A che serve clonare un uomo?

Se clonare un uomo non ha senso, clonare alcune sue parti potrebbe risolvere un bel po’ di problemi. Sempre che...
03 Gennaio 2001 | di
   
   
I l professor Roberto Colombo è docente di Biologia e biochimica all' università  «Sacro Cuore» di Milano. Da scienziato, risponde ad alcune domande cruciali emerse nel dibattito sulla clonazione umana che hanno accompagnato in questi ultimi mesi la ricerca medica e il mondo politico.       

Msa. Professore, oggi sarebbe tecnicamente possibile clonare un essere umano e non solo una       «popolazione di cellule» come affermano - per tranquillizzare forse l' opinione pubblica - diversi scienziati americani e  britannici?
Colombo.
Gli studi sulla clonazione, finora, sono stati condotti sull' animale e hanno consentito il cosiddetto «trasferimento di nucleo» che consiste nell' inserimento del Dna in una cellula uovo precedentemente svuotata del suo nucleo. Le analogie esistenti tra animale e uomo non devono indurre a pensare che questa tecnica sia trasferibile. Ciò non è, tuttavia, escludibile in linea di principio.

     

  La linea di principio potrebbe tradursi in sperimentazione in tempi brevi?
Occorre chiarire, prima di rispondere a questa domanda, quali potrebbero essere gli scopi di un' eventuale clonazione dell' uomo. Lo scopo replicativo, ad esempio, e cioè quello di creare uomini in serie per avere magari un esercito su misura, è escluso da qualsiasi scienziato che vada considerato tale. Vi sono, invece, nella comunità  scientifica degli spazi di condivisione per altre possibili applicazioni: per scopo riproduttivo, come tecnica di supporto di rado impiego perché coppie sterili - che non dispongono nemmeno di un gamete o non ricorrono alla donazione di gameti - possano avere un figlio; oppure allo scopo di impedire la nascita di figli affetti da malattie mitocondriali (genetiche, ndr) ereditate da una madre malata. Infine, pur facendo discutere, esiste un consenso scientifico sulla clonazione terapeutica: lo scopo è quello di creare cellule staminali autologhe (compatibili, cioè, con quelle del paziente) - per produrre tessuti trapiantabili nel paziente. La clonazione replicativa, comunque, è ancora molto lontana.

     

  Cosa sono, precisamente, queste cellule staminali di cui si sente molto parlare negli ultimi tempi?
Sono anzitutto cellule che hanno la caratteristica di poter essere prodotte in laboratorio. Sono, poi, in grado di differenziarsi in tutti i vari tessuti del nostro corpo. Si tratta di una grandissima scoperta che ha dato vita a un altrettanto grande filone di ricerca.

     

Le cellule staminali, quindi, possono essere utilizzate per i trapianti?
È proprio questa la pista più innovativa e promettente. Potrebbe risolvere, in sostanza, la scarsità  di organi per i trapianti. In secondo luogo, permette di disporre di tessuti che non potrebberoessere prelevati da un donatore vivo, come il tessuto nervoso. A questo punto, però, è necessaria un' importante precisazione.

     

Quale?
Bisogna distinguere la ricerca sulle cellule staminali embrionali, condotta negli Stati Uniti e in gran Bretagna, da quella sulle cellule staminali adulte, che costituisce il cosiddetto «filone italiano» ed è l' autentica alternativa alla produzione e distruzione di embrioni per scopo terapeutico. Alcuni nostri grandi studiosi hanno scoperto, cioè, che anche nell' individuo adulto esistono delle cellule staminali che possono essere utilizzate e trapiantate. Lo si fa già  per il midollo. Cellule staminali adulte, infatti, si trovano nel midollo osseo. Ma anche nel sistema             nervoso centrale, negli epiteli, nel cordone ombelicale e nella placenta, ora molto studiati. Questa linea italiana è quanto di più promettente ci sia sotto il profilo etico e scientifico.

           

  Quali limiti, secondo lei, dovrebbe avere la ricerca scientifica nel campo della vita?
Una legge fondamentale è che il metodo della ricerca deve essere adeguato all' oggetto della ricerca. Se l' oggetto è l' animale, a parte i rischi di estinzione o il danno al patrimonio ambientale, il limite è molto ampio. Se l' oggetto è l' uomo - che diventa,  tra l'altro, «soggetto» - sia esso all' inizio dello sviluppo come embrione o nella sua forma adulta - il limite,allora, è il soggetto stesso. Vanno adeguate le metodologie e ridefiniti gli obiettivi, perché il ricercatore sa che per essere tale deve essere uomo, e questo non va mai dimenticato. Non tutte le tecniche condotte sull' animale, in conclusione, possono e devono essere condotte sull'uomo.

 

   
   
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Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017