo dell'anno 2000 coincide con la ricorrenza del primo centenario della fondazione della Missione cattolica di Ginevra. Era infatti il mese di maggio dell'anno 1900 quando giunse in questa importante città  svizzera il primo missionario bonomelliano, don Luigi Motti. Alcuni documenti storici testimoniano che allora erano già  circa 18.000 gli italiani emigrati a Ginevra. Le condizioni di vita nelle quali si trovavano a vivere i nostri connazionali erano purtroppo assai precarie.

 Accoglienza e solidarietà 

La presenza dei padri missionari divenne fondamentale riferimento per tanti emigrati: in loro, infatti, essi cercavano accoglienza e solidarietà  per riuscire a superare più facilmente le numerose e talvolta gravi difficoltà  di ordine economico-finanziario, sociale, culturale e d'integrazione interreligiosa che erano costretti ad affrontare. Gli emigrati italiani, infatti, si trovavano costretti a confrontarsi con un contesto sociale e religioso totalmente differente da quello d'origine. E non mancavano persone e discutibili organizzazioni che tentavano di approfittare della condizione di minoranza e di bisogno degli emigrati italiani.
Nel 1903 fu inviato a Carouge un secondo missionario, don Adolfo Dosio, il quale succedette a don Luigi Motti nella guida della Missione di Ginevra. Il primo obiettivo della Missione, in quei primi anni, era quello di rendersi presente, visibile, nel tentativo di diventare centro di riferimento, luogo di aggregazione, spazio di accoglienza, dove gli emigrati italiani potessero ritrovarsi familiarmente per coltivare amicizie, per non dimenticare le tradizioni e le abitudini d'origine, per ascoltare parole di sostegno e di incoraggiamento nella propria lingua nativa, e anche per pregare.
Di fondamentale importanza risultò anche, a fianco dei missionari scalabriniani, l'arrivo nel 1905 delle suore francescane di Susa che operarono, nel silenzio e nella dedizione più completa, a favore delle famiglie dedicandosi soprattutto alla formazione culturale e religiosa dei ragazzi.
Nel 1911 fu fondato il «Circolo Operaio G. Bonomelli», costituito inizialmente da una sessantina di soci. Il Circolo si preoccupava di organizzare attività  formative e ricreative che contribuissero a salvaguardare le tradizioni culturali e religiose degli italiani. Il Centro divenne presto un importante punto di riferimento culturale e di aggregazione sociale.
Contemporaneamente, don Dosio si preoccupò di dar vita, già  nel 1908, ad un piccolo orfanotrofio capace di accogliere una trentina di ragazzi. Ben presto, però, si dovettero cercare spazi più ampi. Grazie alla grande capacità  organizzativa dei missionari e alla generosità  di tanti connazionali si riuscà­ a venire incontro alle tante richieste di aiuto e di sostegno che continuavano ad arrivare alla Missione, soprattutto durante il periodo della prima guerra mondiale.
Le difficoltà  economiche provocate dai disastri bellici portarono con sé, negli anni 1920-1930, nuove gravi difficoltà  che non riuscirono, tuttavia, a rallentare la gara di solidarietà  e generosità  che i missionari seppero suscitare e incoraggiare. Ulteriore testimonianza di tale spirito fu l'inaugurazione di un ospizio, dedicato a Vittorio Emanuele III nel suo 25° anniversario di regno, che si prefiggeva lo scopo di accogliere tutte quelle persone che, a causa anche delle nuove e più severe leggi sull'emigrazione, vennero a trovarsi in ancor più gravi difficoltà  economiche.
Don Dosio, affidandosi esclusivamente al sostegno della Provvidenza, continuò ad impegnarsi in questa fondamentale opera di sostegno e di assistenza di tante persone anziane, povere o rimaste sole. Nell'inaugurare la sua ultima opera, l'ospizio di Carouge, scrisse: «Questa nuova casa vogliamo dedicarla alla Provvidenza, perché dalla Divina Provvidenza aspetteremo gli aiuti a mezzo dei nostri benefattori». In questa casa egli accoglieva le ragazze che non avevano ancora trovato un lavoro e le donne povere e vecchie che non avevano più la possibilità  di lavorare o di essere accolte in famiglia.
Qualche anno prima della morte del religioso bonomelliano, avvenuta nel 1942, la Missione passò nelle mani della famiglia missionaria degli Scalabriniani, che tutt'oggi la dirigono. Padre Enrico Larcher fu il primo missionario scalabriniano a guidare la Missione di Ginevra. Oggi la città  continua ad essere un'importante città  d'emigrazione: basti solo pensare che lo scorso anno la presenza degli stranieri raggiungeva il 38% della popolazione, e che in quest'ultima parte dell'anno si calcola che si sia raggiunto già  il 43%.

Quale futuro per la Missione?

Le problematiche che oggi caratterizzano il fenomeno migratorio, tuttavia, si sono radicalmente differenziate. Per questa ragione, la Missione di Ginevra, nel festeggiare i 100 anni di attività  s'interroga anche sulle nuove risposte da dare agli emigrati del terzo millennio.
«Tutte le attività  avviate a suo tempo - spiega l'attuale parroco della Missione Cattolica di Ginevra, padre Alessandro Curotti - per la comunità  italiana specifica, attualmente sono aperte alle altre etnie, in modo particolare a quelle che si ritrovano in una situazione di maggior bisogno». Per questa ragione, dunque, la Missione è concentrata oggi soprattutto nell'assistenza sociale e logistica dei nuovi emigranti che provengono in prevalenza da Paesi latinoamericani e africani. Si cerca, in particolare, di agevolare la prima assistenza e accoglienza mediando per queste nuove famiglie emigrate la sistemazione in alloggi a basso costo d'affitto.
Da un punto di vista di assistenza pastorale i missionari scalabriniani stanno lavorando con preferenziale attenzione per favorire una sempre maggiore integrazione interetnica. Vivaci, inoltre, risultano le attività  di carattere catechistico-formative che puntano a far maturare tra gli emigrati uno spirito sempre più ecumenico. «Questa presenza multietnica, in un certo qual senso - spiega padre Alessandro - interessa anche la nostra Missione che è una Missione linguistica, perché tra quelli che si rivolgono a noi, sempre di più è presente la componente di altre etnie».
In quest'anno centenario, la Missione ginevrina si è arricchita della presenza di una nuova comunità  religiosa: le suore Orsoline di Verona. Si tratta di tre suore, un'italiana e due malgasce, che, raccogliendo l'eredità  delle suore francescane di Susa, si inseriscono in questa preziosa opera di assistenza e d'integrazione sociale e culturale tra gli emigrati.
L'anniversario è stato festeggiato promovendo pellegrinaggi e incontri di preghiera, proponendo tavole rotonde di carattere storico, mostre fotografiche commemorative e un'interessante pubblicazione che consente di recuperare il percorso compiuto in tanti anni. Al di là  di tutto, però, la ricorrenza si è dimostrata un'occasione preziosa per riscoprire una lunga storia intessuta di vite concrete e semplici di tante famiglie, di missionari e di religiose, dove ciascuno ha donato il meglio di sé, per farsi incontro alle necessità  degli altri, per salvaguardare il patrimonio culturale e religioso proprio e altrui e, soprattutto, per favorire una rispettosa convivenza e integrazione interetnica.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017