Che cosa ci riserva il 2014?
Che cosa dobbiamo attenderci dal 2014? La storia non è prevedibile, ma alcuni suoi appuntamenti sì, e su questi si possono tracciare ipotesi. Cominciamo da scadenze già fissate, quelle elettorali.
Elezioni prossime venture
Nel 2014 vanno al voto due giganti tra i Paesi emergenti: l’India e il Brasile. Che hanno in comune alcuni elementi: una «crisetta» negli ultimi due anni, il rallentamento nella crescita e il malessere della classe medio-bassa, frutto del precedente sviluppo che ha cancellato milioni di poveri (e i milioni che restano poveri, le classi più basse, come spesso accade, «voce non hanno»). In India si vota a maggio e il partito del Congresso dovrebbe candidare premier il «principino» Rahul Gandhi, figlio dell’italiana, completamente «indianizzata», Sonia Maino, e di Rajiv, della «dinastia» dei Nehru. A 43 anni, Rahul non mostra però la stoffa del bisnonno, il pandit Nehru fondatore della patria, e potrebbe essere scartato dal partito del Congresso se il suo avversario, il popolare Narendra Modi, 63 anni, che guida i nazionalisti indù, apparisse troppo forte. Se vincesse Modi, ci sarebbe una virata della politica governativa verso un maggior liberismo in economia e una pericolosa accentuazione dell’identità induista.
In Brasile c’è una situazione che mostra qualche somiglianza: si è un po’ appannata la stella dell’ attuale presidenta Dilma Rousseff, che vorrebbe ripresentarsi alle elezioni di ottobre – dopo i campionati di calcio – forte dell’appoggio di Lula, il presidente-operaio che ha lasciato un forte ricordo e tanta nostalgia. In caso di emergenza, non si esclude che lo stesso Lula possa scendere in campo.
Nel maggio 2014 ci sono però delle elezioni che ci coinvolgono direttamente: quelle per il parlamento europeo di Strasburgo. Di fronte alla disaffezione verso le istituzioni europee che, oltre alla solita critica di essere troppo lontane e burocratiche, hanno aggiunto l’esasperante lentezza ad affrontare in modo valido la crisi economica, si teme una caduta verticale della partecipazione e il montare dei partiti populisti, che anche nella nostra Italia non mancano. Eppure, si deve ricordare ai cittadini che è giusto che molte delle decisioni riguardanti il nostro benessere siano prese a Bruxelles: caso mai bisogna eleggere chi vuole modificare un indirizzo basato solo sul rigore fine a se stesso.
Nella seconda parte del 2014 passerà all’Italia per un semestre la guida del Consiglio dei ministri europei e sarà questa l’occasione per ribadire con più forza la politica dello sviluppo. Un’occasione anche per accelerare quell’Unione bancaria europea che è lo strumento per evitarci nuove crisi, mettendo sotto l’egida della Bce, la banca centrale europea diretta da Mario Draghi, la vigilanza sulle principali banche europee, emanando regole comuni sulla finanza e istituendo un fondo comune per le emergenze bancarie.
Come spesso accade in Europa, un ottimo progetto che però, per le reticenze della cancelliera Angela Merkel, rischia di essere realizzato... alle calende greche, e che invece potrebbe essere velocizzato nel corso del semestre europeo.
In Europa si vota anche in settembre, per il referendum sull’indipendenza della Scozia, voluto dai nazionalisti scozzesi, tra i quali spicca il più famoso 007 cinematografico, l’attore Sean Connery. Gli «scozzesi puri» non hanno mai dimenticato il tempo storico in cui erano un popolo con una propria identità celtica (ricordate le battaglie del film Braveheart?). Un sì all’indipendenza potrebbe scatenare un’ondata di micronazionalismi, dalla Spagna al Belgio, ad altri Paesi, compresa, in forma imitativa anche se mancano ragioni di nazionalità, la stessa nostra Italia. I sondaggi danno una vittoria del no alla secessione, ma in campi così delicati non si sa mai: le ragioni del sentimentalismo potrebbero anche prevalere su quelle della convenienza economica a restare uniti. Un referendum analogo è stato convocato dagli indipendentisti catalani ma il governo spagnolo ha già dichiarato che lo considera illegittimo: l’unità della Spagna è inscindibile perché sancita dalla Costituzione.
Moltissimi gli appuntamenti elettorali nei Paesi della sfiorita Primavera araba, dove si dovrebbero votare i referendum sulle nuove costituzioni che stentano a venire alla luce (in Tunisia, Libia, Egitto), e si dovrebbero votare altresì i governanti (presidenziali in Algeria e in Libia, generali in Yemen, parlamentari e presidenziali in Egitto, presidenziali in Siria), ma qui il condizionale è d’obbligo, le previsioni incertissime. Il cammino verso la democrazia si rivela più tortuoso e accidentato di quanto si era creduto nel 2011.
Elezioni in aprile anche in Iraq, dove gli scontri etnico-fondamentalisti si sono acuiti, tanto che il triste calendario dei morti si affianca – e talvolta supera – a quello della confinante Siria in preda alla guerra civile, cosa che talvolta ci sfugge. L’attuale premier Nuri al-Maliki si è dimostrato incapace di pacificare il Paese, sostenendo sfacciatamente la maggioranza sciita. Ulteriore motivo di attrito potrebbe venire dal referendum su Kirkuk, che i curdi vorrebbero aggiungere al proprio territorio autonomo. Infine, si vota in Turchia in agosto, per le prime elezioni presidenziali dirette. A meno che le contestazioni contro il governo a coloritura islamica di Recep Erdogan non provochino elezioni generali anticipate.
