Che giustizia sia!
Undici e quattro anni. Non sono gli anni di pena per reati commessi da due delinquenti comuni, ma il tempo passato dagli omicidi di Simonetta Cesaroni e Marta Russo. Difficile per tutti dimenticare i nomi, legati ai due notissimi casi giudiziari. Impossibile per i genitori delle due ragazze cancellare gli anni di sofferenza, le mille battaglie condotte nelle aule di tribunale per fare luce in maniera definitiva sui delitti. Per sapere cosa è successo e perché.
Una giustizia che, chissà per quale motivo, spesso ci si ostina a definire «lenta, ma comunque inesorabile». Uno di quei concetti impalpabili di cui spesso amiamo riempirci la bocca, ma che, alla prova dei fatti, non risponde a verità , come hanno confermato - nelle interviste che leggerete a parte - anche due esperti in materia giudiziaria come il professor Gallo e l' avvocato Berti. «Non si capisce perché la giustizia non possa essere al tempo stesso rapida ed inesorabile».
Giustizia lenta, giustizia approssimativa, giustizia incapace di far quadrare il cerchio. Giustizia perennemente in crisi, insomma. Un discorso vecchio, ma sempre attuale, se è vero che ai problemi già noti se ne aggiungono fatalmente di nuovi. Proviamo a fare il punto di una situazione talmente fluida, da proporre temi nuovi da dibattere giorno per giorno.
I richiami di Ciampi. Un punto della situazione, ad esempio, ha provato a farlo, nell' autunno scorso, il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, quando ha invitato il Consiglio superiore della Magistratura a snellire le procedure per fare in modo che i cittadini possano usufruire di una giustizia più rapida. «Più documenti e circolari - questo in sintesi il Ciampi-pensiero - per migliorare il funzionamento degli uffici». Facile a dirsi, meno semplice da tradurre in realtà , perché la coperta, come si suol dire, in questo caso è corta. La penuria di magistrati non consente l' accelerazione desiderata e l' iter giudiziario rimane ancora troppo lungo. Tanto da suscitare la reazione del Consiglio d' Europa, a Strasburgo, che ha puntato l' indice contro i «processi lumaca» di marca squisitamente italiana.
Per correre ai ripari, il capo dello Stato ha promesso di coprire i posti vuoti il più in fretta possibile. Per rimpinguare gli organici, occorrerebbero almeno altri 300 giudici, che avrebbero il compito di tappare le falle più evidenti nei tribunali e nelle procure della penisola, con un occhio di riguardo alle sedi che lamentano maggiori disagi.
Il problema, però, non si risolverebbe semplicemente con l' innesto di forze fresche, ma anche con la creazione di un pool di magistrati in grado di rimpiazzare temporaneamente i colleghi già in organico, ma costretti a rimanere assenti per motivi di aspettativa, lunghe malattie e maternità . Terzo capitolo da affrontare, la sempre più urgente necessità di abbreviare il tirocinio di quanti hanno superato il concorso in magistratura. Sul tappeto, altri argomenti che non vanno trascurati: una capillare informatizzazione degli uffici, un' operazione di monitoraggio legata al rendimento dei giudici in servizio e la scelta di azioni da portare avanti immediatamente, senza dover ricorrere al classico iter legislativo.
Il braccialetto elettronico. La scossa di Ciampi ha fatto da preambolo alla legge del «braccialetto elettronico», ma che prevede anche altre misure. Sono ben dieci i punti cardine del progetto varato dal governo, specie per evitare che persone imputate di gravissimi reati tornino in libertà per decorrenza dei termini di carcerazione.
Quello che ha fatto più discutere è stato appunto il «braccialetto», applicato al polso o alla caviglia delle persone agli arresti domiciliari o condannate in detenzione domiciliare. Collegato via radio alla sala operativa, farà scattare l' allarme qualora il detenuto dovesse allontanarsi dall' appartamento o tentasse di toglierselo o danneggiarlo.
Tra le decisioni più significative, per quello che riguarda i termini di custodia cautelare, la maggiore flessibilità da parte del giudice che presiede ogni fase del processo. Inoltre, stop al rito abbreviato per i crimini più gravi puniti con l' ergastolo, compresi quelli di mafia. Una novità molto importante anche sul fronte dei reati contro i minori, per i quali è prevista l' applicazione dei termini in uso per la criminalità organizzata.
Da segnalare anche il ricorso alle videoconferenze per ridurre la mobilità dei detenuti, controlli più rigorosi per le persone scarcerate, l' ampliamento delle modalità di utilizzo delle aule bunker, la notifica dell' ordine di esecuzione e indennità maggiori per i magistrati impegnati nei processi di alta criminalità .
Ultimo, ma non in ordine di importanza, il punto che sancisce la velocizzazione dei processi, con tanto di separazione degli imputati o con l' indicazione di corsie preferenziali. Con l' obiettivo, neanche tanto nascosto, di arrivare in questo modo a una giustizia «rapida e inesorabile».
La lentezza dei processi è paragonabile a una Caporetto della giustizia. |
CINQUE ANNI PER UNA SENTENZA D APPELLO
«L a lentezza dei processi è paragonabile a una Caporetto della giustizia». È il grido di dolore lanciato dall' ex procuratore generale della Corte di Cassazione, Antonio La Torre, giusto alla vigilia dell' inaugurazione dell' anno giudiziario. A giustificare tanto pessimismo basta un semplice dato, ma di per sé assai eloquente: per arrivare a una sentenza d' appello, nel processo penale, occorrono cinque anni, il che implica anche un allargamento della durata delle indagini. |