Cgie e Comites in via d'estinzione?

La riforma del Cgie e Comites sembrano ipotecare il ruolo e l'attività delle Associazioni. Appello corale a Governo e Parlamento affinché cambino rotta.
14 Gennaio 2010 | di

Treviso
Le Associazioni servono o non servono, e che futuro possono avere? Il retorico quanto provocatorio interrogativo lanciato da Ferruccio Pisoni, già presidente dell’Associazione Trentini nel Mondo, ben riassume il clima di preoccupazione ma anche di disappunto che regna tra le fila dell’associazionismo italiano nel mondo a fronte della riorganizzazione di Comites e Cgie contenuta nel progetto, elaborato dal Comitato ristretto della Commissione esteri, che il coordinatore Oreste Tofani (Pdl) ha avviato alla consultazione. Se ne è parlato di recente anche in un convegno a Treviso dal titolo: «Italiani nel Mondo: Associazionismo, Organismi di rappresentanza e Umanesimo latino» promosso dall’Unaie, l’Unione Nazionale delle Associazioni di Immigrati ed Emigrati, e dalla Fondazione Cassamarca.
L’onorevole Franco Narducci, presidente dell’Unaie e vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati per il Pd, rileva che la riforma degli organismi di rappresentanza, voluti peraltro dall’associazionismo che li ha rivendicati a lungo, li ha promossi e li ha sostenuti, appare – con questo testo uscito dal Senato – «come uno schiaffo proprio all’associazionismo perché le reti associazionistiche che sono state create dagli italiani nel mondo sono il migliore patrimonio che l’Italia vanta. Al sottosegretario agli Affari Esteri, Alfredo Mantica, e al senatore Oreste Tofani – protesta Narducci – contestiamo il depotenziamento dei Comites ridotti al ruolo di organismi che fanno una relazione che poi trasmettono all’InterComites che, a sua volta, la gira al Cie, ovvero il nuovo Consiglio degli italiani all’estero che, a sua volta, la invia al Parlamento italiano. Così vengono meno le funzioni precedenti di rappresentanza dei Comites e del Cgie. Al sottosegretario Mantica chiediamo perciò che abbia maggiore considerazione delle comunità italiane all’estero e, soprattutto delle reti associazionistiche che queste si sono date, anche in Italia, e il cui ruolo resta strategico».
Narducci ritiene che l’associazionismo, al suo interno, debba fare di più per riprogettare il futuro e per affrontare le sfide generazionali. «Qui bisogna prendere atto che si sta facendo parecchio in molte regioni – ammette Narducci –. Lo Stato, dal canto suo, ha promosso la Conferenza dei giovani italiani nel mondo, ma questo non può rimanere un fenomeno episodico. Bisogna costruire un rapporto diverso. Da parte dei giovani, invece, ci vuole maggiore attenzione verso questo patrimonio senza tralasciare le nuove mobilità, cioè quei tantissimi italiani, nuovi emigranti, che vanno all’estero e che rappresentano il volto dell’Italia odierna che non riesce a creare occupazione per persone molto qualificate le quali vengono invece accolte a braccia aperte in altri Paesi del mondo».
«A noi sembra che questo progetto di riforma sia sbagliato nell’impostazione – avverte Rino Giuliano, presidente della Consulta nazionale dell’emigrazione, perché ridurre il ruolo delle associazioni vuol dire anche ridurre il ruolo delle comunità la cui rete è rappresentata proprio dalle associazioni. Queste vivono una fase di rinnovamento. Con il mutare dei tempi hanno già avviato il loro processo di auto-riforma, quindi non è che l’avvenire dipenda da una legge che cambia il Cgie espellendo di fatto l’associazionismo con la modifica dei Comites».
L’avvocato Dino De Poli, presidente della Fondazione Cassamarca di Treviso, invita a riflettere sulla riforma in discussione esortando a «lasciare alle Associazioni la possibilità di esprimere la loro posizione politica»; diffidando dell’iniziativa di portare in Parlamento questioni che il Parlamento non appare in grado di gestire e sulle quali il governo si dimostra tiepido o indifferente perché quando il guasto è fatto, risulta poi difficile ripararlo. Per De Poli la cultura resta comunque l’asset privilegiato per la tutela e la promozione della matrice italiana e latina nel mondo. La Cina stessa che oggi tutti indicano come modello di crescita economica, si è rifatta al Diritto romano. Lo stesso Commonwealth britannico riprende un modello di espansione «latino-romano», con il rispetto delle specificità territoriali seppur coltivate nell’alveo di valori forti e condivisi. Consolidata la propria presenza in Australia e in Canada, dove finanzia decine di cattedre di Italianistica, la Fondazione Cassamarca – aggiunge De Poli – guarda ora con interesse agli Stati Uniti. Se i discendenti degli italiani si integrano senza lingua, perdono l’aggancio con la cultura. Cinquanta convegni in tutto il mondo, organizzati dalla Fondazione, hanno definito gli aspetti e la tipicità dell’Umanesimo latino e della sua incidenza sulle culture locali.