Incontri internazionali
Alla fine del 2013 si sono aperti squarci di ottimismo su contenziosi di lunga durata, pericolosi focolai di tensioni e, addirittura, rischi di guerra. Chi avrebbe sperato sino a ieri in un dialogo tra diplomazia iraniana e statunitense? O in una ripresa di trattative tra israeliani e palestinesi? Ora spetta al 2014 condurre a soluzione questi incontri. Almeno, si spera. Assai vicino appare un accordo sul controllo del nucleare a fini di pace in Iran, propiziato dalla nuova dirigenza riformista e moderata del Paese. I negoziati israelo-palestinesi sono partiti nello scetticismo più generale ma si sono poi ravvivati, perché pace chiede pace.
Ginevra 2 è alle porte, anche se la soluzione della guerra civile in Siria richiederà altri sforzi, la buona volontà delle parti, e certamente tempo. Un tempo che però significa migliaia di vittime e profughi. Vicino a soluzione sembra il negoziato tra governo della Colombia e guerriglieri delle Farc: sarebbe un momento veramente storico, se si considera che la violencia imperversa nel Paese sudamericano da sessant’anni.
La seconda parte dell’anno appena trascorso è stata importante per avviare queste trattative, vediamo se il nuovo anno appena iniziato le concluderà. Resta, infine, un interrogativo gigantesco: dopo tanti annunci smentiti, sarà davvero il 2014 l’anno che segna la fine della crisi più grave dalla seconda guerra mondiale? Basterebbe una «ripresina» per far primavera. Vedremo.
Afghanistan: il ritiro
Entro il 2014 sarà completato il ritiro del contingente di truppe internazionali dal Paese. Rimane solo un consistente numero di militari statunitensi, acquartierati in alcune basi, per assicurare stabilità al governo. Rientrano invece tutti i nostri soldati, il cui numero è già sceso a duemila. In aprile, si vota per il nuovo presidente afghano. Esce Hamid Karzai, che ha fatto il suo tempo, e si presentano almeno undici candidati. Tra questi spicca Abdullah Abdullah, già ministro degli Esteri, che è pashtun per padre (i pashtun sono l’etnia principale) e tagico per madre. Si rifà alla memoria del leader della guerra di liberazione anti-sovietica, assassinato dai talebani, Ahmed Massoud. E l’insorgenza talebana è il grave problema che neppure l’intervento militare internazionale è riuscito a risolvere, in oltre dieci anni di guerra.
America Latina: l’erede di Chávez
In molti Paesi dell’America Latina si vota nel 2014: Brasile, Uruguay, Colombia, Salvador. Oltre al Brasile, l’attenzione dei politologi è puntata sulla Bolivia, dove in ottobre si svolgono le elezioni presidenziali. Favorito è Evo Morales (nella foto con papa Francesco), detto el indio, che anche nei viaggi all’estero mostra fieramente il proprio maglione di alpaca a righe e il caratteristico berretto presente anche nei nostri mercatini, come il più adatto vestito da cerimonia. Di fronte alla pochezza degli eredi venezuelani di Chávez, Evo si propone ora come portabandiera del «socialismo del XXI secolo» che egli considera opposto a quello che individua come l’imperialismo yanqui sul continente. La sua opera a favore delle classi inferiori – che non ha impedito una notevole crescita economica – e l’attivismo in America Latina danno sostegno alla sua candidatura. Non senza polemiche: l’opposizione lo accusa di ricercare un quarto mandato, quando la costituzione ne permetterebbe solo due.
Africa: il continente silenzioso
Dell’Africa si continua a parlare poco, e talvolta a sproposito. Ma anche qui si stanno spegnendo alcuni focolai di violenza. Non senza intervento esterno. Spesso i presidenti francesi sono stati definiti «l’africano»: così il socialista Mitterrand e così, sulle sue orme, l’attuale socialista François Hollande. Quest’ultimo ha dispiegato truppe prima in Mali, ora nella Repubblica Centrafricana, soprattutto contro soprassalti del fondamentalismo islamico. Eredità del passato coloniale? O, invece, volontà di difendere le popolazioni civili taglieggiate? Fatto sta che i militari francesi si ritirano quando sopravviene un contingente di truppe di altri Paesi africani, su mandato Onu, cosa che è più difficile da organizzare e richiede tempi lunghi.
In Sudafrica si vota ad aprile. Ma non si vede sulla scena, al momento, un possibile erede di Nelson Mandela. L’attuale presidente, che viene dallo steso partito, l’Anc (African National Congress), Jacob Zuma, ostenta sei mogli e si è fatto costruire un complesso residenziale in stile africano, che però comprende due piscine e un ospedale. Lui e i suoi familiari sono stati accusati di affarismo e guadagni illeciti, tanto che è iniziata una raccolta di firme per chiedere l’impeachment (stato di accusa). Dove va il Sudafrica, uno dei due giganti dell’Africa sub-sahariana (l’altro è la Nigeria), orfano di Mandela?