«Dobbiamo ristabilire una linea di continuità tra le generazioni – ammonisce Mario Toros, presidente onorario dell’Unaie e presidente emerito dell’Ente Friuli nel Mondo –. Se muore l’associazionismo, muore l’anima della presenza italiana nel mondo; se muore la lingua, muore la nostra storia. Il ruolo della famiglia diventa perciò strategico; tanto quanto la comunicazione e il passaggio di storia e tradizioni, dai padri ai figli, dai nonni ai nipoti. Anche oggi le nuove generazioni partono, seppure con la valigetta e il computer portatile in mano, ma non è la tragedia dei decenni passati. Anche se la storia è la stessa: una storia gloriosa che afferma i valori e le competenze di un popolo».
Se gli italiani all’estero vanno trattati come gli italiani in patria, per esempio chiarendo l’ancora irrisolta questione del pagamento dell’Ici a carico dei connazionali all’estero, proprietari di casa in Italia – rileva Riccardo Masini dell’Associazione Trevisani nel Mondo – è altrettanto vero che la scuola continua a chiedere testimonianze vive di quell’epopea migratoria che pretende di essere finalmente inserita come materia di studio nei programmi scolastici. Oggi le Associazioni devono guardarsi allo specchio, verificando concretamente la congruenza della propria azione con i valori ispirati dai rispettivi statuti. Essere sussidiarie delle altre istituzioni, sostenere chi è in stato di bisogno, promuovere la cultura italiana tra i giovani, e favorire gli stessi giovani più meritevoli, dare importanza all’attività pionieristica degli anziani, sono tutte tappe imprescindibili di un percorso comune e condiviso che va tutelato e valorizzato.
Giampiero Lecchi della Fondazione Verga di Milano esorta a non dimenticare i migranti di oggi. «Ciò che noi abbiamo preteso all’estero: il rispetto della nostra identità e della nostra cultura come fattore di integrazione e di arricchimento delle società d’adozione, non sia oggi negato a coloro che vedono l’Italia come terra d’accoglienza. Se pretendiamo che la cultura italiana sia difesa e tutelata all’estero, dobbiamo esigere che anche chi viene a vivere in Italia goda di altrettanto rispetto per la propria cultura».
Filippo Luchi dell’Associazione Lucchesi nel Mondo, ricordando il peso maggioritario di questa componente nella storia dell’emigrazione toscana, lamenta questa marginalizzazione dell’associazionismo così come traspare dal progetto di riforma di Cgie e Comites, «proprio adesso che con i tagli agli organismi tradizionalmente votati alla promozione della cultura italiana nel mondo, sono le Associazioni a trovarsi in prima linea nella promozione dei corsi di lingua e cultura italiana, spesso in modo gratuito». La continuità tra le generazioni va oggi assicurata investendo sui giovani – come fa la Lucchesi nel Mondo –: stimolando in loro interessi tali da metterli in relazione permanente con la terra d’origine e producendo indubbie ricadute in termini di ritorno economico e d’immagine grazie a queste relazioni economiche e commerciali.
«Se la politica vuole mettere le mani sull’emigrazione, allora le Associazioni che sono sempre state apartitiche proprio perché rappresentative di tutti gli associati e non di schieramenti, avranno ancora più voce in capitolo per denunciare, criticare ma anche per proporre» – osserva Aldo Degaudenz della Trentini nel Mondo. L’associazionismo partitico è quanto di più deleterio possa insinuarsi nella presenza italiana nel mondo, creando divisioni, attriti e rancori. Il contrario di quanto le Associazioni vanno predicando da sempre, e cioè lavorare per l’unità, la condivisione e la solidarietà super partes». Analoghe preoccupazioni sono condivise anche da Maurizio Tomasi, direttore della rivista Trentini nel Mondo.
L’onorevole Franco Narducci non manca di fare ancora espliciti richiami alla realtà: «Nell’ultimo anno, in Italia, sono stati persi 760 mila posti di lavoro, e 80 mila aziende hanno chiuso. Una famiglia su tre fatica ad arrivare a fine mese, un milione di italiani hanno difficoltà ad assicurarsi il cibo. Una situazione che si riflette anche sui rapporti con gli italiani all’estero perché le minori entrate nelle casse dello Stato italiano, hanno imposto drastici tagli al Cgie, ai Comites, agli enti di assistenza, agli indigenti italiani all’estero, alle iniziative culturali». Un vuoto istituzionale che, giocoforza, lascia ampio spazio di manovra all’azione solidaristica e operativa delle Associazioni: gli unici organismi che anche in tempi di crisi si sanno mobilitare con competenza e concretezza.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017